di Bernie Solomon

La politica alla fine è una questione di vita e morte, come chiariscono gli orrori dell’attuale pandemia. Politiche che possono sembrare astratte non solo danneggiano regolarmente la qualità della vita: anche uccidono.

Entrambe le campagne di Bernie Sanders per la presidenza hanno introdotto una serietà di principio nel dibattito nazionale cui nessun altro candidato è arrivato prossimo a corrispondere. Ora sembriamo entrare in un nuovo territorio. O vi stiamo entrando?

Le metafore di “guerra” possono non piacervi, ma una maligna realtà è che vari generi di guerra stanno costantemente avendo luogo contro miliardi di persone su questo pianeta. L’umanità è sotto assedio di una ingiustizia strutturata causata da un potere antidemocratico.

Non abbiamo la scelta di essere o no in una guerra di classe. Sta andando avanti perpetuamente, condotta con una enorme potenza di fuoco finanziaria, politica e mediatica. La potenza di fuoco della guerra di classe contro Bernie Sanders è stata feroce e incessante. La campagna di Bernie si sta dissolvendo, ma è certo che la guerra di classe resterà incessante.

Le nostre scelte ruotano su se e come contrattaccare contro la ricchezza centralizzata e gli enormi interessi societari che conducono tale guerra interminabile. Ora, mentre si avvia l’era successiva alla campagna 2020 di Berni, parlarvi un po’ di uno degli innumerevoli attivisti ispiratori che ho conosciuto, e del perché la sua ottica è così collegata al momento in cui ci troviamo.

Cinquant’anni fa Fred Branfman vide le conseguenze umane della guerra in Laos, un genocidio aviotrasportato che aveva luogo per gentile concessione dei contribuenti statunitensi e del Dipartimento della Difesa, dal nome orwelliano. Fred era un volontario degli aiuti umanitari in Laos quando scoprì che il suo paese stava togliendo la vita a migliaia di contadini là.

Fred mise insieme Voci dalla Piana delle GiarePubblicato nel 1972, con il sottotitolo “Vita sotto una guerra aerea”, il libro comprendeva saggi di laotiani che vivevano sotto il bombardamento statunitense a lungo termine, nonché disegni di bambini che rappresentavano gli orrori attorno a loro. Come disse un libraio: “Questa è la storia della prima società totalmente distrutta dall’aviazione”.

Nel 2006, quando parlai con Fred, lui disse: “All’età di 27 anni mi si aprì davanti un abisso morale. Fui sconvolto fino al centro del mio essere nel trovarmi a intervistare contadini laotiani, tra le persone più oneste, umane e gentili sulla terra, che descrivevano la vita sottoterra senza sosta per anni, mentre vedevano innumerevoli compaesani e membri della famiglia bruciati vivi dal napalm, soffocati da bombe da 500 libbre, e fatti a pezzi da bombe antiuomo sganciate dal mio paese, gli Stati Uniti”.

Fred si trasferì a Washington dove collaborò con gruppi contro le guerra per premere sul Congresso e contestare l’infierire di una carneficina di massa in Indocina. Vide l’urgente necessità di lavorare all’interno e all’esterno del sistema politico per cambiare politiche e salvare vite.

Più di tre decenni dopo le sue esperienza in Laos, Fred scrisse dell’”effetto sulla biosfera dell’interazione tra riscaldamento globale, perdita di biodiversità, esaurimento delle falde acquifere, contaminazione chimica e una vasta varietà di altre nuove minacce al sistema biosferico da cui dipende la vita umana”. Era lungi dall’essere ottimista. Ed è qui che, nell’aprile del 2020, Fred ha molto da trasmetterci con uno spirito che resta potente molti anni dopo la sua morte.

Molti che prestano attenzione alle realtà nazionali e internazionali sono disperati, e la sconfitta della campagna di Bernie aggiunge peso al pessimismo. Fred l’avrebbe compreso. Guardando al futuro lui disse: “Trovo difficile avere molta ‘speranza’ che la specie si migliori nei prossimi decenni”.

Ma, proseguì Fred: “Sono anche arrivato a un punto delle mie riflessioni in cui sono giunto a detestare l’intera idea della ‘speranza’. Se devono coltivare ‘speranza’ per motivarmi, che cosa farò quando non c’è alcun motivo razionale per la speranza? Se posso essere ‘speranzoso’ allora posso anche essere ‘disperato’ e non mi piace sentirmi disperato”.

Aggiunse: “Quando ho guardato più profondamente alla mia stessa vita, ho notato che la mia vita non era ora, né era mai stata, costruita sulla ‘speranza’. Il Laos fu un esempio. Ci andai, imparai ad amare i contadini, i bombardamenti sconvolsero la mia psiche e la mia anima in profondità e ho reagito, non perché coltivassi speranza o disperazione, ma perché ero vivo”.

E umano.

Quella dovrebbe essere una ragione sufficiente per la solidarietà e la determinazione. Spesso perdiamo. Non ci arrenderemo. Non dobbiamo arrenderci.

Norman Solomon è cofondatore e coordinatore nazionale di RootsAction.org. E’ stato un delegato di Bernie Sanders per la California nella Convenzione Nazionale Democratica del 2016. Solomon è autore di una dozzina di libri, tra cui ‘War Made Easy: How Presidents and Pundits Keep Spinning Us to Death’.

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/bernies-decision-retreat-should-not-be-confused-with-surrender/

Traduzione di Giuseppe Volpe

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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