di Noam Chomsky, Robert Pollin e CJ Polychroniou

L’infezione del coronavirus (COVID-19) ha colto il mondo impreparato e le conseguenze economiche, sociali e politiche della pandemia sono attese essere spettacolari, nonostante le recenti promesse dei leader della maggiori economie del Gruppo dei 20 (G20) di iniettare 5 trilioni di dollari nell’economia globale al fine di spronare la ripresa economica.

Ma quali lezioni possiamo apprendere da questa pandemia? La crisi del coronavirus condurrà a un nuovo modo di organizzare la società, un modo concepisca un ordine sociale e politico in cui i profitti non vengono prima delle persone?

In questa intervista esclusiva a Truthout l’intellettuale pubblico Noam Chomsky e l’economista Robert Pollin affrontano queste domande.

CJ Polychroniou: Noam, quali sono le lezioni più profonde che possiamo ricavare dalla crisi sanitaria globale causata dal coronavirus?

Noam Chomsky:  Le pandemie erano state predette da scienziati da molto tempo, in particolare dalla pandemia di SARS del 2003, che fu causata da un coronavirus simile al COVID-19. Essi predissero anche che ci saranno pandemie ulteriori e probabilmente peggiori. Se vogliamo sperare di prevenire le prossime, dovremmo perciò chiederci come questa si sia verificata e cambiare ciò che c’è stato di sbagliato. Le lezioni emergono a diversi livelli, dalle radici della catastrofe a problemi specifici di particolari paesi. Mi concentrerò sugli Stati Uniti, anche se ciò è fuorviante poiché sono al fondo del barile quanto a competenza nel reagire alla crisi.

I fattori fondamentali sono abbastanza chiari. Il danno è stato radicato nel colossale fallimento del mercato, esacerbato dal capitalismo dell’era neoliberista. Ci sono particolarità negli Stati Uniti, che vanno dal loro disastroso sistema sanitario a una scarsa posizione quanto a giustizia sociale – prossima agli ultimi posti dell’OCSE – alla palla da demolizione che ha attaccato il governo federale.

Il virus responsabile della SARS era stato rapidamente identificato. Vaccini erano stati sviluppati ma non sono stati fatti passare per la fase di sperimentazione. Le compagnie farmaceutiche hanno mostrato scarso interesse. Reagiscono a segnali del mercato e ci sono scarsi profitti nel dedicare risorse a prevenire una catastrofe preannunciata. Il fallimento generale è stato illustrato spettacolarmente dal più grave problema immediato: la mancanza di respiratori, una carenza letale, che ha costretto medici e infermieri a prendere la decisione strazianti di chi uccidere.

L’amministrazione Obama aveva riconosciuto il potenziale problema. Aveva ordinato respiratori di alta qualità e basso costo a una piccola azienda che è stata poi acquistata da una grande società, la Covidien, che ha accantonato il progetto, apparentemente perché i prodotti potevano competere con i suoi respiratori dal costo elevato. Ha poi informato il governo che voleva cancellare il contratto perché non era sufficientemente redditizio.

Normale logica capitalista, sin qui. Ma a quel punto la patologia neoliberista ha scagliato un altro colpo di mazza. Il governo avrebbe potuto intervenire, ma ciò è vietato dalla dottrina regnante formulata da Ronald Reagan: il governo è il problema, non la soluzione. Dunque non ha potuto essere fatto nulla.

Dovremmo fermarci un momento a considerare il significato della formula. In pratica significa che il governo non è la soluzione quando è il gioco il benessere della popolazione, ma è molto decisamente la soluzione dei problemi della ricchezza privata e del potere delle imprese. I precedenti sono vasti sotto Reagan e da allora e non dovrebbe essere necessario riesaminarli. Il mantra “il governo è un male” è simile al vantato “libero mercato”, facilmente stravolto per accontentare le esorbitanti richieste del capitale.

Le dottrine neoliberiste valgono anche nel settore privato. Il modello economico richiede “efficienza”, cioè massimo profitto e al diavolo le conseguenze. Per il sistema sanitario privatizzato ciò significa nessuna capacità di scorte; solo quanto basta per andare avanti in circostanze normali, e anche allora all’osso, con gravi costi per i pazienti ma un florido bilancio (e ricchi premi per i dirigenti). Quando accade qualcosa di inatteso, scalogna nera.

Questi principi economici standard hanno una quantità di effetti in tutta l’economia. La più grave di queste preoccupazioni è la crisi climatica, che sopravanza per importanza l’attuale crisi del virus. Le imprese dei combustibili fossili sono occupate a massimizzare i profitti, non a consentire alla società umana di sopravvivere, una questione indifferente. Cercano costantemente nuovi giacimenti petroliferi da sfruttare. Non sprecano risorse in energie sostenibili e smantellano progetti redditizi di energie sostenibili perché possono fare più soldi accelerando la distruzione di massa.

La Casa Bianca, nelle mani di una straordinaria banda di delinquenti, getta benzina sul fuoco con la sua dedizione a massimizzare l’uso di combustibili fossili e a smantellare norme che ostacolano la corsa verso l’abisso della quale assumono orgogliosamente la guida.

La reazione della folla di Davos – i “padroni dell’universo” come sono chiamati – è istruttiva. Detestano la volgarità di Trump che contamina l’immagine di umanesimo civilizzato che cercano di proiettare. Ma lo applaudono vigorosamente quando sbraita da primo relatore, riconoscendo che ha una comprensione chiara di come riempire le tasche giuste.

Questi sono i tempi in cui viviamo e a meno che ci sia un radicale cambiamento di direzione, quello cui assistiamo adesso è a malapena un assaggio di ciò che verrà.

Tornando alla pandemia, c’erano ampie prove che stava arrivando. Trump ha reagito nella sua maniera caratteristica. Per tutto il suo mandato i bilanci di parti del governo collegate alla sanità sono stati tagliati. Con un tempismo squisito, “due mesi prima che il nuovo coronavirus si ritiene abbia cominciato la sua mortale avanzata a Wuhan, Cina, l’amministrazione Trump ha posto fine a un programma da 200 milioni di dollari di preallarme delle pandemie mirato ad addestrare scienziati in Cina e in altri paesi a identificare una tale minaccia e a reagirvi”, un precursore dell’alimentazione da parte di Trump delle fiamme del “Pericolo Giallo” per deviare l’attenzione dalla sua catastrofica prestazione.

Il processo di definanziamento è proseguito, incredibilmente, dopo che la pandemia aveva colpito con piena forza. Il 10 febbraio la Casa Bianca ha pubblicato il proprio nuovo bilancio, con ulteriori riduzioni al tormentato sistema dell’assistenza sanitaria (in realtà qualcosa che potrebbe beneficiare la popolazione) ma “il bilancio promuove un ‘boom dell’energia’ dei combustibili fossili negli Stati Uniti, compreso un aumento della produzione di gas naturale e di petrolio greggio”.

Forse ci sono parole che riescono a cogliere la sistematica malevolenza. Io non riesco a trovarle.  Anche il popolo statunitense è bersaglio di valori trumpiani. Nonostante ripetute preghiere dal Congresso e dalla professione medica, Trump non ha invocato la Legge sulla Produzione per la Difesa per ordinare alle imprese di produrre attrezzature estremamente necessarie, affermando che è un’ultima risorsa del tipo “rompete il vetro” e che invocare la Legge sulla Produzione per la Difesa per la pandemia avrebbe trasformato il paese nel Venezuela. Ma in realtà The New York Times segnala che la Legge sulla Produzione per la Difesa “è stata invocata centinaia di migliaia di volte negli anni di Trump” per l’esercito. In qualche modo il paese è sopravvissuto a questa aggressione al “sistema della libera impresa”.

Non è stato sufficiente rifiutare di prendere provvedimenti per procurare l’equipaggiamento medico necessario. La Casa Bianca si è anche assicurata che le scorte fosse esaurite. Uno studio dei dati governativi sul commercio della parlamentare Katie Porter ha rilevato che il valore delle esportazione statunitensi di respiratori è aumentato del 22,7 per cento da gennaio a febbraio e che nel febbraio del 2020 “il valore delle esportazioni statunitensi di mascherine in Cina è stato del 1094 (per cento) più elevato della media mensile del 2019”.

Lo studio prosegue:

Ancora il 2 marzo l’amministrazione Trump stava incoraggiando le imprese statunitensi ad aumentare le esportazioni di forniture mediche, specialmente verso la Cina. Tuttavia, durante tale periodo, il governo statunitense era ben consapevole dei danni del COVID-19, compresa una probabile necessità di respiratori e mascherine aggiuntive.

Scrivendo su The American Prospect David Dayen commenta: “Così produttori e intermediari hanno fatto soldi nei primi due mesi dell’anno mandando forniture mediche fuori dal paese e ora stanno facendo altri soldi nei successivi due mesi riportandole in patria. Lo squilibrio commerciale ha avuto la precedenza sull’autosufficienza e la resilienza”. 

Non c’era alcun dubbio circa i pericoli in arrivo. A ottobre uno studio di alto livello aveva rivelato la natura delle minacce pandemiche. IL 31 ottobre la Cina ha informa l’Organizzazione Mondiale della Sanità di un’epidemia di sintomi simili alla polmonite. Una settimana dopo ha riferito che scienziati avevano identificato la fonte in un coronavirus e ne avevano sequenziato il genoma, di nuovo fornendo l’informazione al pubblico generale. Per diverse settimane la Cina non ha rivelato la dimensione della crisi, affermando in seguito che il ritardo era stato causato dalla mancata informazione da parte di burocrati locali alle autorità centrali, un’affermazione confermata da analisti statunitensi.

Quello che stava succedendo in Cina era ben noto. In particolare allo spionaggio statunitense che per tutto gennaio e febbraio aveva bussato alle porte della Casa Bianca cercando di raggiungere il presidente. Inutilmente. Era o a giocare a golf o ad autoincensarsi in televisione per aver fatto più di chiunque altro al mondo per arrestare la minaccia.

Lo spionaggio non è stato l’unico a cercare di indurre la Casa Bianca a svegliarsi. Come scrive il The New York Times “un consigliere di vertice della Casa Bianca [Peter Navarro] alla fine di gennaio ha avvertito con forza dirigenti dell’amministrazione Trump che la crisi del coronavirus poteva costare agli Stati Uniti trilioni di dollari e porre milioni di statunitensi a rischio della malattia o di morte… mettendo in pericolo le vite di milioni di statunitensi come mostrato da informazioni provenienti dalla Cina”.

Inutilmente. Sono stati persi mesi mentre l’Amaro Leader faceva avanti e indietro da un racconto a un altro, sinistramente con l’adorante base elettorale repubblicana vigorosamente plaudente ogni passo.

Quando alla fine i fatti sono divenuti innegabili, Trump ha assicurato il mondo che lui era la prima persona ad aver scoperto la pandemia e che la sua mano ferma aveva tutto sotto controllo. Dovunque l’esibizione è stata lealmente ripetuta a pappagallo dai sicofanti dei quali si è circondato e dalla sua camera d’eco di Fox News che pare anche servire da sua fonte di informazioni e idee, in un dialogo interessante.

Nulla di questo era inevitabile. Non era solo lo spionaggio statunitense ad aver compreso le prime informazioni fornite dalla Cina. Paesi della periferia della Cina hanno reagito immediatamente, molto efficacemente a Taiwan, anche in Corea del Sud, Hong Kong e Singapore. La Nuova Zelanda ha istituito immediatamente un blocco e pare aver virtualmente eliminato l’epidemia.

La maggior parte dell’Europa ha tergiversato, ma società meglio organizzate hanno reagito. La Germania ha la percentuale di morti riferiti minore del mondo, beneficiando di scorte di riserva. Lo stesso pare valere per la Norvegia e per alcuni altri. L’Unione Europea ha rivelato il suo libello di civiltà con il rifiuto dei paesi che stanno meglio di aiutare gli altri. Ma per fortuna questi possono contare su Cuba per venire in loro aiuto, fornendo medici, mentre la Cina ha fornito equipaggiamenti sanitari.

Nel complesso ci sono molte lezioni da apprendere, in misura cruciale, circa le caratteristiche suicide di un capitalismo incontrollato e i danni extra causati dalla peste neoliberista. La crisi getta una luce chiara sui pericoli di trasferire processi decisionali a istituzioni private non chiamate a rispondere dedite unicamente all’avidità, loro dovere solenne, come hanno spiegato Milton Friedman e altri luminari, invocando le leggi dell’economia solida.

Per gli USA ci sono lezioni speciali. Come già indicato, gli USA si classificano quasi in fondo all’Organizzazione per la Cooperazione Economica quanto a misure di giustizia sociale. Il loro sistema di assistenza sanitaria privato orientato al profitto, perseguendo modelli industriali di efficienza, è un disastro, con due volte i costi pro capite di paesi paragonabili e alcuni dei risultati peggiori. Non c’è alcun motivo per vivere con esso. Certamente è arrivata l’ora di elevarci al livello di altri paesi e di istituire un sistema umano ed efficiente di assistenza sanitaria universale.

Ci sono altri semplici passi che possono essere compiuti immediatamente. Le imprese stanno di nuovo accorrendo allo stato badante per salvataggi. Se concessi, andrebbero imposte rigorose: niente bonus e paghe per i lavoratori per la durata della crisi; divieto permanente di riacquisti di azioni e di ricorso a paradisi fiscali, modalità di rapina del pubblico che arrivano a decine di trilioni di dollari, non spiccioli. E’ fattibile? Chiaramente sì. Quella era la legge, ed era fatta valere fino a quando Reagan non ha tolto il tappo. Dovrebbe anche essere prescritto di avere una rappresentanza dei lavoratori nella direzione e di aderire a un salario minimo, tra le condizioni che vengono immediatamente alla mente.

Ci sono molti altri passi di breve termine che sono molto realizzabili e potrebbero espandersi. Ma oltre a ciò, la crisi offre un’occasione per ripensare e rimodellare il nostro mondo. I padroni si stanno dedicando a tale compito e se non sono contrastati e sopraffatti ha forze popolari impegnate, entreremo in mondo molti più brutto, un mondo che non può sopravvivere a lungo.

I padroni sono a disagio. Mentre i contadini stanno raccogliendo i loro forconi, l’atmosfera nelle direzioni industriali sta cambiando. Dirigenti di alto livello si stanno unendo a mostrare di essere persone tanto per bene che il benessere e la sicurezza di tutti saranno assicurati se lasciati nelle loro mani amorevoli. E’ ora che la cultura e la pratica imprenditoriale diventino più premurose, proclamano, preoccupate non solo degli utili per gli azionisti (prevalentemente molto ricchi) ma delle parti interessate, lavoratori e comunità. E’ stato un tema conduttore dell’ultimo congresso di Davos a gennaio.

Non ci stanno ricordando che abbiamo già sentito questa canzone. Negli anni Cinquanta l’espressione era “l’impresa con un’anima”. Quale anima non c’è voluto molto a scoprirlo.

C.J. Polychroniou: Bob, puoi aiutarci a capire lo shock economico del coronavirus? Quando sarà grave l’impatto socioeconomico e chi probabilmente sarà più colpito?

Robert Pollin: La velocità a rotta di collo del crollo economico derivante dal COVID-19 è senza precedenti storici.

Nella settimana del 4,4 aprile 6,6 milioni di persone hanno presentato le domande iniziali per ricevere l’indennità di disoccupazione. Questo dopo che 6,9 milioni di persone l’avevano fatto la settimana precedente e 3,3 la settimana ancora precedente. Prima di queste tre settimane il numero maggiore di persone che avevano presentato richieste è stato nell’ottobre del 1982, durante la grave recessione a doppia V di Ronald Reagan. All’epoca il numero record di richieste ammontò a 650.000. Questa disparità tra il 1982 e oggi è sbalorditiva, anche una volta tenuto conto della dimensione relativa della forza lavoro di oggi rispetto al 1982. Così, nel 1982 le 650.000 richieste di indennità di disoccupazione ammontarono allo 0,6 per cento della forza lavoro statunitense. I 6,6 milioni di persone che hanno presentato domanda nella prima settimana di aprile e i 6,9 milioni della settimana precedente sono stati pari al 4 per cento della forza lavoro statunitense. Dunque, come percentuale della forza lavoro, queste presentazioni settimanali di richieste di disoccupazione sono state sette volte maggiori del record precedente del 1982. La somma delle ultime tre settimane di richieste di indennità di disoccupazione ci porta a 16,8 milioni di persone di nuova disoccupazione, corrispondenti al 10 per cento della forza lavoro statunitense. L’aspettativa è che tale cifra continui a salire per molte altre settimane a seguire, potenzialmente spingendo la disoccupazione nella fascia del 20 per cento, un dato mai visto dai baratri della Grande Depressione degli anni Trenta.

La situazione dei disoccupati negli USA è ancora peggiore poiché gran parte di loro aveva un’assicurazione sanitaria pagata dai datori di lavoro. Tale assicurazione è ora scomparsa. La proposta di stimolo che Trump ha firmato in legge il 27 marzo non offre fondi per curare persone contagiate. La Fondazione della Famiglia Perterson-Kaiser ha stimato che la cura potrebbe costare fino a 20.000 dollari e che anche persone con copertura sanitaria assicurativa a carico dei datori lavoro potrebbero finire col dover pagare di tasca loro 1.300 dollari di franchigia. Così, interamente nello spirito del sistema statunitense di assistenza sanitaria dominato dall’industria e vergognosamente iniquo, il COVID-19 colpirà milioni di persone con forti parcelle mediche esattamente quando sono più vulnerabili. Se [il programma di assistenza sanitaria pubblica] Medicare for All fosse operativo oggi negli USA, tutti sarebbero coperti appieno.

Oltre alla situazione delle persone che perdono il lavoro, dobbiamo riconoscere anche le condizioni di chi opera in prima linea in occupazioni essenziali. Queste persone si stanno mettendo a grande rischio presentandosi al lavoro. Un rapporto di Hye Jin Rho, Hayley Brown e Shawn Fremstad del Centro per la Ricerca Economica e Politica mostra che più di 30 milioni di lavoratori statunitensi (quasi il 20 per cento dell’intera forza lavoro degli Stati Uniti) sono impiegati in sei vaste industrie che oggi sono in prima linea nella reazione. Questi lavoratori includono commessi di supermercato, infermieri, addetti alle pulizie, magazzinieri e autisti di autobus, tra gli altri. Un 65 per cento pieno di questi lavoratori è costituito da donne. Una quota sproporzionata di loro è anche sottopagata ed è priva di assicurazione sanitaria. Questi lavoratori essenziali stanno mettendosi a elevato rischio di contagio e se effettivamente finiscono contagiati affronteranno la prospettiva di una grave crisi finanziaria oltre alla loro crisi sanitaria.

Il coronavirus sta colpendo con la massima brutalità anche comunità afroamericane a basso reddito negli USA. Così in Illinois gli afroamericani rappresentano più della metà dei morti da COVID-19, anche se costituiscono solo il 14 per cento della popolazione dello stato. In Louisiana il 70 per cento dei morti sinora è afroamericano, anche se la quota afroamericana della popolazione è del 32 per cento. Schemi paragonabili stanno emergendo in altri stati. Questi dati riflettono il semplice fatto che gli afroamericani a più basso reddito non hanno gli stessi mezzi per proteggersi mediante la distanza sociale e restando a casa dal lavoro.

Per quanto gravi siano oggi le condizioni per le persone negli USA e in altre economie avanzati, appariranno tenui una volta che il virus cominci a diffondersi, come quasi certamente farà con impatti catastrofici, nei paesi a basso reddito di Africa, Asia, America Latina e Caraibi. Tanto per cominciare, le strategie di distanza sociale e autoisolamento che sono state relativamente efficaci in paesi ad alto reddito nel rallentare il tasso di contagio saranno prevalentemente impossibili da attuare in quartieri poveri di, diciamo, Delhi, Nairobi o Lima, poiché le persone di queste comunità vivono prevalentemente in quartieri molto angusti. Devono anche in larga misura dipendere da trasporti pubblici affollati per arrivare in qualsiasi luogo, tra cui il lavoro, poiché non possono permettersi di restare a casa dal lavoro. Questo problema è aggravato dalle condizioni di lavoro in quelle occupazioni. Nella maggior parte dei paesi a basso reddito circa il 70 per cento di tutta l’occupazione è informale, significando che i lavoratori non ricevono provvidenze, tra cui permessi pagati per malattie, da parte dei loro datori di lavoro. Come scrivono gli economisti indiani C.P. Chandrasekhar e Jayati Ghosh, questi lavoratori e le loro famiglie “sono chiaramente i più vulnerabili a qualsiasi declino economico. Quando tale declino arriva sulla scia di una calamità senza precedenti di sanità pubblica, le preoccupazioni sono ovviamente moltiplicate”.

Inoltre, tanto per cominciare, la maggior parte dei paesi a basso reddito hanno bilanci della sanità pubblica estremamente limitati. Sono anche stati colpiti duramente dal crollo del turismo e da forti declini delle loro entrate dalle esportazioni e dalle rimesse degli emigrati. Così, in settimane recenti, 85 paesi hanno già contattato il Fondo Monetario Internazionale per un’assistenza d’emergenza a breve, circa il doppio di quelli che avevano fatto richieste simili dopo la crisi finanziaria del 2008. E’ probabile che la situazione peggiori molto rapidamente.

C.J. Polychroniou: Noam, il coronavirus ucciderà la globalizzazione?

Noam Chomsky: La globalizzazione in qualche forma risale alle prima storia documentata, in realtà oltre. E continuerà. La domanda è: in quale forma? Immaginiamo, ad esempio, che sorga una domanda riguardo al trasferimento di una certa impresa dall’Indiana al Messico settentrionale. Chi decide? I banchieri di New York o di Chicago? O forse la forza lavoro e la comunità, forse persino in coordinamento con controparti messicane. C’è ogni sorta di associazioni tra popoli – e conflitti d’interessi tra loro – che con coincidono con colori o mappe. Il sordido spettacolo di stati che competono quando è necessaria collaborazione per combattere una crisi globale evidenzia la necessità di smantellare la globalizzazione basata sul profitto e di costruire un vero internazionalismo, se vogliamo sperare di evitare l’estinzione. La crisi sta offrendo molte opportunità di liberarci dalle catene ideologiche, di immaginare un mondo molto diverso e di passare a crearlo.

Il coronavirus probabilmente cambierà l’economia internazionale molto fragile che è stata costruita in anni recenti, mossa dal profitto e insensibile a costi esternalizzati quali l’enorme distruzione dell’ambiente causata da transazioni con catene complesse di fornitura, per non parlare della distruzione di vite e comunità.  E’ probabile che tutto questo sarà rimodellato, ma di nuovo dovremmo porci la domanda, e rispondervi, su quali saranno le mani alla guida.

Ci sono alcuni passi in direzione dell’internazionalismo al servizio del popolo, non del potere concentrato. Yanis Varoufakis e Bernie Sanders hanno diffuso un appello a un’internazionale progressista per contrastare l’internazionale degli stati reazionari forgiata dalla Casa Bianca di Trump.

Tentativi simili possono assumere molte forme. I sindacati sono tuttora chiamati “internazionali” a ricordo di sogni che non devono restare inattivi. E a volte non lo sono. Scaricatori portuali hanno rifiutato di scaricare navi da trasporto in atti di solidarietà collettiva. Ci sono stati molti esempi impressionanti di solidarietà internazionale a livello statale e popolare. A livello statale nulla è paragonabile all’internazionalismo cubano, dal ruolo straordinario avuto da Cuba nella liberazione dell’Africa meridionale, descritto in profondità da Piero Gleijeses, al lavoro dei suoi medici in Pakistan dopo il devastante terremoto del 2005, al superamento dei fallimenti dell’Unione Europea oggi.

Al livello di popolo non conosco nulla di paragonabili all’afflusso di statunitensi in America Centrale negli anni Ottanta per aiutare le vittime delle guerre terroristiche di Reagan e del terrorismo di stato da lui sostenuto, da ogni estrazione sociale, alcuni dei più dedicati ed efficaci da gruppi religiosi degli Stati Uniti rurali. Non c’è stato nulla di simile nella storia precedente dell’imperialismo, per quanto ne so.

Senza procedere oltre, ci sono molti generi di interazione e integrazione globale. Alcuni sono molto meritori e dovrebbero essere perseguiti attivamente.

C.J. Polychroniou: Governi di tutto il mondo stanno reagendo alla ricaduta economica del coronavirus con grandi misure di stimolo. Negli Stati Uniti l’amministrazione Trump è pronta a spendere 2 trilioni di dollari di stimolo approvati dal Congresso. Bob, è sufficiente? E metterà alla prova i limiti di quanto maggiore debito gli Stati Uniti possano sopportare?

Robert Pollin: Il programma di stimolo che Trump ha firmato in legge a marzo è la più vasta simile misura nella storia degli Stati Uniti. A 2 trilioni di dollari corrisponde a circa il 10 per cento del prodotto interno lordo (PIL) statunitense, che il governo intende distribuire rapidamente nei prossimi mesi. Per contro lo stimolo fiscale 2009 di Obama era a bilancio per 800 miliardi di dollari in due anni, o circa il 3 per cento del PIL per anno nei due anni.

Nonostante la dimensione senza precedenti, è facile vedere che l’attuale programma di stimolo è troppo limitato, e pertanto realizzerà troppo poco nella maggior parte dei modi che contano. Questo riconoscendo contemporaneamente che, sommando ogni cosa, lo stimolo fa massicci regali alle imprese statunitensi e a Wall Street, cioè gli stessi che hanno beneficiato di più solo 11 anni fa dallo stimolo di Obama e dal corrispondente salvataggio di Wall Street. Ho indicato in precedenza che lo stimolo non offre alcun sostegno all’assistenza sanitaria dei contagiati da COVID-19. Offre anche un sostegno aggiuntivo minimo sia agli ospedali che combattono il virus in prima linea sia alle amministrazioni statali e locali. Le amministrazioni statali e locali subiranno forti cadute delle loro entrate fiscali – dalle imposte sul reddito, alle imposte sugli acquisti e quelle sulle proprietà – con il far presa della recessione. Durante la Grande Recessione del 2007-09 le entrate fiscali statali e locali sono diminuite del 13 per cento. Possiamo aspettarci oggi una discesa di gravità almeno uguale. In assenza di iniezione di fondi su vasta scala da parte del governo federale – cioè un’iniezione pari a circa tre volte quella stanziata sinora attraverso lo stimolo – le amministrazioni statali e locali saranno costrette a intraprendere tagli e licenziamenti su vasta scala, compresi insegnanti scolastici, operatori sanitari e agenti di polizia che, insieme, rappresentano il grosso della loro spesa per i dipendenti.

Persino l’amministrazione Trump appare riconoscere che la legge di stimolo è di gran lungo troppo limitata. E’ per questo che sia Trump sia i Democratici del Congresso stanno già parlando di un’altra legge di stimolo che potrebbe ammontare ad altri due trilioni di dollari. Gli USA hanno la capacità di continuare a indebitarsi per queste somme enormi. Tra altre considerazioni, come è stato durante la Grande Recessione del 2007-09, i titoli governativi statunitensi saranno riconosciuti come le attività più sicure sul mercato finanziario globale. Questo costituirà un premio per i titoli statunitensi rispetto a ogni altro strumento creditizio sul mercato globale. La Federal Reserve ha anche la capacità, quando necessario, di acquistare in blocco e ritirare efficacemente titoli governativi statunitensi se il carico del debito diventa eccessivo. Nessun altro paese o entità di qualsiasi genere gode di qualcosa di simile a questo status finanziario privilegiato.

Operando da questa posizione di estremo privilegio, la Fed si è ora impegnata a fornire un sostegno fondamentalmente illimitato e incondizionato alle imprese statunitensi e alle società di Wall Street. In effetti solo tra il 18 e il 31 marzo, la Fed ha acquistato 1,14 trilioni di titoli del tesoro e di obbligazioni societarie a un ritmo di più di un milione di dollari al secondo. Il Financial Times riferisce previsioni che le attività detenute dalla Fed potrebbero arrivare a 12 trilioni di dollari entro giugno – cioè il 60 per cento del PIL USA – con altri aumenti a seguire. Per confronto, appena prima della crisi finanziaria del 2007-09, la Fed deteneva titoli per un trilione di dollari. Sono poi passati a due trilioni durante la crisi, una cifra pari a solo circa un quinto dell’importo cui gli interventi della Fed si stanno dirigendo nel prossimo paio di mesi.

L’economia statunitense e quella globale hanno realmente bisogno oggi di un gigantesco salvataggio per impedire la sofferenza di persone innocenti derivante sia dalla pandemia sia dal crollo economico. Ma il salvataggio deve essere concentrato, nell’immediato, sul garantire a tutti i provvedimenti di assistenza sanitaria di cui hanno bisogno e sul mantenere le persone finanziariamente in piedi.

Assumendo una prospettiva strutturale più vasta, abbiamo anche bisogno di smettere di sprecare gli enormi privilegi finanziari goduti dagli Stati Uniti per sostenere l’edificio neoliberista che ha dominato la vita economica negli USA e nel mondo negli ultimi quarant’anni. Il fatto che il governo statunitense abbia i mezzi per salvare mega società e Wall Street due volte negli ultimi 11 anni significa che ha anche la capacità di assumere il controllo di alcune delle imprese private più disfunzionali e antisociali. Potremmo cominciare sostituendo l’industria privata dell’assicurazione sanitaria con [il programma di assistenza sanitaria pubblica] Medicare for All. Il governo federale potrebbe anche assumere una partecipazione di controllo nell’industria dei combustibili fossili che in ogni caso va estromessa dal mercato nei prossimi trent’anni. Altri bersagli di nazionalizzazioni almeno parziali dovrebbero includere le linee aeree che oggi subiscono ristrettezze disperate ma che nello scorso decennio hanno sprecato il 96 per cento della loro liquidità in riacquisti azionari. Gli operatori di Wall Street che hanno contribuito a ideare tali pratiche finanziarie devono subire una forte disciplina e la competizione di banche pubbliche di sviluppo su vasta scala capaci di finanziare, ad esempio, il New Deal Verde.

In breve, all’economia statunitense che emergerà dalla crisi attuale non può essere permesso di tornare allo status quo neoliberista. E’ stato chiaro durante la Grande Recessione che alcune delle più grandi società statunitensi e società di Wall Street non avrebbero potuto sopravvivere senza il vitale sostegno governativo. Oggi, 11 anni dopo, stiamo per ripercorrere lo stesso film, solo questa volta su uno schermo jumbo. Quarant’anni di indottrinamento neoliberista hanno viziato grandi imprese e Wall Street a ritenere il socialismo societario sarà sempre a loro disposizione, che possono accumulare profitti a volontà per sé scaricando i loro rischi, secondo necessità, su tutti gli altri. Specialmente in questo momento, se le imprese vogliono insistere a esistere solo per massimizzare i profitti dei proprietari di esse, allora il governo federale deve tagliare le loro cime di salvataggio. I progressisti dovrebbero continuare a lottare vigorosamente per questi principi.

C.J. Polychroniou: Noam, il coronavirus pare star producendo un aumento della solidarietà tra la gente comune in molte parti del mondo e forse persino la comprensione che siamo tutti cittadini globali. Ovviamente il coronavirus di per sé non sconfiggerà il neoliberismo e la conseguente atomizzazione della vita sociale cui abbiamo assistito dal suo avvento, ma ti aspetti una svolta nel pensiero economico e politico? Forse il ritorno allo stato sociale?

Noam Chomsky: Tali possibilità dovrebbero ricordarci la potente ondata di democrazia radicale che si diffuse in gran parte del mondo sotto l’impatto della Grande Depressione e della guerra antifascista, e i passi compiuti dai padroni per contenere o reprimere quelle speranze. Una storia che ha molte lezioni per oggi.

La pandemia dovrebbe essere uno shock che induca le persone ad apprezzare l’internazionalismo genuino, a riconoscere la necessità di guarire le società dalla peste neoliberista e poi a una ricostruzione più radicale diretta alle radici del disordine contemporaneo.

Gli statunitensi in particolare dovrebbero risvegliarsi alla crudeltà del debole sistema di giustizia sociale. Non una faccenda semplice. E’, ad esempio, molto strano vedere che persino nella sinistra dell’opinione prevalente programmi quali quelli promossi da Bernie Sanders sono considerati “troppo radicali” per gli statunitensi. I suoi due programmi principali chiedono l’assistenza sanitaria universale e l’istruzione superiore gratuita, normali in società sviluppate e anche in società povere.

La pandemia dovrebbe risvegliarci a renderci conto che in un mondo giusto, catene sociali dovrebbero essere sostituite da legami sociali, ideali che risalgono all’Illuminismo e al liberalismo classico. Ideali che vediamo realizzati in molti modi. Il considerevole coraggio e altruismo dei lavoratori della sanità è un tributo ispiratore alle risorse dello spirito umano. In molti luoghi, comunità di mutuo aiuto sono create per fornire cibo ai bisognosi e per aiutare a sostenere gli anziani e i disabili.

C’è effettivamente “un aumento della solidarietà tra la gente comune in molte parti del mondo e forse persino la comprensione che siamo tutti cittadini globali”. Le sfide sono chiare. Possono essere vinte. In questo momento tetro della storia umana devono essere vinte, o la storia arriverà a una fine ingloriosa.

Questa conversazione è stata rivista a fini di chiarezza e lunghezza.

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/to-heal-from-covid-19-we-must-imagine-a-different-world/

Originale: Truthout

Traduzione di Giuseppe Volpe

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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