Chiuse le indagini sull’assassinio di Luana D’Orazio, il padrone e i dirigenti della fabbrica tessile di Prato sono rinviati a giudizio. È provato che il meccanismo di sicurezza dell’orditoio era stato disattivato per ottenere l’8% di produttività in più e che per questo la giovane operaia è stata massacrata dalla macchina. È un omicidio vero e proprio, ma gli incriminati per esso se la caveranno con una piccola condanna, perché non sono state provate le ragione di lucro della scelta produttiva. Cioè non è stato dimostrato che il padrone ci guadagnava nell’esporre gli operai al rischio della vita. Così non ci saranno aggravanti nell’accusa ai criminali e resterà solo quella di omicidio colposo. Meno che uno stop non rispettato, per il quale almeno c’è il reato di omicidio stradale. Ma l’omicidio sul lavoro, per il quale c’è una precisa proposta di legge della USB finora ignorata in Parlamento, non è un reato oggi riconosciuto nella sua specificità. Quando mai nel paese guidato da Draghi e dalla Confindustria.
Così una eventuale condanna per l’assassinio di Luana sarà offensiva per la vittima, lontanissima dei 13 anni riservati al reato di solidarietà di Mimmo Lucano.
Questa è la giustizia di classe, questo il sistema schifoso fondato sui soldi che oggi trionfa. Per questo io anticipo qui la mia indignazione per la futura sentenza, per non confondermi con gli ipocriti coccodrilli che fingeranno scandalo quando verrà emessa. Vogliamo scommettere che i responsabili dell’omicidio di Luana se la cavano?
Giorgio Cremaschi PaP