Solo chi riesce ad avere un accesso diretto ad informazione e conoscenza del mondo, ne avrà una immagine diversa da quella più ampiamente condivisa. Ma come si può avere una democrazia se il popolo non sa di ciò che dovrebbe prima discutere e poi decidere?
Immagine di mondo e democrazia
Di Pierluigi Fagan*
Ogni mente riflette a modo suo il mondo. Diciamo “mondo” tutto ciò che è fuori di noi. Riflettere a modo proprio il mondo significa sia che si hanno diverse versioni del mondo, sia che si hanno modi diversi di operare questa riflessione.
Nell’accezione più generale del concetto di mondo, tolto il “proprio mondo” ovvero quell’insieme di persone, relazioni, strutture sociali con e nelle quali viviamo quotidianamente, abbiamo il mondo sociale, l’insieme di ciò che fa il nostro Paese che è nel sistema europeo, occidentale, mondiale.
Riflettere questo mondo a modo proprio significa che ogni mente individuale, coglie aspetti, fatti, fenomeni diversi. Mentre del “proprio mondo” ci facciamo una nostra idea diretta, del “mondo sociale” non abbiamo percezione diretta ma intermediata.
Noi conosciamo il mondo (sociale) in tre modi:
a) tramite le informazioni emesse da intermediari del mondo stesso;
2) tramite la conoscenza ed informazione emessa da interpreti influenti del mondo;
3) la somma stratificata di 1)+2) più qualcosa appreso da noi nei processi di formazione che fa la conoscenza condivisa media.
La scarsa disponibilità di tempo e principi di economia cognitiva, fanno sì che per la gran parte di noi tutto ciò è assunto passivamente, pochi o pochissimi si impegnano nella valutazione critica delle fonti e dei modi di dare informazioni e conoscenza. Ancora meno dei pochi o pochissimi, hanno facoltà di un diverso accesso alle informazioni e conoscenza di questo mondo generale.
L’atteggiamento totalmente passivo porta a considerare la propria parziale versione di mondo, il mondo in quanto tale. L’atteggiamento critico sa razionalmente che quella versione del mondo è incompleta e parziale, ma poiché una qualche versione del mondo in testa tocca averla, rischia di assumerla comunque per mancanza di alternative, se non altro a livello subconscio oppure produce immagini con ambizioni alternative, ma semplificate dal meccanismo del negativo (il negativo inverte i valori ma lascia intatte le forme).
Solo chi ha un accesso diretto ad informazione e conoscenza del mondo, ne avrà una immagine diversa da quella più ampiamente condivisa. Il che non è sempre un bene in quanto viviamo tutti interrelati in complessi sociali dove l’immagine di mondo mediamente condivisa domina e detta le regole dello scambio mentale sociale e, alla fine, la socializzazione stessa.
Vorrei fare un solo esempio perché poi ho da esporre un’altra parte del discorso. Qualche giorno fa leggevo sulle rassegne stampa internazionali che i sauditi hanno invitato il presidente iraniano a Riad e gli iraniani hanno invitato Bin Salman a Teheran.
Del tentato processo di estesa pacificazione mediorientale che coinvolge un quadrante molto ampio (Turchia, Siria, Iraq, Qatar, Bahrein, Kuwait, Emirati, Oman, Yemen, Egitto oltre ad Arabia Saudita ed Iran) abbiamo qui già parlato. Questo è un fatto del mondo, che fatto è? Be’, insomma, diciamo clamoroso.
Ne va di fenomeni rilevanti come il terrorismo islamico, la guerra in Siria, vedremo come e quanto la questione dei Curdi, la stabilità del Libano, il ruolo di Hamas nella politica palestinese, le tensioni nel Golfo Persico, il prezzo del petrolio, il ruolo delle credenze religiose da noi malviste stante il lungo processo di secolarizzazione europea etc.
Che nel quadrante geostorico mondiale in cui ha imperato per decenni il conflitto su basi spesso addirittura tribali oltreché nazionali anche vestite da guerre di religione, oggi si tenti una pacificazione estesa e durevole, è di per sé un fatto clamoroso.
Viepiù dato il contrasto con il nostro Zeitgeist o meglio l’immagine di mondo imperante in questa fase storico-geopolitica, dominato da truculenti ed ansiogeni report quotidiani di guerra praticata (Ucraina) ed aspettata (Cina-Taiwan). A dire che le nostre immagini di mondo sociali medie sono dominate dal senso della guerra e del conflitto quando, a poche miglia di mare, è sbocciata una improvvisa, inedita e clamorosa, primavera di pacificazione.
Non tutte le piante danno fiori o frutti, tuttavia, negare a priori una possibilità di futuro a questo processo mediorientale è un apriori ingiustificato. Anche deragliasse in seguito, rimarrebbe interessante approfondire da dov’è nato questo processo, cosa bolle in pentola in quelle società, nelle loro élite, in quelle culture.
Magari potremmo imparare qualcosa sul mondo o domandarci perché data la nostra storica presenza nell’area (soprattutto Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America), nel processo in corso brilla la nostra assenza, quanto una persistente presenza nei decenni di lungo conflitto.
Né gli intermediari dell’informazione che pure debbono riempire di contenuti le migliaia di ore di flusso informativo multicanale, né gli intermediari della conoscenza, né il ristretto cerchio dei “più influenti” nell’informazione e conoscenza, sembrano interessati a riflettere questo fatto del mondo, altrimenti definibile clamoroso.
Anche perché, soprattutto i terzi dell’elenco, riceverebbero un cazzotto controfattuale a quella quasi-sofisticata costruzione dell’immagine di mondo in cui hanno speso tante energie inondandoci di scritti, video, audio, libri, conferenze e finti dibattiti su “sciti e sunniti”, democrazie pacifiche ed autocrazie se non teocrazie aggressive e barbare, orientalismi scadenti con cui hanno intermediato l’immagine e l’interpretazione di questo mondo negli ultimi decenni.
Tornando al corso principale della piccola riflessione, dicevamo che “si hanno diverse versioni del mondo” ed abbiamo constatato quanto sia importante l’intermediazione del racconto del mondo cui siamo sottoposti, non solo per ciò che dice e come lo dice, ma assai spesso per ciò che sceglie di non dire, sia “che si hanno modi diversi di operare questa riflessione”. I modi stessi che portano alla riflessione sono formati dal flusso dell’intermediazione. Qui il discorso sarebbe lungo e complesso.
Un accenno al processo di categorizzazione
Abbiamo la cartella “musulmani”, ma cosa sappiamo di questo oltre un miliardo e mezzo di persone identificate per la loro credenza religiosa e cosa sappiamo di questa credenza religiosa? Quello che ci ha detto qualche giornalista? Cioè noi prendiamo informazioni e conoscenza su un fenomeno storico-culturale che ha più di milletrecento anni, che investe direttamente, politicamente e socialmente, almeno una cinquantina di Paesi e molti di più indirettamente dai giornalisti?
Pensiamo che questo scarso 20% di musulmani arabi sia lo standard di un mondo che si estende dall’Africa all’Asia insulare pacifica? Così facciamo con i russi o i cinesi o gli indiani o i brasiliani? Così conosciamo il mondo?
In che ansiosa dissonanza cognitiva si trova il portatore di immagine di mondo individuale che a stento aveva imparato che sciiti e sunniti si tagliano le teste da millenni (falso storico) ora che i poteri dell’uno e dell’altro fronte si invitano reciprocamente a prendere un tè a casa, ora dell’uno ora dell’altro?
E come agisce l’operatore logico per risolvere questo disordine categoriale? Negare che il fatto sia consistente? Pensare che è tutta colpa o merito della Cina? E se anche fosse vero, e non è vero, che tutto il processo citato è merito della Cina, cosa fa la Cina per portare alla pace questi altrimenti indomabili barbari guerrieri?
Non lo potevamo fare anche noi europei che pure abbiamo musulmani a casa nostra ed al di là del mare comune, ovvero a portata di migrazione che poi non sappiamo come gestire? O pensiamo gestire il dramma migratorio diminuendo i fondi per la cooperazione con i paesi africani (recente Def presentato dal nostro governo che pure è fatto di quelli che dicevano “aiutiamoli a casa loro”) mentre inviamo vagonate di carrarmati in Ucraina? Che sostanze chimiche assumiamo per far deragliare così la logica?
Ed ora che la nostra coazione intellettuale alla superficiale semplificazione ha ricevuto questa popperiana falsificazione, che riflessione fare? O è per non farla che di questo fatto non c’è notizia?
Scoprire che per lo più noi non sappiamo nulla del mondo e pure pensiamo il contrario ed in base a questa lacunosa ignoranza contradditoria esprimiamo giudizi e teorie in modo animoso e reciprocamente astioso, che conseguenze dovrebbe portare? E questo vale solo nel caso specifico e si potrebbe fare una riflessione più ampia su cosa sappiamo, come lo sappiamo, come giudichiamo in base a conoscenze che non abbiamo del tutto o abbiamo distorte su cui operiamo con categorie false e logiche che neanche nei casi clinici raccontati da Oliver Sacks si riscontrano?
E come pensate di grazia si possa avere una democrazia se il demos non sa di ciò che dovrebbe prima discutere e poi decidere, stante che nei fatti né discute, né in fondo decide? E se non siamo in democrazia in che sistema siamo?
* Ripreso da Pierluigi Fagan – Complessità