Intervista a Vincenzo Miliucci, protagonista dei primi anni di anni di opposizione al nucleare contro la centrale di Montalto di Castro, un momento chiave nell’intreccio tra movimenti antagonisti ed ecologisti della storia del paese.

La storia dell’opposizione al nucleare nel nostro paese risale alla fine degli anni ‘70 e ha vissuto nella resistenza a Montalto di Castro, nei pressi di Civitavecchia, una delle sue pagine più rilevanti. Proprio ora che si torna a parlare di energia nucleare è importante ricordare la storia di quel percorso e gli insegnamenti di quella lotta.

Quali furono le tappe che portarono alla mobilitazione di quegli anni e quali i momenti più salienti?

La mia storia inizia dal comitato politico dei lavoratori ENEL, azienda in cui ero entrato dopo un concorso nel 1967. [Enel da sempre è stata l’azienda che più ha investito in ricerca e costruzione di centrali nucleari, ndr]

Nel gennaio 1974, durante la prima crisi energetica mondiale, a seguito della guerra dello Yom Kippur del 1973, convochiamo a Genova un convegno contro il nucleare. Il documento prodotto alla fine si intitolava “Crisi dell’Energia e Ristrutturazione”, era molto solido e dimostrava con dati e tabelle quella che era la tendenza a investire nel nucleare. Già esistevano tre centrali e molte altre erano in programma, circa una ventina.

Nel 1976 ci incontriamo e ragioniamo assieme tra primi nuclei di oppositori alla centrale di Montalto, per lo più contadini e cittadini dell’area della Maremma toscana e laziale. Con loro occupiamo i binari della stazione di Capalbio, scatenando la reazione della polizia che ci ferma e denuncia. Curiosamente saremo scagionati dal Procuratore dell’epoca per aver «agito in stato di necessità», poiché il nucleare era una immanenza pericolosa davanti alla quale era legittimo opporsi.

Nel 1977 siamo dentro il movimento ed è presente una commissione antinucleare che organizza una giornata di primavera di “uscita dal nucleare” il 20 marzo del 1977, finalizzata a occupare i terreni dove si sarebbe dovuta costruire la centrale di Montalto. Pensavamo che saremmo stati in duemila e ci trovammo in ventimila. Fu un happening formidabile e dormimmo lì su quei terreni e quella giornata diventò l’inizio della battaglia contro il nucleare in Italia, mai si erano viste tante persone a manifestare per questa causa.

Dal 20 giugno al 16 settembre c’è un campeggio spontaneo che percorre tutta la Maremma nei vari comuni con più di 5 mila partecipanti distribuiti durante l’estate. Il momento più importante fu il 28 agosto 1977 con una manifestazione di 15 mila persone che pone le condizioni per aprire una battaglia vera e propria. A settembre però la polizia arresta chi era rimasto al campeggio e nei mesi successivi anche il movimento antinuclearista segue le vicende e la repressione che il movimento subisce in tutto il paese.

Continua però il nostro lavoro sottotraccia come comitato politico. Negli anni successivi diamo supporto alla lotta in altre d’Italia dove si costruivano centrali come Caorso nel 1979, vicino a Piacenza. Nel settembre 1979 riempimmo lo stadio di Piacenza con 17.000 persone per una manifestazione contro l’apertura della centrale.

Similmente dal 1980 al 1982 ci impegniamo contro la centrale di Cerano vicino Brindisi, e poi contro un faraonico piano di dieci centrali a livello nazionale tra le quali due previste in Puglia. Ci furono manifestazioni importanti e decisive.  Nel 1985 dopo anni di opposizione viene deciso dalle istituzioni che la regione Puglia non avrebbe ospitato centrali e fu una grande vittoria del movimento.

Il 1986 è l’anno del disastro di Chernobyl. In quella occasione produciamo un volantino e con quello giriamo tutta l’Italia. I rapporti con la Maremma erano ancora buoni dagli anni ‘70 e iniziamo a pianificare azioni dirette per chiedere il blocco dei lavori della centrale [iniziata a costruire dal 1982, ndr].

Il 6 agosto 1986, anniversario di Hiroshima, abbiamo avuto la perspicacia di organizzare una azione diretta per bloccare i lavori alla centrale, eravamo trecento antinuclearisti. La polizia iniziò a caricarci alle spalle e i lavoratori davanti a quella situazione se ne andarono via senza lavorare in quella giornata. Dopo questa azione diretta ne facemmo altre tre.

Il 16 dicembre 1986 viene convocata una manifestazione nazionale antinuclearista alla centrale di Montalto. La polizia arrivò in forze e colpì con violenza il corteo reprimendo duramente. Purtroppo quel giorno ero in carcere da un paio di mesi per accuse assurde e vidi i compagni massacrati di botte da una piccola televisione che avevo nella mia cella umida. Uscii di galera il 31 dicembre.

Nonostante la sconfitta quel 16 dicembre fu il giorno della verità perché pesò nelle coscienze democratiche del paese che non accettarono una repressione di quel genere, avevamo spostato a nostro favore il sostegno dell’opinione pubblica.

Nel gennaio 1987 ci incontrammo in una casa dell’avvocato Carlo D’Inzillo vicino a Montalto per organizzare la campagna referendaria, assieme a chi era disposto a sostenere la battaglia.

Fu molto importante la raccolta di firme per il referendum anche dentro Enel e riuscimmo a far riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza per non lavorare nel nucleare. In 80 persone tra tecnici e ingegneri esercitarono il loro diritto. 

Durante il 1987 la campagna fu molto intensa in tutto il paese e ci portò al referendum dell’8 e 9 novembre. In anticipo sui tempi, decidiamo di indire un blocco della centrale a partire dal lunedì successivo, convinti che avrebbe vinto il SI. Alle 7.30 di lunedì 10 novembre, con l’arrivo dei risultati definitivi, proclamiamo la vittoria dai cancelli della centrale che stavamo bloccando.

Un elemento che colpisce è quanto quei cortei riuscirono a coalizzare persone provenienti da background molto differenti, dal pacifismo all’autonomia. Come fu possibile?

Vivevamo in epoca di guerra fredda, in molti erano consapevoli dell’intreccio tra nucleare civile e militare e questo ci permetteva di aggregare il fronte pacifista e antinuclearista.

Riuscimmo a fare rete anzitutto con gli agricoltori maremmani, che erano consapevoli che avrebbero perso la loro fonte di reddito se si fosse costruita la centrale.

Poi Legambiente di Viterbo si schierò contro l’opera, contrastando la linea del nazionale che era contraria alla battaglia combattuta con l’azione diretta. Inoltre si unirono i pescatori della laguna di Orbetello, assolutamente contrari per i rischi che vedevano per il loro futuro. Ma andammo oltre, erano con noi i parroci della zona, non tutti ovviamente, ma quello di Marciano ne parlava durante l’omelia. Maestre e maestri della Maremma trattavano l’argomento con i loro studenti, e poi si unirono gruppi di compagne femministe che, a seguito del ’77, erano andate a vivere in Maremma per produrre agricoltura alternativa.

Ognuno faceva le proprie riunioni e poi ci si riuniva nel coordinamento antinuclearista maremmano ogni 15 giorni. Per arrivare al blocco del 6 agosto 1986 ci fu la partecipazione di tutti i gruppi.

Quanto quella lotta era collegata a quella di Comiso e quanto la lotta al nucleare civile era connessa a quello militare?

La mia prima volta a Comiso nel 1981, quando tra vari aree di movimento si iniziò a discutere su come opporsi al progetto di installazione di missili Usa nella base. Nel 1983 il percorso di resistenza si intrecciò con quello del movimento cattolico pacifista. Decidemmo pertanto di contaminare le nostre pratiche e di accettare di fare resistenza passiva. Nell’estate del 1983 si organizza un campeggio che culmina con una azione diretta, preparata con un training. Fu divertente e surreale, noi autonomi ci facevamo insegnare dai pacifisti come prendere le botte.  L’8 agosto bloccammo la base sedendoci all’ingresso in 800. Ci massacrarono di botte e 100 compagni finirono ospedale. La reazione dell’opinione pubblica fu strana, prima diffidente, poi con il passare dei giorni sempre più in appoggio fino a essere dipinti come eroi, fu un momento che ci permise di acquistare consenso.

Nel settembre del 1983 continuammo con blocchi e poi da lì si continuò a scendere in Sicilia e divenne comune, in quei mesi, percorrere i 1156 km che dividevano via dei Volsci da Comiso. Le azioni, i presidi fuori la base, i campeggi le assemblee, l’opposizione al nucleare civile e militare furono elementi che accomunano le due lotte.

Troppo spesso si ricordano gli anni ‘80 come anni di riflusso e di repressione, mentre invece dovrebbero essere ricordati come anni di vittorie, Montalto di Castro, Comiso, ma pure aver impedito la costruzione della base NATO di Isola Capo Rizzuto in Calabria.

Come si comportò il PCI di quegli anni davanti a questa lotta?

Il PCI fu sempre filonuclearista. Mio padre era comunista osservante e comprava “L’Unità”. La domenica il giornale usciva con un allegato per ragazzi che si chiamava “Il Pioniere” con una striscia animata da un personaggio chiamato Atomino, il mago che poteva risolvere tutti i problemi. Al nucleare ci credevano davvero e l’hanno sempre difeso.

La posizione ufficiale de “L’Unità” era che il nucleare civile andava fatto e, rispetto a Comiso, ribadivano sempre che era una battaglia giusta ma l’azione diretta era sbagliata come metodo.

Inoltre si dimostravano a favore di soluzioni che oggi chiameremmo di greenwashing come una struttura tecnologica all’interno della centrale di Latina costruita per convertire le scorie in carburante e che ovviamente non funzionò mai. Il PCI fu sempre favorevole.

Nel CDA Enel c’era il PCI con il suo rappresentante che era filonucleare e ci ha sempre attaccato per le nostre posizioni. Bisogna ammettere che il PCI non fu mai un compagno di lotta.

Cosa può insegnarci oggi quella battaglia, in un momento storico in cui la pressione per il ritorno al nucleare è così forte, anche a causa delle scelte poco felici della commissione UE?

Anzitutto va ricordato che abbiamo ancora con la stessa tecnologia di quegli anni. Non c’è nessun avanzamento significativo né in Francia né in Finlandia. Cominciare oggi una centrale nucleare vuol dire averla attiva tra 15 anni e sottrarre soldi alle rinnovabili nel frattempo.

Inoltre siamo ancora incapaci di trovare un deposito per le scorie prodotte negli anni ‘70 e ‘80 e vogliamo riaprire la partita?

L’insegnamento più forte di Montalto è che c’è stata una grande risposta della sovranità popolare davanti alle imposizioni dei governi, ma anche che la lotta paga ed è molto più importante delle tante chiacchiere di chi sta al potere.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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