(Foto di Cesare Dagliana)

Sergio Sinigaglia

Perché da noi no? Di fronte alle immagini della Francia in rivolta la domanda imperversa. Se lo sono chiesto su Il Fatto Peter Gomez e Gad Lerner, ma riflessioni sono uscite anche sui siti di area “radical”.

Le risposte sono varie, tutte con elementi di verità: la restaurazione degli anni Ottanta, la concertazione sindacale, i vari provvedimenti governativi di questi ultimi trent’anni con le varie “riforme” che hanno stravolto il mercato del lavoro e la nostra  previdenza, in primis quella targata Fornero, con l’ex ministro che senza pudore continua a pontificare dalle colonne de La Stampa, quando farebbe bene a tacere, visti i disastri umani e sociali che la sua legge ha provocato.

Ma non è solo la Francia a insorgere, è accaduto nel Regno Unito, la Germania si appresta a fermarsi con scioperi nei trasporti che bloccheranno il Paese, in Castiglia ci sono forti proteste contro lo smantellamento della sanità pubblica, mentre da noi imperversano i “gettonisti” e la privatizzazione della salute è un dato di fatto.

Così vediamo i cugini d’oltrealpe innalzare le barricate per una modifica dell’età pensionabile di due anni, quando come è noto i nostri ineffabili sindacati confederali hanno accettato l’innalzamento a 67 anni senza batter ciglio, e pochi giorni fa l’ex “movimentista” Landini ha accolto l’attuale capo del governo italiano in omaggio a una formalità, rispettata anche di fronte a chi ogni giorno dà ampia prova di quale sia la sua cultura di fondo, ancora impregnata di fascismo e razzismo.

Già in passato ci siamo interrogati sull’involuzione italica, domandandoci che cosa sia diventato un Paese che aveva il più forte partito comunista in Occidente, e un movimento operaio capace di imprimere forti scossoni al sistema. E anche in questo caso non sono mancate le risposte convincenti: la sconfitta negli anni Settanta, lo smantellamento delle grandi fabbriche, appunto la restaurazione degli anni Ottanta in un contesto internazionale di rivincita capitalistica e altri fattori che chiamano in casa soprattutto l’antropologia,  la parabola della sinistra politica, dove il peggio dell’eredità comunista italiana ha prevalso, insieme a gruppi dirigenti sempre più impresentabili e smaniosi di conservare misere rendite di posizione, assurgendo a ruoli governativi, facendo concorrenza agli  esecutivi  di centrodestra con scelte scellerate e antisociali.

Poi ci sarebbe anche uno sguardo più lungo; in particolare quando guardiamo alla Francia si chiamano in causa le radici rivoluzionarie. Lo si è fatto anche in questi giorni.

Ma può bastare questa disamina, per quanto tocchi i vari aspetti della questione? Eppure non c’è bisogno di andare a cinquant’anni fa, perché il nuovo millennio si era aperto con un grande movimento globale che proprio qui da noi aveva avuto la punta più avanzata, con cortei di decine di migliaia di persone, un movimento che la macelleria genovese aveva intaccato solo parzialmente.

Allora dovremmo dirci con chiarezza che quella è stata, al momento, l’ultima grande occasione di imprimere continuità a una spinta dal basso dove l’esigenza di dare una risposta ampia all’offensiva liberista in atto da tempo si manifestava per la prima volta in modo così impetuoso.. E con altrettanta chiarezza dovremmo dirci che a venire meno alle loro responsabilità sono stati coloro che erano i punti di riferimento dentro quei percorsi. Sul fronte della sinistra politica un partito come Rifondazione si è gradualmente diviso nelle solite lotta intestine. E questo ha permesso la crescita emblematica di una formazione come i 5 Stelle, che ha raccolto sul piano elettorale e non solo il diffuso disagio sociale e le esigenze di protesta, convogliandole nella direzione sbagliata e su contenuti ambigui fino all’intolleranza verso i migranti.

La cosiddetta sinistra sociale non è stata da meno e si è frantumata in diatribe interne, spesso incomprensibili e basate sui personalismi. Valga per tutti la vicenda del sindacalismo di base: di fronte alla resa della cosiddetta triplice, compresa la Cgil,  pienamente a suo agio nella nuova linea concertativa e aconflittuale, invece di raccogliere la domanda proveniente dal mondo del lavoro e soprattutto dai nuovi lavori precari e parcellizzati, ci si è divisi in un considerevole numero di  sigle, spesso in concorrenza tra loro. Tutto ciò nonostante ancora ci siano forze vive che nella società cercano di fare argine a un mondo a tinte fosche, dal rischio concreto di conflitto nucleare alle stragi di migranti, fino al  cambiamento climatico sempre più accelerato e devastante.

Forze vive che provano a resistere e ad aggregare, come dimostra l’ormai gloriosa esperienza degli operai ex Gkn, o il lavoro fondamentale dei gruppi di base sul tema dell’immigrazione, nonché la nuova generazione ecologista. Forze vive che meriterebbero ben altra attenzione, forze organizzate di ben altro spessore

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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