Oum Kalthoum, sullo sfondo una sfinge egiziana

OUM KALTHOUM, ULTIMO GIORNO DELL’ANNO 1999.

A Oum Kalthoum e a Gamal Abd el-Nasser, suo amico.

Il sole prima del tramonto diventa dorato.                                    

Nilo, le foglie di palma sono                                                                                       un capolavoro e belle da immaginare,                                          

 nella tua corrente se il flauto suona nella tua riva  e la melodia danza con il soffio del vento che passa dolcemente…                            Parole della canzone Sole al tramonto  cantata da Oum Kalthoum.

Il Caffè Oum Kalthoum si trova a Parigi nel Quartiere Latino. Ė quasi mezzogiorno, ha smesso di piovere e nel cielo le nuvole grigie sono fessurate di azzurro.                      

Sono con un collega di lavoro algerino, Karim, siamo vicini al Caffè, abbiamo un po’ di tempo e vi andiamo.                                                  Un panino ed una birra  in  meno di mezz’ ora, in un posto fatto per sedersi senza fretta, fumare il nargihlé  e ascoltare  Oumm Kalthoum. Da un cd la cantante inizia cantare Enta omri. Karim mi traduce solo il titolo e un paio di versi: Tu sei la mia vita.                          I tuoi occhi mi hanno fatto ritornare ai giorni trascorsi…Tu sei la mia vita, il cui giorno iniziò con la tua luce… Karim mi dice che Oum significa madre, madre della canzone araba. Iniziò a cantare molto giovane e quando morì la tristezza del popolo arabo fu immensa. Una trasmissione radiofonica “La Voce del Cairo”, trasmessa ogni primo giovedì del mese dal 1934 era ascoltata da milioni di persone. Con Nasser divenne ” Voce degli Arabi”, un strumento politico oltre che culturale. Alle canzoni di Oum seguivano i discorsi del colonnello. Oum cantò anche la canzone ” Gamal, tu sei un patriota”. Karim mi racconta  di un famoso concerto all’ Olimpique, al quale non ha assistito, ma ha un cd, che ogni tanto riascolta. Quando usciamo la canzone finisce. Karim mi dice che i concerti e le canzoni della cantante sono lunghi. Oum ripete un verso, una parola con una sensualità infinita.

Il 1999 sono a Port Said e per fine anno non si lavora.  Con due ingegneri egiziani,Naadir e Hamza, e la segretaria algerina, Leila,  compriamo i biglietti per assistere a un concerto di Jean-Michel  Jarre, I Dodici Sogni del Sole. Notte del millennio nel deserto, alle piramidi di Giza, al Cairo.  Il Cairo, una mescolanza di bello e di brutto, è una megalopoli di milioni di abitanti, inoltre ogni giorno all’alba arrivano dai villaggi del Nilo centinaia di migliaia di persone per lavori umili o per vendere prodotti della terra, galline e altro. Ogni volta che sono in città mi viene alla mente una frase che ho letto non ricordo dove: ” Dio creò il caos e lo chiamò Cairo. Poi si pentì, ebbe compassione dei suoi abitanti, i cairoti, e li dotò di pazienza e ironia.”

L’acquisto di 4 biglietti in prima fila, sotto una tenda, cena compresa, ci ha lasciato poco denaro in tasca.  Passiamo l’ultimo giorno dell’ anno al Cairo, ma non possiamo permeterci un albergo, nemmeno di due o tre stelle. Naadir e Hamza sono di Alessandria, guardano a questa città con antipatia, e trascorrono la giornata a Zamalek nell’isola di Gezira, dove ci sono un paio librerie e in alcuni locali si può bere nonostante il ramadam. Io e Leila, riusciamo a trovare un taxi che ci accompagna visitiamo la città dei morti. Una città nella città dove decine di migliaia di vivi vivono accanto a migliaia di defunti, in un antico cimitero mamelucco. Il taxista, Mohammed, posteggia e ci accompagna nella passeggiata. La giornata è limpida e l’aria è tiepida, nonostante sia inverno. Le cappelle sono diventate abitazioni e i giardini che le circondavano, orti. Non c’è traffico, pochissime le auto, molti bambini giocano. Vi sono botteghe e laboratori di artigianato. Mohammed ci dice che quando c’è l’harmattan, il vento del deserto è difficile, non vi sono alti edifici che riparano dalla sabbia. Una cappella più grande  è diventata un piccolo ristorante. All’interno vi sono due frigo e una cucina, sotto una tettotoia di lamiera vi sono due tavoli e sedie in plastica rossa. Non servono cibo e bevande, è ramadan, lo faranno dopo il tramonto. Abbiamo sete e Mohammed chiede a una donna del te, che ci viene dato fresco in piccoli bicchieri di vetro. Una radio trasmette musica e canzoni, poi un discorso. Leila e Mohammed ascoltano. ” E’ Mubarak, e sarà presente al concerto.” Dice Leila. Piana di Giza. Arriva la sera, vi sono strisce rosse all’orizzonte, ma cresce la nebbia. Aspettando la cena fumiamo, anche Leila, chicha, con tabacco alla mela, Naadir e Hamza dicono che il concerto non solo celebra l’inizio del millennio ma anche il settimo millennio della civiltà egiziana, prendendo dalla mitologia, il Dio Ra aveva creato il mondo concretizzando 12 sogni. Lo hanno sentito in città, dove tutti parlavano del concerto. Quando Jean-Michel Jarre con un turbante tuareg in testa sale sul palco la nebbia copre la piramide di Cheope, quella di Chefren è appena visibile, il laser può forare solo quella di Mykerinos. Prima della musica vi sono fuochi d’artificio. Il sesto dei dodici sogni è dedicato a Oum Kalthoum. Jean Michel  al lato di grammofono dichiara che fin da molto giovane ha ammirato la cantante. Poi dal grammofono si diffonde una canzone di Oum. La nebbia non impedisce che l’iimagine dell’icona del popolo arabo venga proiettata sulla piramide di Mykerinos. Una giovanissima cantante, Amal Maher, con una bella voce, canta Chams al Assil, Sole al tramonto.  Sotto le tende siamo qualche centinaia di persone, ma nella piana di Giza sono decine di migliaia che il pathos delle voci di Oum e di Amal scatena in applausi e grida. Sono tutti presi dall’emozione, tarab. I dodici sogni terminano all’alba del terzo millennio. Un enorme carovana di beduini con bandiere arriva dal deserto e al suono di Eldorado accompagna la nascita del sole.                         

Sono le sette del mattino, quasi l’inizio di una nuova giornata  di ramadan, quando dopo aver bevuto del caffè, aiwa, riattraversiamo il Cairo per tornare a Port Said. Il sole è ancora offuscato dalle nuvole. Parliamo poco, siamo stanchi e pensiamo all’ultima notte del secolo scorso.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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