Michele Paris 

La gigantesca macchina della propaganda creata da governi e media occidentali in concomitanza con l’esplosione del conflitto in Ucraina sta accelerando sensibilmente il processo di (auto-)censura in atto da tempo sulla stampa “mainstream”. L’invasione russa ha trasformato giornali, siti e canali radio-televisivi in veri e propri organi di diffusione della versione ufficiale, imposta dal regime di Kiev e dai suoi sostenitori, dei fatti relativi alla guerra. Ogni minimo scostamento da questa linea è perciò oggetto di una feroce azione repressiva che riconduce qualsiasi frammento di verità a una presunta campagna di disinformazione orchestrata dal Cremlino. Questo è in sostanza il contesto della vicenda che riguarda il giornalista di Radio New Zealand (RNZ), Michael Hall, la cui unica colpa è stata di offrire al pubblico del suo paese un’informazione più equilibrata e oggettiva degli eventi ucraini.

Hall è stato sospeso e sottoposto a un’indagine interna, commissionata dai vertici dell’emittente pubblica neozelandese, per avere rielaborato notizie prodotte da testate come Reuters e BBC, aggiungendo elementi di contesto utili a comprendere la natura del conflitto in corso. Questa normale operazione di “editing”, in merito ai fatti russo-ucraini è diventata un’attività tossica che, in seguito a segnalazioni provenienti da Stati Uniti e Gran Bretagna, ha scatenato l’indignazione dei superiori di Hall.

Il lavoro di quest’ultimo è stato così definito “inappropriato” dall’amministratore delegato di RNZ, Paul Thompson, secondo il quale gli articoli incriminati sarebbero stati infarciti di “spazzatura russa”. Le aggiunte del giornalista neozelandese risultano essere invece semplici osservazioni o brevi approfondimenti che introducono, in quelli che sono a tutti gli effetti pezzi di propaganda, spiragli di verità sempre più difficili da trovare sui mezzi di stampa ufficiali in Occidente.

È evidente che l’aggressione subita da Michael Hall deve essere ricondotta a un clima di stampo maccartista che domina sempre più gli ambienti mediatici “mainstream” e serve a intimidire e scoraggiare chiunque intenda mettere in discussione la ricostruzione ufficiale della guerra in Ucraina o anche solo proporre una versione meno faziosa dei fatti. Il successo di questa campagna di persecuzione è in qualche modo confermato dall’assenza di dichiarazioni in difesa di Hall da parte di giornalisti e sindacati in Nuova Zelanda e nei paesi anglo-sassoni in genere, dove la notizia ha trovato in questi giorni un certo spazio.

La sorte di Hall è condivisa da altri giornalisti, commentatori e analisti in molti paesi occidentali, inclusa l’Italia, soprattutto quelli che coraggiosamente continuano a raccontare di una guerra provocata dagli Stati Uniti e dalla NATO, nonché della realtà di un regime ucraino dominato da elementi neo-nazisti e sfruttato da Washington per portare avanti uno scontro sanguinoso e senza possibilità di successo con la Russia per le proprie mire strategiche.

Nel caso neozelandese, la lettura di alcune delle frasi incriminate e successivamente modificate lascia sbalorditi per il livello di isteria esploso attorno a ciò che appare come la pura e semplice verità dei fatti. Michael Hall aveva ad esempio aggiunto in uno degli articoli della Reuters da lui editati la parola “golpe” per descrivere la cosiddetta “rivoluzione di Maidan” andata in scena nel 2014 a Kiev. Ancora, il giornalista aveva caratterizzato correttamente quello del deposto presidente ucraino Yanukovych come un governo filo-russo democraticamente “eletto”.

L’elenco delle citazioni potrebbe continuare a lungo e in nessun caso si riscontrerebbe materiale di propaganda russa o distorsioni della verità, se non di quella preconfezionata diffusa dalla propaganda occidentale e ucraina. In un’altra occasione, Hall aveva spiegato, anche in questo caso in maniera ineccepibile, che il governo filo-occidentale uscito dalla finta rivoluzione del 2014 aveva condotto una “repressione” della minoranza russofona in Ucraina. Allo stesso modo vi erano riferimenti alle preoccupazioni del tutto legittime di Mosca per gli “elementi neo-nazisti” nel regime di Kiev.

Oggettivamente indiscutibile è anche la correzione apportata a un paragrafo di un altro articolo sulla guerra dove Hall ricordava come il Cremlino riconducesse le origini del conflitto alla mancata implementazione da parte dell’Ucraina e dei suoi alleati degli accordi di pace di Minsk. Le operazioni militari iniziate nel febbraio 2022, scriveva in un’altra occasione Michael Hall, erano da collegare secondo Mosca anche alla minaccia ai confini russi scaturita dal colpo di stato neo-nazista del 2014 e dalla persecuzione della popolazione parlante russo nelle regioni del Donbass.

Nei giorni scorsi, la dirigenza di Radio New Zealand ha annunciato la creazione di una speciale commissione incaricata di riesaminare tutto il processo di pubblicazione di articoli giornalistici sul sito dell’emittente pubblica. L’indagine “rigorosa” in fase di preparazione dovrà dare conto di come un singolo giornalista abbia avuto la libertà di apportare modifiche “inappropriate” ai pezzi di agenzia. Nella realtà, quella in corso è una caccia alle streghe di sapore maccartista che finirà per seppellire definitivamente l’indipendenza editoriale del network neozelandese. L’esito dell’indagine è infatti già prestabilito e servirà da esempio per tutti i media ufficiali e non solo.

Gli obiettivi sono peraltro più ampi, come dimostra il fatto che centinaia di articoli pubblicati sul sito di RNZ sono già stati passati al vaglio dell’auto-censura e rettificati nonostante trattassero argomenti diversi dal conflitto russo-ucraino. Non a caso, tutte le osservazioni incriminate contrastavano con il punto di vista e le posizioni di politica estera degli Stati Uniti e dei governi loro alleati. Infatti, correzioni tempestive sono state apportate ad articoli che lasciavano intendere una certa attitudine di denuncia nei confronti, tra gli altri, del governo di estrema destra israeliano, del golpe appoggiato da Washington contro il presidente peruviano Pedro Castillo o dell’escalation delle tensioni attorno allo status di Taiwan da parte dell’amministrazione Biden.

Il fatto infine che una campagna mediatica particolarmente accesa attorno a una simile questione sia esplosa in Nuova Zelanda e in merito alla linea editoriale di RNZ può dipendere almeno in parte anche da un altro fattore. Al contrario di altri organi di stampa ufficiali, la radio pubblica neozelandese conserva – o conservava – una certa credibilità dovuta a una relativa indipendenza editoriale che, appunto, ha consentito la penetrazione di brandelli di verità nei resoconti sulla guerra in Ucraina.

Ugualmente, la Nuova Zelanda e la sua classe politica, pur essendo legati saldamente all’alleanza con gli USA, hanno in genere un approccio più equilibrato in materia di politica estera rispetto alla linea estrema dettata da Washington. Ciò è evidente in particolare nei rapporti con la Cina e dipende in primo luogo dai fortissimi legami economici intrattenuti con Pechino.

In un clima internazionale caratterizzato dalla rapida radicalizzazione dello scontro tra gli Stati Uniti e i loro rivali strategici, posizioni intermedie ed equidistanti risultano tuttavia sempre meno tollerabili. Per questa ragione, anche gli organi di stampa devono essere richiamati all’ordine e, come dimostra il caso di RNZ, allinearsi alla propaganda ufficiale, ricorrendo apertamente a strumenti di censura e manipolazione della realtà dei fatti

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/10008-nuova-zelanda-censura-e-propaganda.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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