L’Italia guerrafondaia dimostra la propria incapacità di leggere i processi storici in termini dialettici, misurando cioè le aspirazioni politiche dentro il quadro dei rapporti di forza.
L’Italia guerrafondaia, un paese fallito
Proprio mentre la Cina avvia una difficilissima mediazione di pace su cui spera il mondo, il presidente della Repubblica Mattarella fa a gara con Meloni su chi sostiene le posizioni più oltranziste sulla guerra in Ucraina.
Possiamo leggere l’appiattimento dell’Italia sulle posizioni guerrafondaie più oltranziste come il segno della profonda e vigliacca subalternità della stampa e della politica.
Molti elementi lo confermano. E tuttavia mi pare che questo giudizio contenga anche un dato consolatorio, che non consente di comprendere fino in fondo che, in questa fase storica, l’Italia è un paese sostanzialmente fallito. E lo è sul piano culturale e politico prima ancora che su quello economico.

La classe politica, ma a ben vedere anche quella intellettuale, mostra ogni giorno di più di non possedere le categorie per interpretare il presente.
Domina la più abietta propaganda, il trasformismo, l’irresponsabilità, l’incapacità di leggere i processi storici in termini dialettici, misurando cioè le aspirazioni politiche dentro il quadro dei rapporti di forza.

I responsabili non sono ovviamente solo Meloni, Salvini, Schlein e prima di essi Draghi, Letta. La carriera di questi soggetti è l’effetto, non la causa di un malessere culturale diffuso.
È un paese intontito in cui è potuto accadere appena un po di mesi fa che un ( ex) presidente del Consiglio potesse mettere in rapporto il calo di forniture di gas dalla Russia con la rinuncia all’aria condizionata, come se non esistesse un mondo produttivo fatto di operai, tecnici, impiegati e dirigenti che rischiavano seriamente il posto.
Il nostro è del resto un paese in cui un’intellettualità progressista stanca e annoiata esprime come massima aspirazione l’introduzione della schwa nei documenti pubblici, rifuggendo da qualsiasi discorso che chiami in causa il paese come collettività, come realtà legata a determinati processi materiali.
Dall’altra sponda invece c’è la premier Giorgia Meloni che è stata “conservatrice” solo nelle campagne elettorali, una volta salita al timone del paese, si è accodata al carrozzone del liberismo atlantista. Tanto, come ha già scritto il professor Erspamer, quando cadrà, “un posto per lei nel rotary dei Renzi e Calenda è già pronto”.
