di Marco Sferini

Giorni fa, su Rete 4, si potevano ascoltare sia al pomeriggio sia alla sera affermazioni del tipo: «E’ estate, è logico che faccia caldo. Siamo a luglio!» oppure «Non c’è nessun cambiamento climatico, quello che succede non è colpa dell’uomo. I mutamenti del clima ci sono sempre stati».

Sicuramente è vero: siamo in quella che veniva definita “la bella stagione” e, quindi, dovrebbe soleggiare molto, coglierci anche un po’ la canicola, costrigerci a spogliarci, a fare il bagno, a rinfrescarci spesso, a starcene belli tranquilli all’ombra di un frondoso albero, magari a leggere, magari a fare le parole crociate.

Ed è altrettanto vero che il clima, nel corso dei millenni, è cambiato, perché l’ordine naturale delle cose è in realtà tutt’altro che statico: se tutto scorre, questo flusso di eventi avrà – ed infatti ha – una sua dinamicità che ispira e subisce al tempo stesso i mutamenti che sono regolati dalle leggi tanto della fisica quanto della biologia.

Sempre giorni fa ho rivisto i giovani di Ultima generazione protestare contro l’utilizzo dei combustibili fossili. Lo facevano con un metodo piuttosto discutibile (quello di bloccare il traffico sulle grandi strade e le arterie della capitale e delle metropoli italiane).

Ma, pur ritenendo utile mettere in pratica delle azioni di mobilitazione impattanti sul piano comunicativo alternative a quelle che venivano inquadrate, mi rimaneva difficile pensare che avessero ragioni quelli che parlavano su Rete 4 e torto quelli che si sdraivano in terra sul cemento rovente.

Se l’apparente innocenza dell’affermazione secondo cui essendo estate fa ovviamente caldo è disarmante, se ovviamente collocata nel contesto di un dibattito sul radicale cambiamento climatico in corso, così come è davvero irricevibile l’assoluzione della specie umana dalla responsabilità di aver causato l’arrivo degli effetti catastrofici (per noi e per tutti gli esseri viventi di questo disgraziato pianeta), non di meno stucchevole è il fine a cui tutto questo tende.

Precisamente quello di dare seguito ad una narrazione uguale per toni e per impostazione, seppure con argomenti differenti vista la non identicità dei problemi di cui si intende, a quella sciorinata durante il biennio pandemico. Il premio nobel per la fisica Giorgio Parisi l’ha sintetizzata con grande, lucida, facile semplicità, a prova di qualunque pregiudizio e negazionismo:

«I media italiani parlano ancora troppo spesso di “maltempo” invece che di cambiamento climatico. Quando ne parlano, spesso omettono le cause e le relative soluzioni. È come se nella primavera del 2020 i telegiornali avessero parlato solo di ricoverati o morti per problemi respiratori senza parlare della loro causa, cioè del virus SARS-CoV-2, o della soluzione, i vaccini».

La domanda che si fa strada nella mente è questa: perché ogni volta che questa moderna umanità devono affrontare degli eventi naturali su scala globale si fa prendere dal sacro furore del complottismo, del sospetto che soverchia la ragione, del timore che organizza schiere di pregiudizi e preconcetti, dal dubbio che diventa l’alter ego di un ideologismo posticcio costruito su false basi e quindi capace di fare danni incalcolabili alla veridicità della critica scientifica?

La risposta più banale che mi viene da dare è che preferiamo delle vie di fuga, delle scappatoie, degli evitamenti psicologici per non dover “vedere” quello che ci accade intorno: creiamo dei nemici fittizi che devono svolgere così la funzione del pretesto su cui scaricare tutti gli improperi possibili, alterando la realtà, rifugiandoci in un catastrofismo distopico che non ha nulla a che fare con la ribellione nei confronti del sistema.

Durante i due anni e mezzo di pandemia siamo passati dall’insurrezione contro le mascherine alle fiale dei vaccini in ci sarebbe stato di tutto: microchip, pezzettini di animali putrefatti, feti, microrganismi non si sa bene di che tipo.

E il tutto per modificare il DNA umano, per trasformare la nostra essenza fisica e mentale in qualcosa di somigliante ai robot asimoviani dentro una cornice definita da quella straordinaria locuzione, inventata per dare un minimo di senso alle migliaia di castronerie che dovevano poter trovare un appiglio illogico cui aggrapparsi per riprodursi nei cortei pensati per destabilizzare, squilibrare letteralmente menti pensanti oltre ad una buona percentuale di disagiati del pensiero.

Soprattutto la destra è stata l’ambito politico in cui queste fantasie di complotto si sono trovate a loro agio e hanno avuto sostegno. Magari di mezza faccia, senza avallare le strampalatezze più smargiasse: come le ambulanze vuote che avrebbero dovuto girare per le città per seminare il terrore nei primi mesi di pandemia; oppure il collegamento fra vaccini e tecnologia 5G.

Con il cambiamento climatico si sta per ripetere questa farsa: alcuni sondaggisti rivelano che un buon 16% di italiani è sicuro che non siamo in presenza di alcun cambiamento climatico e che gli eventi avversi, dall’Emilia Romagna fino alle palle di ghiaccio che piovono dal cielo siano il frutto di una volontà occulta, magari di un nuovo “deep state“, di qualche potere occulto che spruzza sostanze per aria per evitare che piova o per far piovere invece troppo.

Si ripropone quella rete invereconda di qualcosa che va ben oltre le “fake news“, che rasenta la pateticità, l’ostinazione pornografica ad esigere che ad un fenomeno globale disastroso corrisponda una precisa intenzione del sistema (poi non si sa bene quale.. se il capitalismo economicamente e antisocialmente inteso; oppure il suo lato liberista…; oppure governi e apparati finanziari che li sostengono…; o forse qualche altro complotto pluto-giudaico-massonico…).

Ciò che mi sembra abbastanza evidente ormai, perché il giochetto può spiazzare una volta, ma una seconda proprio no, è che le destre e chiunque abbia intenzione di confondere le acque, di creare allarmismo e smarrimento lo fa introducendo nel dibattito televisivo, internettiano e malefico dei social quelle insinuazioni che vengono lasciate cadere come bocconi appetitosamente avvelenati. Sono gli inneschi di un nuovo complottismo di minoranza, ma piuttosto massiccio.

La capacità di diffusione delle false notizie, purtroppo, è proporzionalmente inversa alla velocità con cui le certezze scientifiche si fanno largo, pur essendo oggettivamente dimostrabili, ampiamente descrivibili.

Ed è proprio il fattore superficialità a determinare la facilità con cui conviene abbracciare tesi fantasiose di complotto piuttosto che fermarsi a razionalizzare, ascoltando chi studiava ieri la Covid19 e chi oggi studia i fenomeni climatici, i cambiamenti che ne derivano, le difficoltà per gli esseri viventi ad adattarvisi.

Se questo pianeta sta divenendo sempre meno ospitale per gli esseri umani, la colpa non è dei cani, dei gatti, delle volpi o delle foche. Gli animali non umani non hanno alcuna responsabilità in ciò che sta avvenendo. Chi ha, nel corso dei secoli, sviluppato tecnologie extra-naturali, è stato l’essere umano. Noi, dunque, siamo i primi responsabili di quello che avviene su una Terra in cui l’antropocentrismo è il fulcro di ogni relazione tra viventi e natura.

Ci siamo appropriati di qualunque cosa: terra, acqua, aria, foreste, boschi, animali. E abbiamo considerato soltanto noi stessi come unica opzione, come se, per seguire anche il dettame biblico, avessimo una specie di consacrazione (pure divina) ad essere i privilegiati e i padroni di tutto e di tutti, in virtù della nostra intelligenza superiore.

La reazione della natura ai nostri abusi è qualcosa di più di quello che potremmo banalmente considerare un “avvertimento” per invertire la rotta ed iniziare a depensarci come specie al sopra delle speci: è proprio il corso che prendono gli accadimenti in virtù della mutazione forzata che abbiamo imposto ad un ecosistema compromesso per sete di potere, di profitto, di primazia, di egemonizzazione, di sopravvivenza di un popolo su un altro.

Se si osserva tutto questo molto da vicino, si farà molta poca fatica a capire che la natura non ci è matrigna: i primi nemici della vita sul pianeta siamo noi.

Ci siamo scavati la fossa da soli e oggi non riusciamo a venirne fuori perché la complessità del sistema capitalistico e liberista è tale da essere scardinata o con grandi catastrofi naturali o con una rivoluzione a centottanta gradi dei modi di produzione, di consumo: a partire dall’emissione dei gas nell’atmosfera e dalla riconsiderazione dei rapporti tra animali umani e animali non umani.

In Italia ci sono più macelli che ospedali. Il 50% dell’acqua che consumiamo finisce nell’industria di prodotti animali. Le coltivazioni, invece che servire a sfamarci, sono finalizzate per la maggior parte agli allevamenti intensivi dove la prodizione di gas serra è elevatissima.

E siccome ogni anno il consumo di alimenti vegetali cresce, il governo Meloni ha pensato bene di presentare una proposta di legge per vietare ai produttori di utilizzare termini uguali a quelli adoperati per i cibi di origine animale: come “cotolette“, “polpette“, “wurstel“, “salsicce“, “bistecche“.

Il ministro Lollobrigida sta facendo la guerra alla carne riprodotta in laboratorio, e non per questioni concernenti chissà quale alterazione biochimica che potrebbe danneggiare la nostra salute, ma semplicemente per tutelare e proteggere la filiera industriale della zootecnia nazionale, presentata come una eccellenza produttiva. Che certamente è dal punto di vista specista, commerciale, capitalista.

Quello che preme evidenziare è l’altro punto di vista: quello della insostenibilità ecologica, della crudeltà verso i milioni di animali che vengono uccisi, quello di una salvaguardia ambientale che fa il paio pure con i diritti sociali, con una necessità di riconversione della produzione e dei posti di lavoro che può coincidere con uno sviluppo alternativo a quello che ci ha condotto al disastro sociale, alla subordinazione del ruolo pubblico degli Stati alla logica del privato.

Senza un legame sempre più stretto tra le lotte per il lavoro e per l’ambiente, corriamo il pericolo di avere uno sguardo parziale e una visione molto ridotta della enormità dei problemi che ci circondano. Il cambiamento climatico è causato da un modello produttivo che è inadeguato allo sviluppo e che è incompatibile con la sopravvienza della nostra specie come di tutte le altre e, nell’insieme, con l’interezza della natura.

Le fantasie di complotto hanno una unica funzione: quella di operare come armi di distrazione di masse rispetto alle soluzioni che veramente si possono mettere in campo. Ad iniziare da una critica cosciente, razionale e scientifica degli accadimenti. Ad iniziare, quindi, da una formulazione politica di analisi che non scadano nel ridicolo, nella fanatizzazione, nella cieca omologazione a pensieri presuntuosamente alternativi e ribelli che altro non sono se non la parodia di sé stessi.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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