Riceviamo e pubblichiamo
L’intervento di Luciana Castellina a ricordo di Monica Vitti apparso sul Manifesto del 3 febbraio contiene un passaggio che merita di essere rilevato e magari anche discusso.
Luciana scrive riferendosi alla “trilogia dell’incomunicabilità” di Antonioni “i suoi film mi avevano insegnato ad essere comunista in modo diverso e migliore, meno rozzo, più attento a una dimensione della persona senza la quale non si capisce nemmeno come è fatta davvero l’umanità, cioè il mondo che si vuole cambiare. Furono chiamate quelle narrazioni cinematografiche, anche i film “dell’alienazione” e forse questa definizione spiega meglio come e perché avevano potuto colpire a fondo me, e tanti altri un po’ schematici militanti”.
Marx parla di alienazione come di estraneità dell’essere umano rispetto a ciò che fa fino al punto di non riconoscere sé stesso .
Arrivare alla consapevolezza di quell’ estraneità (così come è descritto nell’intervento di Castellina) intendendola quale elemento del “partire da sé” per arrivare a concepire la trasformazione sociale in un quadro di libertà interiore contribuiva ad allargare oggettivamente il concetto di classe e definiva un presupposto possibile per l’esercizio di un’egemonia culturale e sociale senza timore di fermarsi a “tabù” preconcetti.
Nell’insieme delle espressioni culturali dell’Italia inquieta degli anni’60 essersi misurati con questi elementi di riflessione non limitandosi alla piattezza dell’economicismo è stato forse il punto più alto raggiunto dalla sinistra italiana nella pieno della sua forza di espressione intellettuale.