La morte del giovane Lorenzo Parelli, schiacciato da una trave di acciaio nel suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro, getta una luce tragica su un esperimento cominciato nel 2015 con la “buona Scuola” del governo Renzi e mai archiviato.
Lorenzo Parelli stava svolgendo l’ultimo giorno di tirocinio professionalizzante, alcuni hanno scritto stage di alternanza scuola-lavoro, tra il Centro di Formazione Professionale che frequentava e l’azienda Burimec di Lauzacco.
L’alternanza scuola-lavoro è normata in modo diversificato a seconda degli istituti superiori: nei licei, nei tecnici e nei professionali sono stati inaugurati i cosiddetti Pcto – Percorsi per le competenze trasversali e orientamento – mentre nei centri di formazione professionali l’alternanza è rimasta anche nella dicitura.
Intendiamoci subito: se è lavoro si paga ed è a carico delle aziende, se è formazione è garantita gratuita e pubblica.
Quello che sicuramente è comune in moltissime di queste esperienze è la bassa o nulla qualità formativa e la mancanza di formazione sulla cultura del lavoro di queste esperienze tra lavoro e scuola. In alcuni casi il tirocinio si trasforma in vero e proprio lavoro gratuito, quindi in una forma di sfruttamento.
Sono spesso le aziende che utilizzano in modo strumentale i Pcto e l’alternanza scuola-lavoro, quando cercano manodopera giovane, a basso costo, senza diritti sindacali.
La morte di Lorenzo Parelli non può non avere conseguenze. È avvenuta in un momento in cui il sistema scolastico si è dimostrato chiaramente inadeguato ai bisogni elementari di istruzione. La pandemia ha aperto un vaso di Pandora nerissimo: aule insufficienti e fatiscenti, personale ridotto all’osso, programmi inadeguati, apertura alla società inesistente a eccezione del canale-lavoro-azienda; eppure una costante e pervasiva campagna ideologica ha continuato negli ultimi anni a contrabbandare l’alternanza scuola-lavoro come un’occasione di sviluppo, di crescita, di innovazione. Il ministro Bianchi, che insiste molto su un’integrazione ancora più forte tra scuola e aziende, ha voluto commentare la morte di Lorenzo Parelli con una frase che lascia interdetti: “Il tirocinio dev’essere una esperienza di vita”.
Lo diciamo chiaro: gli studenti devono avere più scuola. Fermiamo la riforma del liceo in quattro anni e l’estensione della riforma degli Its (gli istituti tecnici superiori). Cerchiamo piuttosto di aumentare il numero di iscritti universitari e di laureati, e facciamo sì che la formazione aziendale la paghino le aziende.
La costituzione prevede che la scuola sia formazione per la cittadinanza, non un luogo dove si impara a essere sfruttati, a lavorare gratuitamente, ignorando la cultura del lavoro, e rischiando di morire.
Come genitori, docenti, operatori della scuola, studenti pensiamo sia venuto il momento di dire basta, in modo chiaro e definitivo, alla viltà dell’alternanza scuola-lavoro.
I ragazzi e le ragazze vanno a scuola per studiare, non per offrire braccia gratuite a un lavoro che si vuole formativo, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è stabilmente fermo al 30%.
Non si tratta di chiudere le porte della scuola a esperienze esterne a condizione che queste siano davvero inserite in un progetto educativo, conservino una valenza culturale, non siano obbligatorie e quindi vincolanti al superamento dell’esame di stato.
Per questo è venuto il tempo di abolire l’alternanza scuola-lavoro e avviare una riflessione seria sulla scuola pubblica e sui diritti dei giovani lavoratori.
Lo lascio spiegare a Barbero perché.