Il governo del Regno Unito, guidato dal conservatore Rishi Sunak, ha annunciato un ulteriore piano di espansione delle trivellazioni fossili nel Mare del Nord. Una decisione che ha tutte le caratteristiche per essere configurata come un vero e proprio greenwashing di Stato. Questa porterà infatti all’approvazione di centinaia di nuove licenze petrolifere al largo delle coste scozzesi, ma i vertici rassicurano che l’impatto sul clima sarà trascurabile in quanto le attività saranno accompagnate da sistemi all’avanguardia di cattura e stoccaggio del carbonio. Downing Street ha reso noto che l’obiettivo generale è quello di «aumentare l’indipendenza energetica britannica e ridurre la dipendenza da Stati ostili». La Scozia nord-orientale e l’Humber sono state scelte come le aree idonee per due nuovi «cluster di utilizzo e stoccaggio per la cattura del carbonio», i quali creeranno – a detta dei ministri del Regno Unito – una «fiorente industria pulita nel Mare del Nord».

Affermazioni simili non sono rare di questi tempi: il governo UK non è di certo il primo ad aver giustificato il ricorso alle fonti fossili in nome della sicurezza e dell’autonomia energetica. Tuttavia, in questo caso, sorprende la naturalezza con cui l’ennesimo piano di espansione delle fonti climalteranti sia stato presentato addirittura come ‘sostenibile’. Immancabile poi l’annuncio di nuovi posti di lavoro: tra le nuove licenze per petrolio e gas e i sistemi di cattura del carbonio, il governo ne ha sbandierati almeno 250 mila. Al livello politico, la mossa dei conservatori non rappresenta poi nemmeno lontanamente un compromesso tra la loro posizione e quella dei laburisti che chiedevano invece lo stop ad ogni nuova trivellazione. Rishi Sunak è stato quindi accusato di favorire una “guerra culturale sul clima” nel tentativo di porre rimedio a “13 anni di politica energetica fallimentare dei conservatori”. La decisione ha inoltre allarmato i movimenti ambientalisti e scatenato le proteste di numerosi attivisti climatici.

Il Primo Ministro ha comunque tirato dritto e confermato le nuove licenze petrolifere e i due multimilionari progetti per la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio dell’anidride carbonica. Questi ultimi saranno affidati ad Acorn, una joint venture tra il colosso fossile Shell e altre aziende, e al progetto Viking. Due iniziative parallele definite “fondamentali per realizzare l’obiettivo di zero netto”. Eppure, che i sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio rappresentino una falsa soluzione è stato già reso noto da numerosi esperti. Meno di un anno fa gli autori di un rapporto di valutazione della tecnologia in questione hanno ad esempio sottolineato, senza mezze misure, che questa non è la strada da intraprendere per contrastare i cambiamenti climatici. Nel complesso, i progetti analizzati sono stati caratterizzati da scarsi risultati: su 13 progetti esaminati, i quali rappresentano circa il 55% del totale attivato a livello mondiale, sette hanno registrato risultati insufficienti, due sono falliti e uno è stato accantonato. Inoltre, è emerso che quasi tutti sono risultati associati ad emissioni di gas serra sia dirette che indirette. Ciononostante, molti governi considerano questa tecnologia sempre più centrale nel processo di decarbonizzazione. La realtà invece è che tali sistemi serviranno solo a prolungare la vita dei combustibili fossili ben oltre la soglia necessaria a mantenere il carbonio nell’atmosfera a livelli “sicuri” per l’umanità. D’altronde molti capi di governo, come ad esempio Sunak, lo hanno detto piuttosto esplicitamente: «anche quando avremo raggiunto lo zero netto nel 2050 – ha dichiarato in questi giorni il capo del governo UK – almeno un quarto del nostro fabbisogno energetico proverrà da petrolio e gas».

[di Simone Valeri]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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