Lo scorso 28 ottobre si sono tenute le elezioni generali in Tanzania, che prevedevano l’elezione del nuovo presidente ed il rinnovamento dell’Assemblea Nazionale (Bunge la Tanzania), il parlamento unicamerale del Paese composto da 384 seggi.

Come da pronostico, il presidente in carica, John Magufuli, eletto per la prima volta nel 2015, è riuscito agevolmente ad ottenere un secondo mandato alla guida del Paese africano. Il leader del Partito della Rivoluzione (in lingua swahili Chama Cha Mapinduzi), fondato nel 1977 dal presidente Julius Nyerere al momento della fusione tra gli stati di Tanganika e Zanzibar, ha ottenuto l’84.40% delle preferenze, mentre il suo principale rivale, Tundu Lissu, del Partito per la Democrazia ed il Progresso (Chama cha Demokrasia na Maendele, meglio noto come Chadema) si è fermato al 13.04%.

Tutti gli altri tredici candidati hanno ottenuto percentuali trascurabili, a partire dal terzo classificato, Bernard Kamillius Membe, dell’Alleanza per il Cambiamento e la Trasparenza (Chama cha Wazalendo), con lo 0.55% dei consensi. Al momento, invece, non sono ancora stati ufficializzati i risultati delle elezioni legislative, ma il partito di governo non dovrebbe avere problemi nell’ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Nella precedente legislatura, il Partito della Rivoluzione aveva ottenuto ben 287 scranni.

Mugufuli ha ottenuto l’investitura per il suo secondo mandato presidenziale con una cerimonia presso lo stadio Jamhuri, nella capitale Dodoma. All’evento hanno presenziato diversi capi di stato africani, come il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, e quello dello ZimbabweEmmerson Mnangagwa.

Il risultato delle elezioni presidenziali non è invece stato riconosciuto dalle forze di opposizione. Già nelle ore successive all’elezione, Tundu Lissu aveva affermato che “le informazioni sul voto indicano irregolarità generalizzate in quanto impediscono ai nostri revisori di accedere ai seggi elettorali“. “Quella che ha avuto luogo ieri non è stata un’elezione e noi non la riconosciamo. Non accettiamo i risultati“, ha aggiunto ancora Lissu. In seguito, il leader dell’opposizione ha dichiarato di avere “prove concrete” della frode “orchestrata dalla Commissione elettorale nazionale a favore del partito al governo, il Partito della Rivoluzione (CCM)“.

In seguito all’investitura di Magfuli per il suo secondo mandato, Tundu Lissu ha lasciato il Paese per recarsi in Belgio, dove già aveva vissuto in passato. Tale notizia è stata confermata dagli avvocati di Lissu, che hanno affermato che il leader dell’opposizione stesse temendo per la propria vita. “Non capisco perché gli esponenti dell’opposizione stiano affermando le loro vite sarebbero in pericolo, questa è una nazione libera che rispetta i diritti di tutti i cittadini“, ha risposto Hassan Abbas, portavoce del governo che serve anche come segretario permanente presso il ministero dell’Informazione.

Sullo svolgimento delle elezioni in Tanzania è intervenuta anche Michelle Bachelet, ex presidente del Cile ed attualmente Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. “La situazione di tensione nel Paese non sarà disinnescata mettendo a tacere coloro che contestano l’esito delle elezioni, ma piuttosto attraverso un dialogo partecipativo“, ha detto la Bachelet, prima di esortare le autorità tanzaniane “a rispettare e facilitare l’esercizio dei diritti di libertà di espressione e di riunione pacifica“.

La forte avversione nei confronti di Magufuli da parte della stampa, della politica e delle multinazionali occidentali, tuttavia, ha origini ben diverse rispetto a tali questioni. Nel marzo 2017, infatti, l’attuale presidente ha deciso di imporre un embargo sulle esportazioni di oro, rame, nichel e argento non lavorati, al fine di costringere le aziende straniere a svolgere le loro lavorazioni sul suolo nazionale. Tale legge, insieme ad una forte lotta alla corruzione nel settore mineriario, ha permesso un aumento del 52.6% su base annua dei ricavi in questo ambito, ed un conseguente incremento dei salari per i lavoratori.

Inoltre, lo Stato detiene oggi una partecipazione del 16% e ha diritto alla metà dei profitti generati da tutte le attività minerarie nel Paese. Si tratta di un risultato di grande importanza raggiunto dall’attuale governo, visto che la maggioranza dei Paesi africani riceve royalties minerarie che mediamente vanno dal 3% al 5%.

L’oro, che ha svolto un ruolo di primo piano in questo aumento, sarà altrettanto essenziale per il raggiungimento dei nuovi obiettivi che consistono nell’aumentare il contributo delle miniere all’economia dal 3,5% al 10% entro il 2025, secondo il piano economico varato dal governo per il prossimo quinquennio, mentre i ricavi del settore minerario dovranno aumentare ancora del 33% entro il 2024. Già nel 2020, del resto, il metallo giallo ha comunque superato il turismo come principale fonte di valuta estera, complice anche il crollo del settore turistico a causa della pandemia da Covid-19.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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