Approvata definitivamente la tassa sugli extraprofitti bancari. Restano però le criticità e i rischi, soprattutto per i più vulnerabili

Caterina Orsenigo

La tassa sugli extraprofitti bancari è stata approvata in via definitiva dal parlamento. E il risultato è che da una parte è stato mantenuto l’impianto iniziale, con tutte le sue criticità. Dall’altro la normativa è stata depotenziata fortemente: tanto rumore per nulla.

Il governo ha posto la fiducia sul provvedimento, il decreto legge “Asset”, che all’ultima votazione ha ricevuto 155 sì, 108 no e due astenuti. La tassa sugli extraprofitti bancari è dunque inserita in una normativa “omnibus”, in cui sono confluiti anche l’ingresso dello Stato in Tim, la proroga del super-bonus per le villette, la modifica al tetto dei prezzi per le tratte aeree che collegano le isole, le concessioni balneari, le licenze dei taxi e anche granchio blu e caccia negli stagni.

La proposta iniziale bocciata dalla Banca Centrale Europea

Eravamo nella prima metà di agosto quando il governo esprimeva la volontà di porre un’imposta straordinaria sugli extraprofitti delle banche, realizzati grazie all’incremento dei tassi d’interesse nei mesi scorsi. Di per sé un ottimo strumento teoricamente redistributivo, che permetterebbe di mettere un freno ad accumuli sproporzionati di capitale e di restituire alla comunità una parte della ricchezza. Facile, per alcuni esponenti della maggioranza, farne subito una bandiera dell’impegno in difesa delle classi più vulnerabili.

I proventi infatti sarebbero destinati al taglio della pressione fiscale e al sostegno ai mutui per la prima casa per giovani coppie. In realtà, il modo in cui era pensata questa tassa era piuttosto problematico e perfino controproducente, per diverse ragioni. Non a caso, aveva generato un polverone, fatto reagire i mercati e sortito una netta bocciatura da parte della Banca Centrale Europea.

Sugli extraprofitti bancari una manovra una tantum

Per cominciare, si trattava di una tassa una tantum e non di un provvedimento strutturale e pensato a lungo termine. Per com’era stata progettata, sarebbe stata applicata sull’aumento di margine del 2022 sul 2023 quando superiore al 6% e del 2022 sul 2021 quando superiore al 3%.

Ma soprattutto tassando allo stesso modo i profitti di banche piccole e grandi, virtuosamente attive sul territorio o dedite alla speculazione che fossero. Si sarebbe trattato di un’aliquota del 40% sull’ammontare di extraprofitto rispetto all’anno precedente, per tutti, indiscriminatamente. Inoltre non avrebbe potuto superare lo 0,1% degli attivi della banca: il gettito non sarebbe stato quindi poi gigantesco e avrebbe comunque favorito le banche con extraprofitti maggiori. La tassa infine si concentrava sui margini relativi alle concessioni di prestiti, rischiando quindi che le banche preferissero eludere la tassa nel modo più semplice: evitando di erogare prestiti.

Modifiche sostanziali, ma restano i principali difetti

Nelle scorse settimane, subissato dalle critiche, il governo ha fatto marcia indietro su alcuni dei nodi principali. Nel Dl votato ieri, i titoli di Stato sono esclusi dall’imponibile e il tetto massimo dell’imposta è passato dallo 0,1 dell’attivo allo 0,26 dell’attivo esposto a rischio. La banca inoltre potrà scegliere di non pagare la tassa ma di accantonarla come riserva non distribuibile. Il gettito rimane quindi molto incerto in quanto le banche potrebbe decidere di rimandare al 2024 la distribuzione degli utili.

Resta la linearità dell’aliquota, uguale per tutti gli istituti di credito, al di là delle dimensioni, delle caratteristiche, e soprattutto senza preoccuparsi di cosa le banche facciano di quegli utili. Alcune le distribuiranno agli azionisti, ma è possibile che altre li rimettano in circolo, per esempio erogando maggiore credito. In quest’ottica, il provvedimento permette di catalizzare l’attenzione sulle banche, senza un effettivo impegno a ricondurre la finanza al servizio dell’economia reale e tralasciando invece gli enormi extraprofitti di altri settori imprenditoriali magari anche dannosi come quello dei combustibili fossili.

In parlamento, d’altra parte c’è stato poco tempo per discutere: la decisione di porre la fiducia ha di fatto blindato il pacchetto: prendere o lasciare (e far cadere il governo: impensabile in questa fase).

Una norma nata “per restituire ricchezza” ma che in realtà rischia di colpire proprio famiglie e imprese

Il risultato complessivo è un sostanziale pasticcio, modificato più volte nel giro di un paio di mesi dallo stesso governo per tentare di renderlo più accettabile. Il provvedimento non riesce inoltre in alcun modo a colpire le attività meno virtuose del sistema bancario (né a premiare, di contro, quelle che lo sono), a partire dalle speculazioni sui mercati, dalla cultura del breve termine e della massimizzazione dei profitti ad ogni costo.

Addirittura, penalizzando di fatto chi eroga credito, rischia di provocare un’ulteriore contrazione dello stesso, a danno di famiglie, imprese e tessuto produttivo. Niente male per una norma che era nata all’opposto, per “restituire” a famiglie e imprese parte degli extra-profitti fatti dalle banche.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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