Immagine dell’EZLN
Articolo di Gilberto López y Rivas, pubblicato sul quoridiano messicano La Jornada e tradotto da Francesco Cecchini per Ancora Fischia il Vento.
I Maya zapatisti, un altro dei movimenti che proliferarono in America Latina dopo il trionfo della rivoluzione cubana, in un altro memorabile 1 gennaio, ma dal 1959.
Questo 1° gennaio, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha celebrato il 29° anniversario dell’inizio della sua storica ribellione armata, che ha sconvolto il paese e ha messo direttamente in discussione il regime politico autoritario del PRI e il suo modello neoliberista in atto. Dalle loro prime apparizioni pubbliche, nei sequestri dei centri urbani del potere meticcio e, successivamente, nelle loro dichiarazioni e forme discorsive durante i colloqui di pace e il processo negoziale che diedero origine ai cosiddetti accordi di San Andrés, del febbraio 1996, i Maya Zapatisti, nonostante il loro nome di liberazione nazionale, seguirono percorsi inediti verso i movimenti che con questo orientamento strategico proliferarono in tutta l’America Latina dopo il trionfo della rivoluzione cubana, in un altro memorabile 1 gennaio, ma nel 1959.
Si sono distinti non solo per la composizione maggioritaria indigena della loro organizzazione, ma anche per il carattere assembleare profondamente collettivista per prendere decisioni nel loro percorso ribelle. Ricordiamo che anche la sua dichiarazione di guerra al malgoverno era stata precedentemente votata nelle comunità sotto la sua egemonia. Il nucleo insorto, pur mantenendo una struttura militare, non permeava gerarchicamente i governi emersi da un altro processo che caratterizza lo zapatismo: la costruzione delle autonomie dal basso. L’EZLN ha preso anche una decisione politica mai osservata nell’esperienza della guerriglia in America Latina: ritirare dai governi autonomi tutti i membri di quel nucleo militare, poiché dovevano essere civili.
Sulla base dei criteri o delle ipotesi del Progetto Latautonomy (abbreviazione di Autonomie multiculturali: una condizione necessaria per lo sviluppo sostenibile in America Latina) analizza quanto può essere sostenibile un processo autonomico e in quale misura. Pertanto, l’autonomia dei Maya zapatisti si distingue, prima di tutto, per la sua integralità o equilibrio, poiché copre tutte le sfere sociali, culturali, economiche e ideologiche. educativo e sanitario, tra gli altri. Il Progetto Latautonomy sintetizza in questa direzione che in un sistema autonomo che è un processo sociale da cui emerge un nuovo soggetto politico, ci deve essere un equilibrio tra la dimensione politico-giuridica, la dimensione culturale-interculturale e la dimensione economico-ecologica. Se un processo autonomo è carente in una di queste dimensioni (a causa dell’eccessiva dimensione di un’altra), c’è il pericolo che attori esterni (Stato nazionale, proprietari terrieri, imprese transnazionali, ecc.) penetrino nel sistema e lo sovvertano dall’interno e distruggano esso. I Maya Zapatisti hanno costruito – nonostante la guerra controinsurrezionale che ha logorato fino ad oggi lo Stato messicano, che comprende l’azione permanente di gruppi paramilitari –, un sistema di governo partecipativo che coinvolge tutti, producendo profonde trasformazioni nel proprio soggetto autonomo: nei rapporti tra generi, tra fasce di età, nei loro rapporti con gli ambienti regionali, nazionali e internazionali.
I Maya zapatisti hanno rafforzato i tre livelli di governo: comunitario, zonale e regionale, che nell’ipotesi della rete Latautonomy si spiega come segue: La sostenibilità di un sistema autonomo dipende dalla sua capacità di collegare il livello dei locali delle comunità con una struttura regionale in modo orizzontale e interattivo. Attraverso un processo di integrazione dal basso, devono essere create strutture politiche economiche partecipative che si articolano sia all’interno delle autonomie multiculturali che all’esterno, generando un progetto di società alternativa. Questa ipotesi va sia contro ogni localismo etnocentrico sia contro le rappresentazioni gerarchiche che impediscono lo sviluppo di meccanismi partecipativi nelle decisioni politiche.
In questi 29 anni, i Maya zapatisti hanno consolidato strutture autonome che, se confrontate con le 10 ipotesi di sostenibilità del Progetto Latautonomy, sono chiaramente paradigmatiche rispetto ad altre esperienze studiate (Nicaragua, Panama, Bolivia, Ecuador, Brasile). Così, il controllo del territorio, nonostante la controinsurrezione, l’efficacia dei meccanismi interni di risoluzione dei conflitti basati su una governance democratica e partecipata, la lotta al degrado ecologico e la reale possibilità di sfuggire alle leggi del mercato, fanno dell’esperienza zapatista una luce nel tunnel della crisi di civiltà che l’umanità sta vivendo. Soprattutto quando l’attuale forma di accumulazione capitalistica porta, come rileva Latautonomy, alla definitiva perdita di ogni possibilità di sviluppo sostenibile.
Subcomandante Marcos, primo subcomandante dell’EZLN