L’attentato avvenuto il 3 novembre ai danni dell’ex primo ministro pakistano Imran Khan giunge dopo mesi di gravi dissidi politici interni che stanno attraversando il Paese e che riflettono il più ampio gioco internazionale di alleanze e sfere d’influenza. Proprio Khan durante il suo mandato aveva messo in crisi la tradizionale alleanza con gli Stati Uniti, cominciando a guardare verso Cina e Russia e la sua destituzione arrivò ad aprile scorso al culmine delle tensioni con Washington, accusata senza mezzi termini dall’ex presidente di aver ordito la manovra parlamentare che lo ha messo in minoranza. La vicenda di Imran Khan, dunque, è emblematica dello scontro internazionale che si sta consumando, da un lato, per mantenere i “vecchi” assetti del mondo unipolare e, dall’altro, per dare vita a nuove alleanze politico-diplomatiche e a nuovi poli economico-commerciali indipendenti dalla sfera occidentale. Khan è stato ferito a una gamba da un proiettile sparato contro di lui mentre teneva un comizio a Wazirabad, nel Punjab pachistano, tappa della cosiddetta «lunga marcia» che ha come meta Islamabad dove l’11 novembre è prevista una grande manifestazione dei suoi sostenitori per chiedere nuove elezioni.

Fin da prima del voto di sfiducia, l’allora presidente pakistano aveva dichiarato in un discorso trasmesso dalla televisione di stato di avere ricevuto una lettera «minacciosa» dagli Stati Uniti: «gli USA hanno minacciato di rovesciare il mio governo per essermi rifiutato di installare basi militari statunitensi sul nostro suolo». Khan aveva anche chiarito che non si sarebbe piegato alle richieste di Washington: «Non permetterò al mio popolo di inchinarsi a nessuno e non permetterò mai che l’opposizione abbia successo», aveva affermato. Poco dopo è scoppiata una grossa crisi politica nel Paese che, a detta di Khan, sarebbe cominciata quando il Vicesegretario di Stato americano Donald Lu ha comunicato all’ambasciatore pakistano a Washington che la sua continuazione come Primo Ministro avrebbe «avuto ripercussioni» sui rapporti bilaterali tra i due Stati, essendo gli americani infastiditi dalla politica estera indipendente portata avanti dal fondatore del “Pakistan Tehreek-e-Insaf” (PTI – Movimento per la giustizia del Pakistan), uno dei maggiori partiti politici del Paese. I partiti dell’opposizione sono considerati, dunque, i mandanti del “cambio di regime” a Islamabad, essendosi fatti carico delle istanze della Casa Bianca.

Durante il suo mandato, Khan aveva affermato esplicitamente che il Pakistan non è schiavo dei paesi occidentali, conducendo quindi una politica estera non allineata: aveva, infatti, relazioni amichevoli con Russia e Cina con le quali nell’ultimo periodo prima della sua destituzione aveva imbastito proficui rapporti economici e diplomatici. L’ex presidente, infatti, non solo si era recato a Mosca il 23 febbraio – giorno antecedente l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” – per discutere di gasdotti e oleodotti che Gazprom dovrebbe costruire nel suo Paese, ma aveva anche firmato importanti accordi con Mosca sull’importazione di gas naturale e grano. Il Pakistan avrebbe dovuto importare circa due milioni di tonnellate di grano dalla Russia e costruire il Pakistan Stream in collaborazione con società russe. In sostanza, la presidenza di Khan aveva del tutto rifiutato di aderire alla coalizione antirussa imposta dall’Occidente per mezzo delle sanzioni, andando nella direzione opposta con un rafforzamento dei legami economici con Mosca.

Inoltre, il Pakistan si è astenuto all’ONU prima sulla risoluzione di condanna per l’invasione russa e dopo su quella contro le annessioni delle regioni ucraine: un vero e proprio smacco per Washington che in poco tempo ha visto andare in frantumi le relazioni con quello che considera un suo alleato storico, peraltro unico Stato nucleare islamico e dotato di un’intelligence considerata tra le più efficienti e abili al mondo. L’aeroporto militare pakistano di Peshawar, ad esempio, era la base operativa da cui la CIA osservava i sovietici e fu lo stesso Pakistan a condurre la mediazione tra Stati Uniti e Cina che rese possibile la visita segreta di Kissinger e quella di Nixon a Pechino nel 1978. Il declino delle relazioni tra i due stati si deve anche all’avvicinamento di Islamabad a Pechino: la Cina ha, infatti, investito oltre centodieci miliardi di dollari nel Paese in progetti quali il corridoio economico sino-pakistano che taglia oltre venticinque giorni di navigazione tra i porti cinesi ed il Golfo Persico e che prevede un gasdotto che porterà il gas iraniano in Cina passando dal Pakistan.

In seguito allo spostamento dell’asse geopolitico del Pakistan verso le potenze asiatiche e alle pesanti denunce di Khan di ingerenza da parte degli USA, il carismatico politico pakistano ha perso la fiducia in Parlamento per due voti, lasciando la guida del Paese all’opposizione in attesa di nuove elezioni che dovrebbero svolgersi a breve. Tuttavia, Khan è stato recentemente interdetto dai pubblici uffici dalla commissione elettorale del Pakistan per non avere dichiarato alcuni doni ricevuti da funzionari di paesi esteri durante il suo mandato e per averne successivamente rivenduti altri. Il leader non solo ha respinto le accuse, ma ha organizzato una enorme marcia di protesta – sostenuto dalla maggior parte dei pakistani che gli conferiscono grande credito – per chiedere elezioni anticipate. L’attentato avvenuto in una delle tante città presso cui stava tenendo un comizio non ha fatto altro che consolidare la stima e la solidarietà del popolo pakistano nei suoi confronti con un aumento delle manifestazioni in suo sostegno.

Al momento dell’attacco Khan era sul cassone di un camion, circondato dallo stato maggiore del suo partito: secondo le prime stime, il bilancio dell’attacco è di un morto e otto feriti. L’aggressore, arrestato dalla polizia del Punjab, ha affermato di voler «uccidere Imran Khan e nessun altro» perché «sta ingannando la gente», si apprende da un video che circola sui social media. L’attentato è stato condannato sia dal presidente pakistano Arif Alvi che dall’attuale primo ministro, Shehbaz Sharif, che ha chiesto alle autorità di aprire un’indagine sul caso. L’aggressione nei confronti dell’ex leader ha avuto l’effetto di inasprire le proteste e l’insoddisfazione del popolo pakistano, destabilizzando ulteriormente le precarie condizioni politiche del Paese. Per questa sera è atteso un discorso di Khan alla nazione, mentre lo stesso continua a chiedere lo svolgimento di elezioni libere e corrette, prive di ingerenze esterne, e le dimissioni del premier Sharif.

[di Giorgia Audiello]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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