‘Ciò che inferno non è’ racconta le ultime settimane di vita di don Pino Puglisi, ma nello stesso tempo descrive la dignità di chi vive in povertà e non si rassegna all’odio
Questa estate una cara amica mi ha regalato un libro che stava leggendo dicendomi ‘tieni, io per finirlo ne comprerò un’altra copia‘. Ed ha aggiunto: ‘Si legge con leggerezza‘. Conoscendola da sempre mi è bastato poco per capire cosa intendesse dire con quella frase. ‘Ciò che l’infermo non è‘ è la storia di un giovane palermitano e dell’attaccamento alla sua martoriata ed infelice città, ma è anche la scoperta del ‘Bene’ là dove pensiamo ci sia solo l’inferno.
E’ l’Amore con la A maiuscola, quello che tre P, così era soprannominato Padre Pino Puglisi dai suoi studenti, ha dato al suo quartiere: Brancaccio. Un luogo dove la miseria si vive con dignità, dove emanciparsi è difficile e richiede un coraggio fuori dal comune che tanti di noi non hanno.
Ecco come don Pino Puglisi accoglieva i suoi alunni il primo giorno di scuola.
‘Si era presentato con una scatola di cartone. L’aveva messa al centro dell’aula e aveva chiesto cosa ci fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta. Poi era saltato sulla scatola e l’aveva sfondata. <Non c’è niente. Ci sono io. Che sono un rompiscatole.> Ed era vero. Uno che rompe le scatole in cui ti nascondi, le scatole in cui ti ingabbiano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle parole vuote, le scatole che separano un uomo da un altro uomo’.
Ed ecco gli ultimi momenti della sua vita.
‘Maria ascoltami. Devi trovarti un lavoro. Te li do io i soldi per ora, ma tu promettimi che smetti di prostituirti. No, Maria, me lo devi promettere. Adesso, sì, adesso. Fallo per Francesco. No, non piangere. Ascoltami! Vai in quel centro che ti ho segnalato. puoi stare là, mangiare là, ti aiuteranno a trovare qualche lavoretto. Ho ricevuto una donazione per te. La prossima volta ti porto la busta, i soldi saranno sufficienti intanto che cerchi un lavoro. Ce la fai, tu sei una ragazza forte, sei una madre splendida con un figlio splendido. Ora ti saluto. Non piangere. Io ci sono sempre. Vedrai che andrà tutto bene.
Esce dalla cabina e si avvia verso casa. L’ultimo che incontra è Riccardo, gli fa gli auguri di compleanno e gli dà due baci. <Don Pino si è fatto vecchio>. < Ma che dici, ancora un ragazzino sono>. <Buon Compleanno, parrì>, gli strizza l’occhio e si allontana di corsa.
Lo aspettano con due macchine, le braccia penzolano fuori a lasciar svaporare il fumo e cadere la cenere, una coppia in una e una di appoggio nell’altra. I due che non guidano scendono contemporaneamente. Ormai vicino al portone, don Pino cerca nel borsello le chiavi, ma non fa in tempo ad aprire.
Un uomo che non ha mai visto gli sbarra la strada. Sta per chiedergli se gli serve qualcosa, ma quello lo precede.
<Parrì, questa è una rapina!>. <Me l’aspettavo.> Gli sorride, don Pino.
Il Cacciatore, che intanto si è portato al suo fianco, gli spara da venti centimetri come l’ultimo dei traditori che non ha il coraggio di guardare in faccia l’avversario. Ma quella posizione di tre quarti gli basta a vedere il sorriso.
Le ultime parole di un uomo sono ciò che conta. Sono il sigillo della sua vita. Lui dice: <Me l’aspettavo>. Lui dice che era pronto, alle 20:40 del 15 settembre 1993. E sorride. Questa è l’ultima parola. Aspettava la morte. L’aspettava come chi va a un appuntamento o riceve una visita a lungo attesa. Lui muore con un sorriso. E non vede i suoi assassini ma due figli: li aspettava, con un sorriso, come un padre che corre incontro al figlio lontano da tempo. Vede attraverso di loro, vede oltre loro. E in quello sguardo loro vedono se stessi com’erano da bambini, il Cacciatore aveva un altro soprannome: Ricciolino. Era il nomignolo con cui lo chiamava sua madre. Quel sorriso lo riporta lì, quel sorriso gli dice: non sai quel che fai, tu sei altro. Quel sorriso è il castigo peggiore che possa capitare a un assassino, e il Cacciatore non potrà più dormire la notte. Ci sono delitti che cercano i loro castighi e finiscono col trovare solo il loro perdono‘.
‘Il Cacciatore sorride amaro. Ha ucciso un uomo che sorride‘.
‘Ci sono posti dove l’inferno non può arrivare, neanche all’inferno‘.
Fonte ‘Ciò che inferno non è’ di Alessandro d’Avenia