Il declino del ciclo di potenza è inevitabile, come sostiene lo storico Paul Kennedy, e siamo davanti ai colpi di coda per frenare il tramonto americano?

Tramonto americano

Di Pierluigi Fagan*

Lo storico delle potenze britannico Paul Kennedy, pubblicava nel 1987 “Ascesa e declino delle grandi potenze” in cui, tra l’altro, sosteneva che: “Il compito che dovranno affrontare gli statisti americani nei prossimi decenni, quindi, è riconoscere che sono in atto tendenze generali e che è necessario “gestire” gli affari in modo che la relativa erosione della posizione degli Stati Uniti avvenga lentamente e senza intoppi”.

Questo nella migliore delle versioni possibili ovvero lo sguardo distaccato di uno studioso. Se si è al vertice del sistema dominante è facile che l’idea di “gestire il declino” non vada per la maggiore e ci si convinca di evitarlo del tutto.

Da allora si sono dipartite due linee, quella della riflessione sul futuro degli Stati Uniti d’America e poi dell’Occidente che ha sviluppato ampia letteratura ormai assunta a genere, il “declinismo” e quella pratica di ciò che i vertici della potenza dominante hanno fattivamente messo in atto per rallentare o forse evitare del tutto tale destino.

Poco dopo l’exploit editoriale di Kennedy che ammoniva sulla delicatezza degli equilibri tra potere economico, militare, diplomatico inteso come potere politico internazionale, è caduto il Muro di Berlino, è implosa l’Unione Sovietica e poi si è riunificata la Germania, Fukuyama ha festeggiato profetando un “oltre la storia”.

Si è sostituito il GATT col WTO ed è iniziata l’ultima globalizzazione, è iniziata la new economy, è poi crollata in borsa rivelandosi una bolla mentre i grandi strateghi sfornavano bellicisti rapporti su un improbabile “Nuovo secolo americano”.

La Cina è entrata nel WTO, sono cadute le Torri gemelle, nel frattempo per un decennio si sono svolte le guerre Jugoslave, gli americani si sono messi a prestare soldi per comprare case a gente che non poteva dare garanzie, la nuova bolla è scoppiata rovinosamente, lo Stato americano ha stampato dollari a manetta ripianando il debito di bilancio del banco-finanziario privato sostituendosi alla “mano invisibile”.

Ci sono state due guerre civili in Libia ed una serie di rivolte nel mondo arabo prematuramente dette “primavere” e visto che il format prometteva bene ce ne è stata una anche in Ucraina, è poi iniziato un decennio di crisi economico-finanziaria permanente ma non per il comparto finanziario supportato di nuovo dalla lievitazione artificiale delle ICT.

Dopo è iniziata la guerra in Siria, l’ISIS, è arrivato un coronavirus che ad oggi si stima abbia fatto circa 7 milioni di morti in giro per il mondo, ci si è sempre più preoccupati del cambiamento climatico pensando di farne motore per una nuova spinta di improbabile crescita nel mentre ogni anno -da più di venti- Oxfam o altri producono rapporti che dicono della costante crescita delle diseguaglianze tra pochissimi e tutti 

Poi gli americani si sono ritirati di colpo ed in tutta fretta dalla più lunga guerra dopo la IIWW in Afghanistan lasciando il paese a quelli che lo governavano prima e fortunatamente i russi hanno abboccato varcando il confine dell’Ucraina.

Oggi gli americani sono sempre il 4,5% della popolazione mondiale e in virtù della loro multiforme potenza fanno ancora il 25% del Pil mondiale. Ma poiché hanno una bizzarra distribuzione interna della ricchezza hanno più di trenta milioni di poveri assoluti e poche centinaia di giga-miliardari.

A seguito della mossa russa hanno ordinato a gli europei a tagliarsi il gas ed ogni rapporto di vicinato con Mosca, li hanno invitati ad aumentare a dismisura la spesa militare ed inviare tutto quello che hanno al fronte, prima hanno detto che ci limitavamo alle armi leggere, poi pesanti, oggi i tank, domani i missili a lungo raggio e l’aviazione, tengono in ansia costante i cinesi in vario modo, hanno annunciato che ora il gioco è “democrazie vs autocrazie” cooptando in un boccone tutti gli europei messi a gli ultimi posti della fila di comando dopo l’anglosfera dopo aver riformato il trattato di dominio di vicinato con Messico e Canada.

Hanno poi comunicato che la globalizzazione ed il libero mercato è mercanzia avariata e quindi hanno sovvenzionato la produzione tecno-scientifica, quella orientata a sviluppare le energia rinnovabili e messo sul piatto mille miliardi per il rinnovo infrastrutturale ma solo per imprese che producono a casa loro.

Prima hanno dileggiato un tizio davvero improbabile che squittiva “American First!”, poi l’hanno -nei fatti- messo in pratica, ma con molti più sorrisi. Quello che non rientra nel rimpatrio delle produzioni globalizzate (re-shoring) potrà esser appoggiato a qualche staterello subalterno ma con poche leggi e costo del lavoro adeguato chiamandolo “friend-shoring”.

Hanno poi cominciato a smontare tutte le istituzioni multilaterali con troppi lati e a mettere mezzo mondo davanti la scelta “o con noi o contro di noi” invitando Giappone e Germania a riarmarsi mentre la macchina del soft power si è dedicata a nuove meraviglie dell’AI e delle serie televisive.

In attesa che i russi fragilizzati perdano il vantaggio militare sull’Artico e si possa aprire le porte ai venti di tramontana che, visto l’innalzamento delle temperature, ci sta pure bene.
Basterà a rimandare o invertire la plumbea profezia di Kennedy sul fatto che il declino del ciclo di potenza è inevitabile?

* Ripreso da Pierluigi Fagan – Complessità

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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