Cosa sta succedendo in Perù? Dove sta andando questo paese di poco più di 33 milioni di persone? Il 19 gennaio manifestazione nazionale a Lima, poco più di un mese da quando Dina Boluarte ha assunto l’incarico con il sostegno di un Congresso senza legittimazione popolare e con solo l’8% di consensi nei sondaggi, ma nel quale l’estrema destra si è asserragliata per cercare di compensare il potere perso alle urne

Il prossimo 19 gennaio ci sarà una manifestazione nazionale a Lima con delegazioni da tutto il paese che stanno raggiungengo la capitale per chiedere una assemblea costituente e nuove elezioni, assieme alla fine del governo di Dina Boluarte, presidenta de facto dopo la caduta di Pedro Castillo, presidente che aveva creato aspettative nei settori popolari dopo aver sconfitto la candidata di estrema destra Fujimori. Il 10 gennaio, (subito dopo la stesura di questo articolo, pubblicato il 9 gennaio su El Salto Diario), una durissima repressione poliziesca a Juliaca, nel sud del paese, ha portato al più grande massacro dell’ultimo periodo: 17 morti e 53 feriti, colpiti tutti da colpi di armi da fuoco sparati dalla polizia contro i manifestanti (nota della redazione).

Dopo sei presidenze in cinque anni, la crisi attuale, nella quale il Potere Esecutivo e quello Legislativo si sono misurati con forze che sono sfociate in denunce o colpi di stato, ha danneggiato fortemente la democrazia, spiega Indira Huilca, sociologa ed ex-deputata della Repubblica. «Siamo in un regime autoritario quasi dittatoriale. L’unica forza a disposizione di Dina Boluarte per un governo di transizione è proprio la forza della repressione», commenta la politica peruviana, figlia di un dirigente sindacale assassinato durante la dittatura di Alberto Fujimori.

Per la ex-parlamentare, il regime di Dina Boluarte, il Congresso, il Potere Giudiziario e il Pubblico Ministero dispongono di un’azione articolata e di una stessa lettura che viene interpretata, da parte dei settori della destra tradizionale (potere economico e mediatico), come la necessità di restaurare il potere dopo aver perso le elezioni del 2021 contro un Pedro Castillo che rappresentava, all’interno della politica e della società, quei settori della popolazione, principalmente delle province del paese, insoddisfatti del modello economico e sociale che avrebbe dovuto portare pace e sviluppo.

«C’è la volontà di ripristinare quel profilo di potere politico, economico e mediatico, con uno sguardo verso il potere della centralità della capitale Lima, che si manifesta più razzista e repressivo. Questa destra tradizionale vuole assicurarsi che non accada più quello che le è successo nel 2021. Non vuole correre il rischio che questo settore della popolazione, che non percepiscono come uno di loro, che chiede una Nuova Costituzione, elezioni anticipate immediate e altre riforme, torni a determinare le elezioni», afferma Huilca.

Nei giorni scorsi, il governo Boluarte si è scontrato con dirigenti e cittadini delle province del Paese, accorsi a Lima invocando la chiusura del Congresso e la fine del regime di turno al potere. La Direzione contro il Terrorismo (Dircote) della Polizia Nazionale ha fatto irruzione nei locali della Confederazione Contadina del Perù dove si erano rifugiati diversi partecipanti alle mobilitazioni. Hanno cercato di collegarli ad azioni violente e provato a far passare di soppiatto quella che è ormai diventata una narrazione ricorrente da parte del Potere Esecutivo: il “terruqueo”, parola diventata comune in Perù e che non è altro che la “macchina dell’odio” di una classe politica che intende criminalizzare chiunque non sia d’accordo con i propri obiettivi [dal termine “terruco”, unione dello spagnolo “terrorista” con il suffisso quechua “ucho” utilizzato negli anni ’80 per denigrare il Partito Comunista del Perù e il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru – ndt].

Glatzer Tuesta, giornalista e direttore dell’Istituto di Difesa Legale (IDL), istituzione della società civile che promuove e difende i diritti umani, sottolinea che «A proposito di come si è generata la narrazione finalizzata a garantire alcuni livelli di impunità per poliziotti e militari, c’è una coalizione anti-diritti che sta esercitando il potere in quasi tutte le sue espressioni istituzionali, non solo Congresso della Repubblica e Corte Costituzionale (massimo organo di giustizia del Perù) e altre istituzioni, ma adesso anche nel Potere Esecutivo, dopo il passaggio di consegne avvenuto quando Pedro Castillo ruppe l’ordine costituzionale aspirando al colpo di stato che finì per metterlo in galera, lasciando il posto a una coalizione autoritaria che è riuscita a militarizzare il territorio nazionale sul quale si sono verificati omicidi che certo non saranno chiariti tempestivamente».

Tuesta avverte che c’è «una sorta di persecuzione indebita e feroce è diventata oggi ufficiale, seguendo l’idea promossa negli anni ’80 e ’90 di accusare qualsiasi dissidente, sia esso il più moderato o il più estremista, di essere un apologeta del terrorismo o di essere terrorista o violento che favorisce la criminalità organizzata. Questo, per condizionare le proteste sociali».

Cos’altro può succedere? Il giornalista azzarda uno scenario scoraggiante: «Che questa situazione peggiori o finisca per essere il punto di unità di questi settori anti-diritti e che inizino una “lotta contro la violenza”, ma una violenza intesa come quello che per loro rappresenta qualsiasi attore che non condivida i loro interessi, siano essi leader indigeni, dirigenti contadini, militanti sociali e di quartiere, dirigenti di partiti di sinistra, organizzazioni non governative o settori della stampa che non fanno parte di questa specie di cartello mediatico che ha sostenuto questo settore antidemocratico; questo è molto grave».

Melania Canales, ex-presidente dell’Organizzazione Nazionale delle Donne Indigene Andine e Amazzoniche del Perù (ONAMIAP), sottolinea con enfasi che «viviamo in una dittatura civico-militare che perseguiterà coloro che sono contro il sistema».

Canales, che definisce «traditora» Boluarte che prima di impugnare le redini del Paese è stata vicepresidente del governo di Pedro Castillo, afferma che è necessaria una nuova Costituzione che non sia antropocentrica e risolva i cambiamenti strutturali del Paese, e che le riforme dovranno passare anche attraverso il sistema elettorale che non consente una vera rappresentanza.

«Il sistema elettorale è stato costruito dalla destra o dall’estrema destra. I deputati che abbiamo non rappresentano quasi nessuno, ricevono il mandato con una bassa percentuale di voti, sono eletti in base alla ripartizione dei voti vincenti dei partiti di cui fanno parte. I partiti politici non rappresentano le organizzazioni sociali ma appartengono a persone fondatrici, ovvero hanno un proprietario: in altre parole, sono aziende».

Come misura per uscire dalla crisi, propone un governo di transizione nel più breve tempo possibile. «Ma non con chi governa adesso, né con l’Esecutivo né con l’attuale Congresso, ma con un soggetto diverso che porti a nuove elezioni con nuove regole e che rispetti i diritti umani». È possibile? «Dipenderà tutto dalle persone, se il popolo continuerà a far sentire la propria voce e non tornerà alla normalità» risponde Melania Canales, che è anche coordinatrice del Collegamento Continentale di Donne Indigene delle Americhe (ECMIA SUR).

RIPETERE LA STORIA SENZA MEMORIA

La storia del Perù negli ultimi 50 anni, con governi militari, un conflitto armato interno le cui ferite ancora sanguinano, la dittatura di Alberto Fujimori (ha governato dal 1990 fino al 2000, quando è fuggito dal Paese), governi di transizione e mandati deboli non sembra aver lasciato insegnamenti.

Lo storico peruviano Juan Fonseca concorda sul fatto che ci troviamo in un regime autoritario diretto verso un regime dittatoriale.

Alla domanda su quali scenari storici del Paese sarebbero serviti per fermare quanto stiamo vivendo oggi, Fonseca riflette su tre punti: «Primo, gli anni ’90, Quanto fatto da Alberto Fujimori ora lo rivediamo ad alta velocità: l’intero processo di concentrazione mediatica, la narrazione a senso unico che viene dallo Stato ed è avallata dal potere reale, il problema della repressione e del terruqueo per delegittimare in base ad un’ideologia le diverse espressioni della cittadinanza. È dannoso. Dovremmo ricordare come si è concluso quel regime.

Secondo, la mancanza di malcontento popolare, che viene offuscato dalla narrazione della capitale (Lima), e di una critica al modello economico e sociale degli ultimi 30 anni. I settori emarginati, situati principalmente nelle provincie, vengono ignorati. Terzo, non c’è bisogno di dimenticare la violenza politica degli anni ’80 per capire che dobbiamo rifiutare lr ideologie violente che Sendero Luminoso e il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru hanno rappresentato, che è molto pericoloso alimentare le manifestazioni di malcontento con discorsi che soffiano sul fuoco. La classe politica parla molto di terrorismo per stereotipare i movimenti popolari, però, indirettamente sembra che sia proprio quello che cercano e il malcontento sarà così forte che si potrebbe generare un movimento violento che (attenzione) non è quello che abbiamo in questo momento».

Il Perù è sulla strada per un Chilenazo [sollevazione popolare che ha portato a una nuova Costituente ­– ndt]? Lo storico non lo esclude in quanto, ricorda, lo scenario che ha portato quel Paese vicino del Perù ad avere un’Assemblea Costituente è iniziato con una scintilla che è poi deflagrata quando sono emerse una serie di rivendicazioni settoriali o locali, generando un’anarchia il cui unico elemento comune era il malcontento verso le élites.

«In Perù, tutte le proteste convergono sul rifiuto del Congresso e della violenza del governo di Dina Boluarte, anche nelle economie informali, nel regionalismo e in altre rivendicazioni più specifiche. Se le cose non si risolvono nel migliore dei modi possiamo arrivare a quel livello, tanto più perché il governo, invece di invitare alla calma e creare un momento di riflessione e autocritica, ha un atteggiamento di palese provocazione nei confronti della popolazione, e questo potrebbe portare al ripetersi dell’esempio cileno in Perù».

Il regime di Boluarte ha presentato un progetto di  elezioni anticipate per aprile 2024. La richiesta delle piazze non va nella stessa direzione: chiedono che il processo sia immediato. Le ultime dichiarazioni della Capo di Stato negano la responsabilità degli omicidi durante le proteste, lo stato di emergenza permane in 15 regioni e le mobilitazioni che si erano calmate per le festività di fine anno hanno ripreso ad animarsi. Il futuro del Perù è in una costante incertezza.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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