L’interrogativo è di quelli belli evidenziati, con un tratto di fastidiosa pruriginosità per un pacifismo che non la smette di chiedere una soluzione dove non esistano vincitori e dove…

L’interrogativo è di quelli belli evidenziati, con un tratto di fastidiosa pruriginosità per un pacifismo che non la smette di chiedere una soluzione dove non esistano vincitori e dove non esitano vinti.

Il punto interrogativo, ricalcato abbondantemente, sta alla fine di un periodo che, dopo molti giri di parole, si domanda: ma a cosa serve fare una grande manifestazione per la pace proprio mentre la recudrescenza delle armi impera, mentre i ponti saltano per aria in Crimea e mentre le città di tutta l’Ucraina sono bersagli dei missili russi?

Il direttore del giornale va avanti, incalza il pacifista: «Ma davvero pensate di poter fermare la guerra con una marcia arcobaleno? Come convincerete Putin a fermarsi?». Se non fosse che chi fa queste domande è abbastanza intelligente per non crederci scemi del tutto e, soprattutto, scemi di guerra, per la guerra e nella guerra, e se non fosse che la situazione è, ogni giorno che passa, sempre più drammatica, ci sarebbe da sorridere e trasformare così una distinguibile provocazione in una molto improbabile ironia.

Anche al tempo della guerra del Vietnam c’era una certa intellighenzia che pretendeva, con ragioni opposte ad una sinistra maoisticamente minoritaria e settaria, di ridurre il pacifismo ad una mera esternazione di princìpi, ad un corollario di idealismi fatti per fricchettoni e figli dei fiori che – cantavano “I Nomadi” – non pensavano al domani.

Ma anche le canzoni, si sa, vengono piegate nei loro significati alla ragion di Stato, usate contro o pro qualcuno o qualcosa. E così avvenne che, mentre il gruppo emiliano si riferiva alla spensieratezza di una leggerezza che non era disinteresse ai problemi di ogni giorno, qualcuno ritenne di innalzare la bandiera del pragmatismo e della responsabilità contro il nullafacentismo degli hippies.

I tempi cambiano ma, al pari della sporca guerra americana contro il popolo vietnamita, anche nella guerra d’Ucraina il pacifismo deve essere una opzione irricevibile per chi sta impegnandosi con tecnologia, armi e uomini per far prevalere un campo sull’altro mostrando alla grande massa dell’opinione pubblica che lo scopo di tutto è proteggere gli ucraini e salvarli da una guerra che, seppure non dichiarata, la NATO e gli Stati Uniti hanno cercato da molti anni.

Il rinvio della resa dei conti con l’imperialismo russo stava languendo troppo: da almeno tre lustri. Da quando la Crimea tornò ad essere proprietà di Mosca, mentre l’Alleanza atlantica si espandeva sempre più ad Est, tradendo le promesse fatte a Michail Gorbaciov e aprendo quindi la strada ad una ridefinizione globale degli assetti militari, politici ed economici tra occidente e resto del mondo.

Il direttore del giornale adesso sta ad ascoltare il pacifista, quello che per tutti è un’anima candida, tanto ingenua quanto rispettabile per questo suo congenito “difetto“.

Deve fare tenerezza e nulla di più chi mette sul tavolo della discussione l’opzione del cessate il fuoco immediato, dell’arretramento di tutti gli eserciti in campo e che sa bene che tutto ciò non lo si ottiene marciando con le bandiere arcobaleno per le vie di Roma o di Assisi, ma che comunque una manifestazione nazionale, grande, imponente, soprattutto oggi serve a reclamare che il proprio governo si muova n quella direzione.

Ma il direttore del giornale è sempre più piccato, aggrotta le ciglia, inarca il labbro, serra mezzo occhio e smorfieggia per far intendere che quella risposta non lo ha convinto per niente. E siccome rappresenta un giornale liberal-progressista, ci si può immaginare come la prendono quelli che si apprestano a governare l’Italia che ha sostenuto, sostiene e certamente sosterrà quel diritto dell’Ucraina a rimanere indipendente, libera e sovrana, mentre gli interessi della NATO e degli USA prepondereggiano muscolarmente.

E l’Europa? Che fa quel contenitore economico – bancario e finanziario che ci comprende? Si divide proprio sulla politica estera nel nome, ovviamente, della politica interna, dell’interesse nazionale che ora viene difeso non solo dai paesi di Visegrad ma pure dalla potente Germania, nel silenzio della Francia, nell’incertezza dei conti e della stabilità governativa tutta italiana, tra impostazione liberista mitteleuropea e nordico-scandinava e fronte di giustizia sociale ispanico.

In questo disordine europeo e mondiale, mentre da qualche settimana sembra di non sentire più rumoreggiare i venti di guerra tra Cina e Taiwan, mentre i missili nordcoreani sorvolano il Giappone e il suo mare, mentre Biden agita lo spettro dell’Armageddon e non aiuta ad abbassare i toni, viene fuori che i pacifisti sono i responsabili di un disfattismo che non aiuta a risolvere le sorti del conflitto.

Qui occorre ripetersi: perché se le sorti della guerra, come da che mondo è mondo, sono determinate dalla guerra stessa che si alimenta, allora è evidente che la pace che si cerca è quella non del bene contro il male, del bravo occidente contro il cattivo impero russo, la dittatura cinese e i loro simpatizzanti; ciò che si vuole mascherare da operazione di giustizia internazionale contro la famigerata “operazione militare speciale” è il prevalere di un modello su un altro, di una economia settoriale su un’altra, di un polo imperialista su un altro polo uguale e contrario.

I pacifisti hanno tutto il diritto di rivendicare presso i loro governi una via altra, di reclamarla, pur sapendo che difficilmente saranno ascoltati e che, per effetto “naturale” dei conflitti armati, la deterrenza esercita un ruolo maggiore del buon senso.

Questo proprio perché gli interessi in gioco sono tali che, se ogni parola e azione dei pacifisti è tacciabile di velleitarismo, lo è altrettanto pensare, come fa il nostro direttore del giornale, che le grandi potenze internazionali e i loro corifei siano lì per migliorare questa società, per farne, dopo la guerra, un mondo più sicuro, dove brillerà soltanto la retorica del “mai più guerre“.

Una manifestazione nazionale per la pace fa forse meno rumore dei cannoni, dei missili supersonici e, certamente, non ha la potenza detonante di una bomba atomica, seppure tattica…

Ma, prima di tutto, chi davvero ha a cuore la pace come elemento strutturale di una nuova umanità, unitamente – si intende – ad una evoluzione in senso sociale e collettivo dei bisogni che oggi sono declinati al singolare di pochi, grandi privilegiati, deve rivendicare il diritto di non collaborare con chiunque pretenda di spiegarci quanto sia meraviglioso credere, obbedire, combattere.

Quei tre verbi imperativi che il fascismo italiano scolpì nelle menti di un popolo che, in larga parte, sognava la prosperità attraverso la grandezza imperiale e l’affermazione del mito delle “romane genti“, riecheggiano alternativamente, non più espressione di una dittatura totalitaria, ma di un militarismo unito ad una politica di dominio economico che è la nervatura del liberismo moderno.

Oggi si crede nelle virtù taumaturgiche di un mercato che crea sempre maggiori diseguaglianze; si obbedisce al dettame dell’interesse nazionale ed europeo e si mandano i giovani a combattere facendo loro credere di essere così, un giorno, veramente liberi.

La guerra non spegne la guerra: per un decreto di Zelens’kyj che vieta qualunque trattativa ai suoi comandanti e ai politici ucraini, c’è pronta una risposta di Putin altrettanto illogica e brutale. Il diritto del popolo ucraino a difendersi muore nel momento in cui la guerra diventa lo scopo e non il mezzo. Lo scopo degli Stati Uniti di sistemare il loro pied-à-terre nella riconfiguarazione nordatlantica in una Europa radicalmente modificata dai nuovi disequilibri interni, ma saldamente unita dal vincolo della NATO.

Persino Giorgia Meloni se ne è convinta. Del resto, per governare un paese come l’Italia, per mantenere il potere appena avuto dal mandato elettorale popolare, si deve scendere a dei compromessi con tutto ciò che ci circonda. Soprattutto con la guerra, ignorando cinicamente le ragioni vere di un interesse nazionale e internazionale: vivere in pace, nonostante il capitalismo, nonostante tutti gli sporchi interessi delle industrie di armi e dei traffici finanziari…

La guerra non ferma la guerra e la deterrenza non può avere un carattere infinitamente esponenziale, altrimenti si arriva alla fine della deterrenza con il farne un’esagerazione disumana globale. Qualcuno deve iniziare a far girare il meccanismo al contrario. Qualcuno deve provarci.

Per questo le manifestazioni per la pace e tutte le azioni che non stimolano reazioni violente sono utili a questo scopo. La pressione sui nostri governi deve aumentare e più sarà di massa, più sarà una intelligenza critica collettiva che le muoverà, più se ne sentirà tutto il grande peso.

L’incoscienza incivile va sostituita con la coscienza civile. La rassegnazione con la ragionevolezza della lotta. Perché non possiamo lasciare il nostro mondo in mano a questi criminali: presidenti dell’una e dell’altra parte. Mentre ogni giorno muiono centinaia di persone, le diffenze supposte tra Occidente benevolo e virtuoso e Oriente malevolo e perverso si fanno sempre più sottili.

Prima che siano del tutto scomparse, manifestiamo, facendo tutto ciò che ci è possibile fare. Niente è troppo piccolo per sostenere la pace, qualunque piccolezza è troppo grande se va ad alimentare la guerra.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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