Helga Merkelbach

Sempre più spesso l’acqua è causa di guerra. A volte diventa anche un’arma di guerra. Di certo, la scarsità di acqua provocata da guerre (e da industrializzazioni e cambiamenti climatici) è un problema che precipita prima di tutto sulla vita di ogni giorno di milioni di donne. Ad esempio di quelle che, in qualsiasi angolo del mondo, si occupano della riproduzione sociale attraverso gli orti. In questo articolo Helga Merkelbach, pacifista e femminista che da anni si occupa si occupa del diritto umano all’acqua, ragiona sui nessi tra acqua, cibo e guerra, con un’attenzione alle donne e alla guerra in Ucraina. «Nel marzo 2019 una donna ucraina di Izyum, incontrata per caso, mi ha invitato a vedere il memoriale della pace nella sua piccola città natale… – scrive Merkelbach – Ci siamo scambiate le storie dei nostri padri. L’esercito sovietico e quello tedesco avevano perso e riconquistato Izyum tre volte durante la Seconda guerra mondiale. Noi due eravamo in piedi sulle rive del fiume Donets… Quando l’esercito russo invase l’Ucraina nella primavera del 2022, Izyum si trasformò nuovamente in un campo di battaglia… Lei stessa è fuggita dall’Est… È rimasta per un po’ di tempo da parenti in Russia e poi ha deciso di tornare a casa per prendersi cura della sua famiglia. È una delle donne che si mantengono in vita occupandosi quotidianamente di acqua, cibo e riparo per sé e per i propri cari, mentre la guerra degli uomini (per lo più) e l’esportazione di armi (decisa per lo più da uomini al potere) alimentano la continuazione della guerra…»

Foume Dnpr. Foto di Ann Chornous su Unsplash

Il nesso tra acqua, cibo (sicurezza alimentare), biodiversità e guerra, con un’attenzione particolare alle donne, si può facilmente individuare nell’attuale guerra in Ucraina. L’acqua nel contesto della guerra può assumere tre funzioni: causa, mezzo, conseguenza (scarsità d’acqua o inondazioni). Ciò non significa che sia l’unica o la principale causa, mezzo o conseguenza di una guerra, ma essa svolge un ruolo importante.

L’acqua come causa di guerra

Quando nel 2014 la Russia ha occupato la Crimea – occupazione seguita dall’insediamento del governo filorusso di Aksyonov nella penisola, dal referendum sullo status della Crimea e dalla dichiarazione di indipendenza della Crimea il 16 marzo 2014 – l’Ucraina ha bloccato il canale della Crimea settentrionale tanto che l’agricoltura della Crimea ne ha risentitoUno studio del 2015 ha rilevato che il canale forniva l’85% dell’acqua della Crimea prima del blocco del 2014. Il 72% dell’acqua del canale era destinata all’agricoltura e il 10% all’industria, mentre l’acqua per uso potabile e altri usi pubblici rappresentava il 18%.

Nonostante la costruzione di bacini idrici, la coltivazione di terreni agricoli si è ridotta da 130.000 ettari nel 2013 a 14.000 nel 2017. Nel 2021 l’acqua potabile era disponibile solo per tre-cinque ore al giorno, un problema certamente grave per l’igiene di donne, malati, anziani e bambini piccoli. L’8 maggio 2021 il “New York Times” espresse il timore che la scarsità d’acqua potesse diventare una motivazione per l’invasione russa dell’Ucraina.

Il primo giorno dell’invasione russa, il 24 febbraio 2022, le truppe russe hanno preso il controllo del canale settentrionale della Crimea. Il 26 febbraio hanno fatto esplodere la diga che l’Ucraina aveva costruito per bloccare il flusso d’acqua dal 2014. Da allora la Crimea ha ricevuto di nuovo l’acqua.

L’acqua come arma di guerra

Nei primi giorni dell’invasione il mondo guardava con ansia le immagini dei veicoli blindati russi mentre si avvicinavano alla capitale Kiev. La popolazione cercava protezione nelle stazioni sotterranee, il governo inviava le direttive da un rifugio. L’esercito russo non raggiunse mai Kiev, ma poco si seppe del motivo. L’Ucraina fece esplodere una piccola diga sul fiume Irpinallagando un villaggio per tenere a bada i carri armati russi. Le foto mostrano donne mentre usano l’acqua sporca nelle loro case. I media occidentali hanno riportato che gli abitanti del villaggio affermavano con orgoglio di essersi sacrificati per salvare la capitale. Il prezzo di questo tipo di autodifesa viene pagato dai civili che perdono le loro case e anche le loro vie di rifornimento.

L’esercito ucraino ha demolito centinaia di ponti, che di solito servono da collegamento e sostegno degli scambi, per tagliare i rifornimenti all’esercito russo. Tra questi c’era un ponte sul fiume Buča, a Irpin, che divenne un’icona della difesa ucraina quando fu distrutto dall’esercito ucraino per bloccare definitivamente l’avanzata russa verso Kiev il 6 marzo 2022. Essendo di importanza strategica, la sua ricostruzione è stata portata a termine nel novembre dello stesso anno dal gruppo ONUR, un’impresa di costruzioni turca.

La distruzione di dighe o ponti come azione di guerra è stata presente in ogni fase del conflitto ed è stata praticata da entrambi gli avversari. Il 26 febbraio 2022 l’esercito ucraino ha intercettato un razzo russo puntato verso una diga sul lago artificiale di Kiev; avrebbe potuto inondare la capitale.

Nella primavera del 2022, nel territorio occupato di Cherson, l’esercito russo ha demolito una condotta idrica che portava acqua alla città. Nei caldi mesi estivi le immagini mostravano le persone, per lo più donne, in fila per riempire le taniche d’acqua e, nel gelido inverno successivo, si diceva che alla gente mancasse l’acqua e il riscaldamento.

L’acqua è stata usata come arma da entrambe le parti che hanno ignorato la protezione dei civili (del proprio e del paese avversario) e il diritto umano all’acqua per il sostentamento.

Il 6 giugno 2023 la diga di Kakhovka (che frena il flusso del fiume Dnjepr) è stata colpita e alla fine del mese il bacino di Kakhovka era completamente asciutto. Costruito nel 1956, era il secondo bacino idrico dell’Ucraina per superficie e il primo per volume d’acqua.

Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1941, i sovietici fecero saltare un’altra diga sul fiume Dnjepr per fermare l’invasione tedesca. Nel 1943, durante la ritirata, l’esercito nazista la fece saltare di nuovo per impedire l’avanzata dell’esercito sovietico. Ad oggi non si riesce a trovare una prova inequivocabile di chi abbia effettivamente causato la breccia. La controffensiva ucraina aveva raggiunto il lato occidentale del fiume Dnjepr. Dopo l’inondazione della regione, né gli ucraini potevano avanzare verso est né i russi verso ovest, paralizzando la guerra lungo una linea statica di fronte costituita dal fiume. La diga aveva il compito di riempire il serbatoio di Kakhovka, che riforniva il Canale della Crimea settentrionale con l’acqua per la Crimea. La rottura è riuscita a bloccare nuovamente il flusso d’acqua e a far sì che la penisola soffrisse di carenza idrica come in precedenza, dal 2014 al 2022. Se la rottura della diga sia dovuta alla debolezza del materiale o se uno dei due contendenti abbia deliberatamente usato l’acqua come arma non può essere indagato o provato in modo certo mentre la guerra è in corso. Senza dubbio, l’effetto è duraturo.

Conseguenze dell’alluvione e della scarsità d’acqua

La regione alluvionata era già stata una zona di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale. Non era mai stata completamente bonificata dalle munizioni e dagli esplosivi presenti nel terreno che ora possono essere nuovamente trascinati via insieme a tutto il nuovo materiale inesploso. Questo danneggerà gli agricoltori che dopo la guerra lavoreranno la terra.

Nell’immediato, batteri come la salmonella, l’E.coli e il colera nel delta di Dnipro-Buh e nel Mar Nero hanno indotto il governo a vietare la pesca, segno che gli animali sono stati colpiti dall’alluvione così come la salute delle persone.

L’acqua del bacino era servita in passato per l’irrigazione dei campi che ora si prosciugheranno, come già rivelano i parchi nazionali della zona. Inoltre, una volta asciutto, il vento spazzerà via strati fertili di terreno un tempo considerati i più fertili del mondo.

Il cambiamento climatico aveva già colpito il Sud dell’Ucraina più del Nord, le temperature erano aumentate maggiormente (rispetto al Nord), le estati erano diventate più calde e secche. Pertanto, le maggiori aziende agricole ucraine avevano spostato le colture più sensibili al calore nella regione settentrionale. Questo vale soprattutto per le colture da esportazione su larga scala; il Sud era diventato un’area per la produzione di mais come foraggio o biocarburante.

Tuttavia, i piccoli agricoltori e le persone più povere continuavano a coltivare ortaggi e frutta per uso personale su piccoli appezzamenti di terreno od orti, dipendendo maggiormente dalle possibilità di irrigazione. In questo caso erano le donne a rimanere a casa e a rifornire le famiglie con i prodotti dell’orto, mentre gli uomini avevano maggiori probabilità di trovare un lavoro meglio retribuito rispetto alle loro mogli e di portare a casa il denaro. Private di questa opportunità di autosufficienza, le donne sono le più colpite dai cambiamenti climatici e ora dalle conseguenze dell’uso dell’acqua come arma di guerra.

L’area è nota anche per l’estrazione mineraria e l’industria. Ora, dopo la rottura della diga, le sostanze chimiche come l’ammoniaca, i metalli pesanti e tutti i tipi di rifiuti industriali fluttueranno liberamente e contamineranno le acque sotterranee e degraderanno a lungo termine il suolo. Acqua e suolo che servono alla produzione di cibo. La salute di coloro che bevono l’acqua e mangiano ciò che producono nei loro orti è a rischio, e ancora una volta il danno ricade in particolare sulle donne, i neonati, i bambini piccoli e sulla salute riproduttiva di donne e uomini.

Quindi, ovviamente, ciò che si considera un pericolo per la salute umana è anche una minaccia per la biodiversità. Le inondazioni stagionali del passato, come quelle dell’Egitto nell’antichità, causavano anch’esse danni, ma erano anche fonte di rinnovamento, portavano acqua fresca e depositavano il limo fertile. Oggi, nell’era industriale, le inondazioni contengono tutti i rifiuti contaminanti dell’industria; inoltre, in tempo di guerra, passata o presente, trascinano materiale bellico tossico ed esplosivo.

Pertanto, non fa differenza se le inondazioni nelle guerre sono casuali o provocate per la conquista o la difesa: alla lunga distruggono l’ecosistema. Uno sguardo ai campi di battaglia della Prima guerra mondiale, come quelli di Verdun, dove infuriò la guerra di trincea, dimostra che anche dopo un secolo, nulla cresce più come prima. E gli studi sulle inondazioni in Mozambico dopo la guerra civile dimostrano che esse sono un pericolo per gli animali e per gli esseri umani quando trascinano il materiale bellico (esplosivi e altro). Inoltre, l’acqua potabile e il cibo prodotto su terreni contaminati con acqua contaminata compromettono la salute umana. Le piante possono adattarsi, ma quelle indigene più sensibili scompariranno e si diffonderanno quelle invasive. Di conseguenza, gli animali si sposteranno o si estingueranno e compariranno quelle invasive – l’ecosistema è distrutto e, come parte di esso, la vita umana è sconvolta, compresa la riproduzione umana, specie quella delle donne e dei loro figli.

L’incontro con le donne in Ucraina

Nel marzo 2019 mi sono recata nell’area di Kharkiv per incontrare le organizzazioni pacifiste femminili che si impegnano per l’integrazione delle donne sfollate (principalmente di lingua russa) dal Donbass, dalle regioni di Luhansk e Donetsk separate dall’Ucraina dal 2014.

Ho incontrato le donne che vivevano vicino all’aeroporto, lontano dalla città, in container finanziati dal governo tedesco. La maggior parte di loro aveva figli disabili. I container sono caldi d’estate e freddi d’inverno, quando si cucina all’interno si forma della condensa sulle pareti, dannosa per le vie respiratorie.

Il terreno intorno ai container non è adatto alla coltivazione di erbe aromatiche od ortaggi. La ONG ha cercato invano di ottenere un terreno per una serra. Le donne si sono lamentate della loro dipendenza dalle consegne di cibo. Ricevevano riso dalla Germania, che veniva consegnato alle autorità ucraine, che lo scambiavano con riso di qualità inferiore e vendevano quello di qualità superiore a proprio vantaggio.

Ho incontrato anche donne che avevano trovato rifugio presso parenti. Nonostante tutti i pericoli, continuavano a tornare nella zona di combattimento per coltivare patate, verdure e frutta nei loro orti e portarli oltre il confine. Facevano lavori di artigianato e cercavano di dare un piccolo contributo per la loro permanenza in famiglia.

Nel frattempo, nel corso della guerra, più di sei milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina per andare profughe nel mondo occidentale. La stragrande maggioranza di loro sono donne e bambini. Gli uomini, tra i 18 e i 60 anni, non possono lasciare il Paese e devono prestare servizio militare. È questo il tratto distintivo della guerra in Ucraina e della condizione dei profughi e delle profughe rispetto ad altre guerre in atto nel mondo. Ad esempio, dalla Siria sono fuggiti sia uomini che donne. In Eritrea, gli uomini vengono reclutati con la forza e il loro rifiuto è considerato motivo di asilo in Europa. In Ucraina, quindi, al momento sono rimaste meno donne che uomini.

Sono ancora in contatto con le donne del gruppo per la pace. Alcune di loro sono partite per l’Europa occidentale. Una di loro ha cercato disperatamente di salvare il figlio diciottenne dal servizio militare facendogli ottenere un posto presso una Università fuori dall’Ucraina. Ho saputo che fargli attraversare il confine con la Moldavia all’inizio del 2022 è costato almeno 1.000 euro di “pedaggio”.

Alcune donne hanno cercato di portare beni e cibo essenziali per la sopravvivenza alle famiglie che le circondano. Una si offre regolarmente per ore online per dare sollievo psicologico e fare opera di riconciliazione. Le donne, siano esse ucraine o russofone, possono raccontare le loro storie, esprimere i loro sentimenti, scambiare i loro pensieri.

Nel marzo 2019 una donna ucraina di Izyum, incontrata per caso, mi ha invitato a vedere il memoriale della pace nella sua piccola città natale. Ci siamo scambiate le storie dei nostri padri. L’esercito sovietico e quello tedesco avevano perso e riconquistato Izyum tre volte durante la Seconda guerra mondiale. Noi due eravamo in piedi sulle rive del fiume Donets. Mi raccontò che i prigionieri di guerra tedeschi avevano ricostruito i ponti sul fiume. Quando l’esercito russo invase l’Ucraina nella primavera del 2022, Izyum si trasformò nuovamente in un campo di battaglia. La mia amica era felice che sua figlia vivesse già all’estero. Lei stessa è fuggita dall’Est, un periodo doloroso, caratterizzato da mancanza di acqua e cibo e da notti insonni al freddo nei campi senza riparo. È rimasta per un po’ di tempo da parenti in Russia e poi ha deciso di tornare a casa per prendersi cura della sua famiglia. È una delle donne che si mantengono in vita occupandosi quotidianamente di acqua, cibo e riparo per sé e per i propri cari, mentre la guerra degli uomini (per lo più) e l’esportazione di armi (decisa per lo più da uomini al potere) alimentano la continuazione della guerra.


Helga Merkelbach è socia della WILPF internazionale; da anni si occupa del diritto umano all’acqua e della situazione idrica in ogni Paese in cui si reca. Nel 2019 si è recata nella zona di Kharkiv per vedere dove suo padre ha combattuto la sua prima battaglia a 18 anni ed è sopravvissuto per insegnarle che nessuna guerra è mai positiva per qualcosa.


[Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web
di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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