Nel 1953 andò in onda per la prima volta un programma televisivo condotto da Mike Bongiorno. Si chiamava Arrivi e Partenze ed il format consisteva in brevi interviste a personaggi noti della politica e dello spettacolo. Una delle prime puntate fu dedicata a Clare Boothe Luce, l’ambasciatrice statunitense a Roma.

La nomina della Luce aveva sconvolto gli italiani: era la prima volta che una donna ricopriva quel ruolo in Italia. Ben presto, però, la Luce dimostrò di avere tanta forza e determinazione nella lotta al comunismo, quanto fascino ed eleganza nelle riviste del buoncostume italiano; e interferì pesantemente nella politica italiana di quegli anni cruciali.

Ann Clare Boothe nacque a New York il 10 marzo 1903. Dopo una breve carriera da attrice ed un primo matrimonio concluso con un divorzio nel 1929, Ann Clare sposò il ricco imprenditore Henry Luce, proprietario e fondatore delle riviste Time, Fortune e Life. Nei due decenni seguenti la giovane newyorkese scrisse alcune sceneggiature per alcuni film e melodrammi che la resero celebre negli Stati Uniti. Nel 1953 il neoeletto presidente Eisenhower, amico personale dei coniugi Luce, inviò Clare a Roma, in qualità di ambasciatrice.

Il compito affidato a Clare era di intensificare la politica di contenimento del Partito Comunista in Italia, intrapreso qualche anno prima sotto la presidenza di Henry Truman. Del resto, l’ambasciatrice era profondamente convinta della necessità di una lotta al comunismo: durante la campagna elettorale a favore del presidente Eisenhower la Luce sostenne la crociata di McCarthy contro la “leftist malady” – malattia di sinistra – seppur prendendo le distanze da “tutti i suoi errori, le sue esagerazioni e denigrazioni” (Clare Boothe Luce Papers, Library of Congress, Box 686, cartella Speeches, 10.24.52; riportato da M. Del Pero in Anticomunismo d’assalto. Lettere di Indro Montanelli all’ambasciatrice Clare Boothe Luce, «Italia Contemporanea», Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione Nazionale, n. 212 (1998), p. 634).

Secondo la nuova ambasciatrice la situazione italiana richiedeva il passaggio ad una politica più aggressiva, che venne chiamata roll back containment. Essa prevedeva un cambio profondo dei rapporti con le forze locali. Fino all’arrivo a Roma di Clare Boothe, infatti, gli aiuti venivano affidati all’alleato politico italiano, la Democrazia Cristiana, che si incaricava di tutti gli aspetti pratici della lotta al comunismo. Al contrario, Clare Boothe Luce fece deviare quel flusso di denaro verso i ricchi imprenditori che di volta in volta si impegnavano a isolare i sindacati vicini al PCI e a ridurre con qualsiasi mezzo l’elemento comunista tra i propri operai. Di conseguenza, c’era la necessità di rompere l’alleanza politica con la DC, giudicata troppo debole e troppo incerta nel suo impegno contro le sinistre. La Luce cominciò a ricercare appoggi direttamente nell’élite imprenditoriale e nei gruppi di intellettuali della destra italiana, dove forti erano le posizioni anticomuniste e molte erano le critiche verso l’operato della DC.

Tra i personaggi che facevano parte di questa cerchia si trovavano anche alcuni celebri intellettuali dell’Italia del secondo Dopoguerra. In particolare, la Luce strinse stretti rapporti con Indro Montanelli, all’epoca celebre firma del Borghesee, negli anni seguenti, principale intellettuale della destra italiana, editorialista del Corriere Della Sera e fondatore de Il Giornale. Sin dall’arrivo a Roma della Luce, Montanelli prese a inviarle numerose lettere, consultabili dalla fine degli anni ’90 alla Library of Congress di Washington, nel fondo archivistico dedicato all’ambasciatrice. Queste lettere, analizzate dallo storico Mario Del Pero negli anni immediatamente seguenti all’apertura del fondo Luce, venivano scritte per dare avvio ad una vera e propria collaborazione, come ha ammesso lo stesso Montanelli. Il giornalista italiano le scriveva “come ambasciatore”, ma aveva insistito “che poi dovessero essere inoltrate al Dipartimento di Stato”.

Tre di queste lettere, scritte tra il maggio e il settembre 1954, sono state rintracciate dallo storico  e pubblicate nella rivista “Italia Contemporanea” n° 212 (1998). Delle tre è la prima, datata 6 maggio 1954, ad essere di sensazionale interesse. In essa, Montanelli informava la Luce della formazione di un’organizzazione paramilitare in funzione anticomunista e chiedeva alla Luce di garantire l’aiuto dell’esercito americano in termini di armi, flotta e aviazione. Secondo il giornalista italiano la vittoria di un ipotetico fronte popolare nelle elezioni successive avrebbe decretato la fine dell’Italia repubblicana. In tale contesto, Montanelli auspicava il passaggio all’azione violenta:

«Le maggioranze in Italia non hanno mai contato: sono sempre state a rimorchio di questo pugno di uomini che ha fatto tutto con la violenza: l’unità d’Italia, le sue guerre e le sue rivoluzioni. Questa minoranza esiste ancora e non è comunista. È l’unica nostra fortuna.»

Montanelli le confidava inoltre la sua scarsa fiducia per la tenuta del sistema democratico in Italia. La soluzione sarebbe stata dunque quella di anticiparne la morte, stabilendo attraverso l’uso della violenza una nuova dittatura avvallata dagli americani e dai ricchi imprenditori del Nord Italia.

«Di fronte a questa realtà, mi trovo in questo dilemma: difendere la Democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell’Italia; o difendere l’Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della Democrazia? La mia scelta è fatta.»

L’entrata in azione del gruppo paramilitare era, beninteso, programmata solo quando la democrazia avesse “fallito”: quando cioè le sinistre avessero vinto le elezioni. Era contemplata addirittura una terza evenienza, che dimostra quanto a fondo questo piano di battaglia fosse stato studiato, progettato e calcolato nei minimi particolari. Il gruppo costituente dell’organizzazione aveva sorprendentemente previsto che, nella malaugurata ipotesi di uscire sconfitti dalla rivolta armata, si instaurasse una sorta di Taiwan italiana in Sicilia. L’America avrebbe dovuto infatti “approntare una Formosa per concentrarvi le forze desinate a una riscossa […]. Parlo della Sicilia, naturalmente”. Per mettere in pratica la scissione della Sicilia dalla penisola ormai in mano ai barbari comunisti Montanelli non disdegnava ed anzi, auspicava, l’appoggio della mafia:

«Il principe Lanza di Trabìa è un giovane e coraggiosissimo avventuriero che, se invece che principe, fosse nato proletario, si sarebbe chiamato Salvatore Giuliano e come lui sarebbe finito. Ma appunto per questo gode di gran prestigio nell’Isola e soprattutto è in eccellenti rapporti con la mafia, che laggiù ha un potere decisivo, molto più grande di quello del governo.»

Non c’è traccia di una risposta scritta di Clare Boothe Luce a questa lettera di Montanelli. Tuttavia, dalle altre due lettere pubblicate nell’articolo di Mario del Pero e da un’intervista rilasciata dal giornalista italiano allo storico e a Mario G. Rossi – pubblicata anch’essa nello stesso numero di Italia Contemporanea – emerge che Montanelli e Clare Boothe si siano visti in numerosi incontri per discutere e, presumibilmente, organizzare il piano d’azione.

Dalla lettura di questa lettera emerge una visione della gestione del potere, condivisa da Montanelli e da Clare Boothe Luce, che poco ha a che fare con la democrazia, con la sovranità popolare e con la libertà, che sono ed erano i valori posti alla base della propaganda imperialista americana.

Bisogna tuttavia chiarire che non si trattò di un  di un arbitrario intento golpista, volto ad instaurare una dittatura di stampo militare o neofascista. La drammaticità presente nella lettera “un po’ era voluta, ma era anche giustificata”, come disse lo stesso Montanelli nell’intervista già citata. C’era dunque, in alcuni ambienti, una seria paura dell’elemento comunista in Italia e della situazione politica del Paese in caso di una vittoria delle sinistre.

Ciò che è più inquietante nella lettera di Indro Montanelli a Clare Boothe è la relativa tranquillità con la quale un gruppo di ricchi imprenditori si mise in contatto con la potenza americana, aggirando del tutto il funzionamento democratico, con il tentativo di influenza il futuro politico di uno Stato teoricamente sovrano. Nei decenni seguenti gli Stati Uniti avrebbero applicato in numerose occasioni progetti simili a quello proposto da Montanelli – si pensi all’America latina –, appoggiando rivolte militari capeggiate dai più ricchi imprenditori, da alcuni intellettuali e dai servizi segreti americani.  Anche se è bene ricordare che in quel frangente gli americani non avevano alcuna intenzione di abbandonare la DC per imbarcarsi in tentativi golpisti: lo stesso Montanelli negli anni seguenti ne prese atto, moderando i furori anticomunisti ed invitando a votare, seppur con il naso turato, la DC. Su una cosa c’è certezza: l’Italia del 1954 pullulava di sentimenti eversivi generati da un anticomunismo viscerale.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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