Ho sempre sostenuto che Bologna non rappresentasse l’Italia, che il suo pregio ed il suo maggior difetto creassero delle condizioni politiche impraticabili altrove. Nel dopoguerra il PCI è riuscito a creare un compromesso unico con la città, con la sua natura universitaria, con una predominante borghesia dedita al lavoro intellettuale, con un vasto e ricco ceto immobiliare che affonda le radici nell’identità profonda della città, nella sua storia medievale. Sullo sfondo un non poco influente segmento cattolico, anche a livello popolare, ha contribuito a rinforzare di volta in volta questo “compromesso storico”. Una situazione unica in Italia, un equilibrio quasi impossibile altrove, unico nella città di Prodi, delle Sardine e dello Zecchino d’Oro.
Nonostante questo, i tempi maturano come le élites e possiamo iniziare a ricrederci. Bologna ha fatto scuola, mal comune mezzo gaudio.
Nell’epoca della narrazione la comunicazione è tanto estetica quanto proposta politica. Se si vuole quindi capire la vittoria di Schlein alle primarie PD non si può far finta che le scelte comunicative, mediatiche e simboliche siano solo di contorno ad una proposta politica, ad una prospettiva, ad una direzione strategica. Chi pensa questo o non ha letto e compreso i testi delle mozioni PD e le immagini o mente sapendo di mentire. Ho letto i documenti delle quattro mozioni e mi sono concentrato sugli eventi pubblici della neoeletta segretaria. Confesso, ci vuole fegato, ma credo che anche il più svogliato dei commentatori non possa non riconoscere il percorso “americano” che, nel complesso, ha intrapreso il Democratic Party italiano: non c’è sostanza e differenza in quelle mozioni, non c’è un elemento di vera rottura su nulla, è solo l’estetica dei documenti online che “narra”, che determina identità e genere. Gli slogan sono le colonne portanti, la motivazione psicologica: L“energia popolare” (mozione Bonaccini), con il suo piccolo mondo antico virtuale, con le sezioni, le feste di autofinanziamento, il consigliere di quartiere, non poteva sopravvivere a lungo al messaggio totale all”empowerment” così praticato dalle nuove élites liberali sui media. “Partiamo da noi” (mozione Schlein) perché noi possiamo. Of course we can!
Elly Schlein non ha mai nascosto quello che è il suo modello di partito politico, fin dall’inizio della sua notorietà si è delineata per il suo profilo politico culturale smaccatamente statunitense, ascrivibile ai liberal USA e, più in generale, alla retorica praticata oltreoceano. La sua rivendicata biografia delinea gli ambienti ed il sottofondo politico: una famiglia legata agli ambienti accademici, diplomatici e dell’apparato statale, una borghesia tutt’altro che disinteressata alla politica. Altro che una “outsider”, parliamo di chi cresce nel mondo dei “grandi”. Schlein impara durante la sua partecipazione alle due campagne per Obama e mette in pratica nella nostra realtà le forme pubbliche della politica americana, dai classici militanti in cerchio durante lo “speech”, spesso con tanto di cartello, alle testimonianze resilienti di contorno. Le stesse forme retoriche non sono casuali, la mimica è già nota a chiunque abbia visto un servizio televisivo su una qualsiasi elezione americana: è coerente e niente è lasciato al caso. Da “Yes we can” a “Possibile”, da “Occupy Wall Street” ad un più prodiano “Occupy PD”. Dai continui richiami nei suoi discorsi pubblici alla “comunità”, mutuati dall’uso retorico che nella società statunitense si fa del termine “community”, a quel “noi possiamo” veicolato dalla forza della leader, la fascinazione per la cultura politica liberale americana è totale, omnicomprensiva. Nonostante la debordante formazione politica, Elly Schlein sa bene che l’Italia non è l’America dei Caucus democratici ed in questo il modello Bologna torna utile, tanto nella comunicazione politica tanto nelle relazioni da mettere in piedi.
Fin dall’inizio, Schlein guarda a sinistra e la guarda nell’ambiente che frequenta, attraversa il movimentismo, vive l’atmosfera del compromesso già citato. Schlein ha lanciato un OPA su quella zona grigia che si muove tra la sinistra radicale ed il PD, quell’ambito della borghesia cognitiva che, da sinistra, ha abbracciato il liberalismo ed il libertarismo, la nuova ragione del mondo. Sono stati quei segmenti (più che altro presenti ed egemoni nel centro nord) a permettere a Schlein di vincere alle primarie. La scuola di Bologna e la scuola di Chicago, in questo sta l’equilibrio.
L’area politica sopracitata sarà più interna (del solito) al PD, non c’è dubbio, l’OPA alla fine è riuscita ad umiliare quei dirigenti del PD che hanno continuato a lavorare in difesa, spesso descrivendo romanticamente un partito di “compagni delle Feste dell’Unità” ma sempre più assottigliato, la cui unica ragione di vita quotidiana è la gestione degli enti locali, delle relazioni con i soggetti economici ed il mantenimento dell’apparato. Questo segmento non può avere vita lunga, si assottiglia con i suoi iscritti, cede il passo ad un’élite più dinamica, più utile allo scopo, più interna al processo richiesto di americanizzazione della forma politica. L’unico Partito in Europa che ha scelto per nome l’esatta traduzione del Democratic Party made in USA non poteva che accelerare un processo che portasse ad una nuova classe dirigente, slegata anche sentimentalmente (ma ovviamente opportunisticamente) dalla storia del movimento operaio, allo scopo ultimo della Bolognina (quartiere dove, sarà un caso, Elly Schlein vince sia alle elezioni nei circoli sia alle primarie, con tanto di benedizione di Occhetto).
Va da se che Schlein non abbia affrontato il tema della guerra, spesso come se non esistesse e come se le ricadute economiche sui cittadini non fossero minimamente nel dibattito pubblico. Le poche volte in cui si è espressa verbalmente si è ritrovata in un impaccio difficile da gestire, costretta nel compromesso tra pacifismo idealistico e “ragion di stato”. La risposta della Schlein alla domanda sull’invio delle Armi a Kiev durante il dibattito a due con Bonaccini è genio e sregolatezza o, visto l’imbarazzo, più “sregolatezza e genio”. Dopo la testimonianza di pacifismo, dopo quel che il segmento politico che la sostiene vuole sentire, è costretta a dire in diretta che bisognerà mandate le armi “finché ce ne sarà bisogno”. Chi dice che ce n’è bisogno? Il pilota automatico è attivo, non c’è alcun dubbio.
Proprio perché sa bene che l’Italia è diversa anche nella descrizione del mondo del lavoro, dei deboli e non, Schlein spinge la narrativa sull’esaltazione dei soggetti più utili e vicini allo scopo: il capitalismo “intellettuale” e accademico, la sempiterna ed impalpabile “buona impresa” (magari Green), il mitico terzo settore, utilizzato da sfondamento per descrivere sempre quel “capitalismo dal volto umano” che fa sicuramente del bene. Chiunque conosca l’ambiente delle cooperative sa bene che questa narrazione sarà ben salutata dai dirigenti e meno dai precari, a partire dalla mitica Emilia-Romagna, in cui il livello di sfruttamento dei lavoratori e le condizioni degli utenti sono inaccettabili. Non serve suonare all’ex CIE di Bologna per farsi un’idea o essere costretti a portare i propri nonni in casa di riposo, basta ascoltare i lavoratori che si espongono senza la ricompensa di una qualche candidatura.
Possiamo metterci tutto l’impegno del mondo, ma dobbiamo riconoscere che questo argomento interessa sempre meno ed è capito sempre meno. È qui la loro debolezza, forse inconsapevole, e la nostra forza, se saremo consapevoli. Lo stesso calo di milioni di partecipanti alle primarie dimostra che la zona grigia della sinistra liberale ha sempre meno seguito e, dovendosi adattare alla nuova ragione del mondo, ha imparato a bluffare ancora meglio. Gli iscritti del PD sono 400 mila circa, i votanti alle primarie 1 milione e 300 mila, ovviamente “secondo la questura”. Stiamo parlando di un sempre più piccolo mondo che eredita sempre meno consenso, parliamo di un ventre molle che nel paese si delinea come il più permeabile al pensiero atlantico, alla cultura politica imperialista e alle sue conseguenti derive. L’americanizzazione del Partito Democratico rappresenta una delle punte più avanzate di questo processo ma, allo stesso tempo, non riesce a infiltrarsi nei segmenti popolari che, nonostante l’astensionismo di massa, continuano ad avere dei riferimenti culturali e politici nazionali.
In virtù di questo risultato, credo sia giusto mettere un primo punto politico, un primo giudizio per chi ha una prospettiva socialista pacifista ed antimperialista: è un bene che abbia vinto?
Sono convinto che sia un bene, la vittoria di una figura così smaccatamente sconnessa con la realtà italiana non può che essere auspicabile per chiunque voglia vedere il PD sparire. Non c’è nessun indicatore che smentisca l’inarrestabile distacco tra il Partito Democratico e le masse popolari, tra la borghesia progressista ed i lavoratori, tra chi vive in città e chi vive nella sconfinata provincia italiana, senza Università, raduni, picchetti e locali alternativi compresi.
È solo la conservazione dell’attuale sistema politico e del suo attuale livello di partecipazione popolare che garantisce ancora al Partito Democratico di essere presente nell’agone politico, di capitalizzare il clamore mediatico di questa soap opera. Più la politica verrà vista come un qualcosa “per pochi”, più quei pochi decideranno. È l’ABC di ogni buon XIX secolo liberale che si rispetti.
Concludo con alcune domande che sottintendono già la risposta.
Saprà la sinistra indipendente dall’atlantismo ideologico emanciparsi dalla “zona grigia” sopracitata? Saprà descrivere ciò che la circonda, al netto degli slogan? Saprà enunciare una rottura esplicita ed ideale con il dualismo liberal-conservatori? Saprà lasciare andare alla deriva tutti quei “compagni che sbagliano” nel riprodurre pedissequamente lo schema destra/sinistra ed “unità della sinistra?
Ancor più importante: saprà il M5S, ovvero l’unico movimento popolare considerato minimamente progressista, resistere alle sirene del “fronte democratico per battere le destre”?
Well done Elly!