Con un ottimo articolo di ricostruzione da parte di Giuliano Balestreri su Business Insider emerge come i tre Big del Delivery in Italia “fatturano insieme oltre 100 milioni di euro ne perdono 12 milioni di euro e lasciano al fisco poco più di 300mila euro. E questo nonostante un modello alimentato soprattutto dalle vertiginose commissioni che versano i ristoranti partner e fondato sulla disponibilità di lavoratori a cottimo.”

Lasciano al fisco poco più di 300 mila euro. Senza contare che i costi dei ristoratori e esercenti (oltre il 30%) altro non sono che ulteriori perdite per il fisco italiano. Questo è quello che accade in assenza della politica: multinazionali con sedi all’estero eludono il fisco, impongono una loro tassazione ad aziende con sede legale e fiscale in Italia, piccoli commercianti italiani che sono costretti a chiudere o ridurre personale, profitti e tasse da erogare allo stato. E le idee le hanno chiare gli esercenti, come si legge in questa dichiarazione di Ubri, l’unione dei brand della Ristorazione Italiana. “Con la beffa che i nostri soldi finiscono nella casse di società multinazionali che non pagano le tasse in Italia che applicano contratti a cottimo che nessuno di noi si è mai sognato di proporre a nostri dipendenti e per di più operano in un mercato non regolamentato. Se qualcuno si chiedesse perché nessuno in Italia abbiamo mai provato a costruire una piattaforma di delivery le risposta sarebbe semplicissima: non è un modello di business sostenibile, se si rispettano tutte le regole. Per questo chiediamo da mesi l’apertura di un tavolo di lavoro, ma la politica è sorda a qualunque richiesta”.

Prima arrivò Ikea e chiusero i mobilifici italiani. Poi arrivò Zara e chiusero i negozi di abbigliamento. Arrivò Amazon e chiusero tutti gli altri. Infine arrivò Deliveroo e i ristoranti italiani diventeranno uffici di consegna gestiti direttamente dalle sedi fiscali estere delle multinazionali. Oltre il danno, la beffa. La beffa del neo-liberismo. Una situazione kafkiana con una certa “sinistra radicale” che non si vergogna a tifare per le corporazioni che eludono il fisco, consegnandosi all’ennesimo zero virgola alle prossime elezioni.

Dall’articolo di Balestreri su Business Insider

Deliveroo, invece, ha pagato 113mila euro per un risultato ante imposte di 503mila (l’anno prima erano stati 386mila euro su un fatturato complessivo di 21,8 milioni di euro, compresi anche gli oltre 7 milioni di euro versati dalla capogruppo). Per il fisco italiano non va certo meglio con Glovo che nel 2019 ha perso 12,8 milioni di euro a fronte di ricavi per 35,6 millioni.

Tradotto: i tre big del delivery fatturano insieme oltre 100 milioni di euro ne perdono 12 milioni di euro e lasciano al fisco poco più di 300mila euro. E questo nonostante un modello alimentato soprattutto dalla vertiginose commissioni che versano i ristoranti partner e fondato sulla disponibilità di lavoratori a cottimo.

Basti pensare che per apparire in alto nelle ricerche dei clienti non servono recensioni positive, ma bisogna pagare l’inserzione al fornitore del servizio. Discorso identico per le promozioni che si susseguono settimanalmente: ai vari delivery servono per attrarre – o trattenere – sulla piattaforma i clienti, ma sono attività promozionali interamente finanziate da quei ristoratori che in piena pandemia non hanno registrato alcun calo delle commissioni.

https://lantidiplomatico.it/dettnews-ecco_quanto_pagano_le_multinazionali_del_delivery_di_imposte_in_italia/11_39265/

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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