Il problema non è “guerra si – guerra no” – la guerra è già qui – quanto non aggiungere alla guerra anche il peso della menzogna, del fanatismo.
Il peso del fanatismo nella guerra
Lo spunto arriva dall’ottimo Paolo Nori su Il Foglio che, a proposito della guerra, cita Simone Weil sul “prendere partito” che “avrebbe sostituito il fatto di pensare“.
Certo, la Weil si schierò, per esempio in Spagna, con gli anarchici contro il franchismo. Ma sempre col dubbio, sempre senza fanatismo, sempre considerando “il carattere irreale della maggior parte dei conflitti emergenti“, sempre col bisogno di “screditare le parole congenitamente vuote”, molte delle quali oggi riproposte dalla attuale retorica dello schierarsi (il “mondo libero”, lo “scontro di civiltà”: come può esserci uno scontro di civiltà tra noi cattolici mediterranei e i cristiani ortodossi, lontani da noi assai meno dei puritani americani o dei calvinisti del nord Europa?).
Dalla riflessione sulla guerra, dalla lettura dei greci (l’Iliade), la Weil trasse la sua “legge della forza” e, influenzata dal pensiero dei catari come dai Veda e dai santi cristiani, pensò alla guerra come alla perdita del limite.
Forse inevitabile, anzi, finché ci sarà vita, inevitabile, punto (l’errore è casomai stato quello di pensare l’avessimo bandita per sempre). Forse anche affascinante, sì, nel suo orrore infinito affascinante.
Ma il problema non è “guerra si – guerra no” – la guerra è già qui – quanto non aggiungere alla guerra anche il peso della menzogna, del fanatismo (lo è anche quello del “mondo libero”), l’idiozia, l’ipocrisia, cercare di tenere sempre aperto uno spazio di dialogo anche con l’assolutamente opposto a noi, convertire la guerra – questo dovrebbe essere il compito degli intellettuali – in conflitto serrato tra idee in cui nessuna idea, anche quella che ci appare come la più aberrante, venga però espulsa del tutto dall’agone del confronto.
In questo abbiamo sempre creduto, in questo crederemo sempre, lasciando l’elmetto e le bandierine ad altri, comodamente seduti sul loro divano (come noi, del resto)