Dopo la prima offensiva del governo centrale etiope verso la regione settentrionale del Tigrè, iniziata circa un anno fa, le forze in campo sembrano essersi del tutto ribaltate. Nella giornata del 2 novembre, il governo di Addis Abeba ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale con effetto immediato e le autorità hanno detto ai cittadini di prepararsi a difendere la capitale, preconizzando un possibile attacco da parte dell’armata tigrina che fa capo al Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (FPLT).
Il FPLT è un partito socialista e nazionalista tigrino che in passato era membro della coalizione di governo, denominata Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope. Tuttavia, tale coalizione è stata disciolta nel 2019 per volere del primo ministro Abiy Ahmed Ali al fine di formare un nuovo megapartito unificato, il Partito della Prosperità, decisione che ha innescato il conflitto con il FPLT, che oggi viene considerato come un’organizzazione terroristica da parte del governo, come si evince dal comunicato rilasciato: “Lo stato di emergenza ha lo scopo di proteggere i civili dalle atrocità commesse dal gruppo terroristico TPLF in diverse parti del Paese“.
Lo stato di emergenza di sei mesi consente, tra l’altro, di istituire posti di blocco, di interrompere i servizi di trasporto, di imporre il coprifuoco e di intervenire in alcune zone dei militari. Chiunque sia sospettato di avere legami con gruppi “terroristi” potrebbe essere detenuto anche senza mandato del tribunale, mentre qualsiasi cittadino che abbia raggiunto l’età del servizio militare potrebbe essere chiamato a combattere.
“Il nostro Paese sta affrontando un grave pericolo per la sua esistenza, sovranità e unità. E non possiamo dissipare questo pericolo attraverso i consueti sistemi e procedure di applicazione della legge“, ha detto il ministro della Giustizia Gedion Timothewos.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso FPLT, l’esercito tigrino ha preso il controllo delle città di Dessie e Kombolcha. Si tratta di un evento molto importante, in quanto questi centri non si trovano nella regione del Tigrè, ma nella regione degli Amara, situata più a sud, a metà strada tra la capitale tigrina Macallè e quella federale Addis Abeba.
Proprio in questi giorni ricorre il primo anniversario dell’inizio della guerra, quando il primo ministro Abiy Ahmed ha inviato le proprie truppe in Tigrè. Da allora, i tigrini hanno denunciato le atrocità commesse dalle forze federali contro la popolazione tigrina e la partecipazione dell’esercito eritreo, alleato di quello etiope. Dopo la prima avanzata delle forze federali e la presa di Macallè, nel mese di giugno il FPLT ha lanciato la propria offensiva, costringendo l’esercito di Addis Abeba alla ritirata dalla regione. La guerra si è poi estesa alle regioni confinanti, quella degli Amara, come detto in precedenza, e quella degli Afar.
Tali risultati sono in netta contraddizione con le affermazioni del primo ministro, che ad inizio conflitto aveva promesso che la guerra sarebbe terminata nel giro di poco tempo con una netta vittoria delle forze federali. Nonostante questo Abiy Ahmed è stato confermato primo ministro in seguito alle recenti elezioni legislative, alle quali però non ha potuto partecipare la regione del Tigrè, mentre altre regioni hanno dovuto fare ricorso ad elezioni posticipate per permettere lo svolgimento delle operazioni di voto in sicurezza.
Secondo le Nazioni Unite, il conflitto ha innescato una crisi umanitaria che ha lasciato centinaia di migliaia di persone in condizioni di carestia. Migliaia di persone sono state uccise e più di 2,5 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case. Tuttavia, secondo alcune fonti, l’indagine condotta dal’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite sarebbe stata fortemente limitata dall’ostruzionismo del governo etiope.
Il governo nazionale del primo ministro Abiy Ahmed ha vietato agli organismi di controllo dei diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, nonché ai media stranieri, di entrare nella regione assediata. L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra ha affermato che la sospensione da parte del governo dei voli e delle comunicazioni dal Tigrè ha reso difficile l’accesso a luoghi chiave sia “dal punto di vista logistico che di sicurezza”. Infine, le indagini delle Nazioni Unite sono state concesse solamente a patto che venissero sorvegliate dalla Commissione etiope per i diritti umani, scelta dal governo di Addis Abeba.
L’intensificarsi della guerra in Etiopia va ad aggiungere insicurezza e instabilità in una regione dell’Africa nella quale solo pochi giorni fa ha avuto luogo un golpe militare, quello del Sudan, con l’arresto del primo ministro Abdalla Hamdok. I due Paesi, insieme all’Egitto, erano già al centro di una complicata disputa internazionale circa la gestione delle acque del fiume Nilo, che l’Etiopia può controllare a suo piacimento grazie alla propria posizione geografica ed alla costruzione dell’enorme diga GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam).
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Giulio Chinappi – World Politics Blog