Mappa dei domini italiani in Africa nel 1940


Francesco Cecchini


Il nuovo numero della rivista MicroMega, in edicola dal 5 novembre, si apre con due articoli sui crimini coloniali dell Italia in Africa e sulla necessità che essi vengano ricordati.
Valeria Deplano, ricercatrice di Storia contemporanea all’ Università di Cagliari, racconta con efficacia i crimini compiuti. Tra l’ altro ha il merito di parlare dei campi di dentenzione di Danane in Somalia e di Nocra in Eritrea. Il famigerato campo di concentramento di Nocra nellomonima isola dell arcipelago Dakhlat, è uno dei meno conosciuti orrori del dominio italiano in Africa. L isola, fu scelta perché i 55 km. di distanza dalla costa rendevano impossibile la fuga. Vi fu nel marzo 1893 il solo tentativo di fuga di massa, ma i fuggitivi furono catturati e passati per le armi. Il campo fu costituto da un fabbricato di mattoni per le guardie e 200 tra tucul e tende per i prigionieri. Un paradiso tropicale nel Mar Rosso che si trasformò in un inferno lungo cinquantanni: caldo e umidità provocavano una sete che la poca acqua salmastra proveniente da un pozzo aumentava. Oltre che con la sete la morte arrivava con la fame, erano concessi pochi grammi al giorno, e non tutti i giorni, di farina, tè e zucchero. Con le malattie, malaria, scorbuto e dissenteria e con la fatica i prigionieri erano costretti a lavori forzati in una cava di pietra. Si sa che il numero di prigionieri arrivò a 1000 e la media fu 500, ma non esiste una contabilità di quanti morirono. Un capitano della marina militare che la visitò nel 1901 la descrisse così: “I detenuti, coperti di piaghe e dinsetti, muoiono lentamente di fame, scorbuto e di altre malattie. Non un medico per curarli, 30 centesimi per il loro sostentamento, inscheletriti, luridi, in gran parte hanno perduto luso delle gambe ridotti come sono a vivere costantemente sul tavolato alto un metro dal suolo.” La realtà che trovarono gli inglesi dopo quarantanni, quando la liberarono nel 1941, non fu molto diversa. Nocra fu per le crudeli condizioni di prigionia un vero e proprio campo di sterminio, una Auschwitz tropicale.
Va comunque detto che colonialismo prima e fascismo poi crearono in Eritrea un sistema carcerario spietato. I campi di lavoro e di internamento furono molti, Assab, Massaua, Asmara, Cheren, Addi Ugri, Addi Caleh.
Il campo di sterminio di Nocra richiama l’ attenzione su cosa è stato il colonialismo italiano in Eritrea. Nellimmaginario di molti italiani, non solo di quei pochi, ancora in vita, che hanno perduto unesistenza di privilegi, questa terra era una volta l Eritrea Felix. Se nelle vicine Libia ed Etiopia i colonialisti ed i fascisti avevano stuprato, torturato ed ucciso, qui si erano comportati bene, portando civiltà e benessere anche per gli eritrei. Ma è una falsità storica che la nostalgia per il paradiso perduto alimenta. I bianchi hanno costruito per loro stessi. Le infrastrutture, strade, ponti, ferrovie, fabbriche ed aziende agricole sono state costruite e formate per il proprio sviluppo economico e benessere. Hanno edificato ville ed alberghi dove vivere con privilegi, chiese dove pregare il proprio dio, bar, ristoranti e bordelli dove divertirsi. Non sono stati regali di civiltà al popolo eritreo. La missione dei coloni non è stata quella di migliorare le condizioni di vita degli indigeni. Eritrea felix per il bianco, Eritrea infelice per il popolo eritreo, una razza integrata al progetto coloniale come razza inferiore con funzioni subordinate e servili. La ferrovia Asmara-Massaua, i ponti, le architetture di Asmara ed altro, esistono ancora e sono utilizzati, ma non sono un regalo, bensì un bottino di guerra del popolo eritreo, che ha conquistato con l indipendenza le opere degli italiani. Oltre a migliaia di morti, il colonialismo ed il fascismo furono responsabili in Eritrea di razzismo e sfruttamento, di crimini sessuali e di uno spietato sistema carcerario. Il numero di morti eritrei dal 1890 al 1941 fu alto, anche se di molto inferiore a quello dei libici e degli etiopi. Per dare unidea del genocidio africano di cui lItalia coloniale e fascista è responsabile, le perdite etiopi nella guerra del 1935 e 1936 furono 760.000, secondo il numero fornito dal Negus alla Società delle Nazioni. Un numero forse non esatto, ma che dà la dimensione del massacro. In Etiopia a questo numero immenso, vanno aggiunte le perdite della prima guerra italo-etiope, 1895 — 1896, e dopo le stragi di bambini, donne e uomini dopo l attentato a Graziani nel 1937, il massacro di Amazegna Wagni, nel 1939 ed i morti della seconda guerra mondiale in Africa Orientale. Gli eritrei che hanno pagato il prezzo di sangue più alto furono i soldati dellesercito coloniale, gli ascari. Le stime dei morti, però, sono molto vaghe. Per i soldati italiani morti in terrra dAfrica la contabilità è precisa, mentre i soldati eritrei sono carne da macello e qualche migliaio in più o in meno ha poca importanza. Circa 2000 furono gli ascari morti nella prima guerra italo etiopica, tra il dicembre del 1895 e l ottobre del 1896. Nella seconda guerra italo-etiopica, 1935-1936, gli ascari morti sono da 3.500 a 4.500. Contro gli inglesi, i morti eritrei si stimano essere 10.000, solo 3.700 nella battaglia di Gondar nel 1941. Queste morti di soldati di un popolo dominato, arruolati, con la costrizione o con il miraggio di sfuggire alla fame, per combattere sotto la bandiera del dominatore devono essere addebitate al colonialismo ed al fascismo italiano.
Giuliano Leoni, docente universitario, e Andrea Toppi, docente in un liceo scientifico, documentano con molti riferimenti come i testi scolastici non raccontino, per varie ragioni, qello che è stato il colonialismo italiano.
L’ ultimo numero di MicroMega con gli articoli di Valerua Delpiano, Giuliano Leoni e Andrea Toppi è un importante contributo alla conoscenza dei crimini coloniali dell’ Italia in Africa.

Copertina di MicroMega 7/2020

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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