Nei comunicati di preparazione dell’anniversario l’EZLN spiega le nuove forme organizzative delle comunità zapatiste, mentre il Messico corre verso le nuove elezioni presidenziali in uno scenario ancora dettato dalla violenza e dall’estrattivismo

Il 1 gennaio 2024 ricorrerà il trentesimo anniversario dall’insurrezione zapatista del 1994, momento fondamentale nella storia dei movimenti globali post ‘89, nonché della storia del Messico. L’insurrezione indigenista nello stato del Chiapas provocò una mobilitazione nazionale e internazionale in supporto all’EZLN che assunse portata straordinaria negli anni fino alla memorabile “Marcia del colore della Terra” che portò gli zapatisti a riempire lo Zocalo, l’enorme piazza principale di Città del Messico, nel marzo del 2001.

Il movimento zapatista ha poi vissuto diverse stagioni ed evoluzioni, sia al proprio interno che nei confronti della società civile messicana e internazionale, alternando momenti di apertura al confronto a fasi di protezione e autodifesa. Un ultimo momento di importante di contatto con il resto del mondo avvenne nell’autunno 2021 quando un grande contingente con centinaia di attivist3 dal Chiapas giunse in Europa per la Gira Zapatista – Viaggio per la Vita, una carovana che ha permesso scambio, conoscenza e confronto in tantissime città europee.

Nel paese latinoamericano, tuttavia, si può dire che l’anniversario del 1 gennaio al momento non sia al centro del dibattito pubblico. Una ragione è che a giugno si celebreranno le elezioni presidenziali – come accadeva anche nel 1994 – e sono queste ultime a essere già sotto i riflettori.

La candidata che si preannuncia vincitrice è Claudia Sheinbaum, ex sindaca di Città del Messico ed esponente di Morena il partito dell’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO). Rivale di Sheinbaum è Xochil Gálvez, candidata del PRI e PAN (centro-destra ed estrema destra), ormai coalizzati in modo stabile per ostacolare il partito del presidente.

Il paese viene da sei anni di presidenza molto particolari. AMLO ha sicuramente un consenso ancora molto elevato, costruito attraverso una serie di programmi sociali e assistenziali che hanno facilitato le classi meno abbienti. Al tempo stesso il presidente, con il suo approccio nazionalista, ha ottenuto il favore di una parte importante del capitalismo messicano, grazie a una serie di provvedimenti che ne favoriscono l’espansione territoriale e ne garantiscono la protezione contro la concorrenza straniera. Il paese ha vissuto pertanto un mandato presidenziale caratterizzato da crescita economica – accompagnata da inflazione e rafforzamento della moneta su dollaro ed euro – nonostante questo dato sia parziale in un contesto segnato da così gravi disparità economiche e sociali.

Non è invece migliorata in modo significativo la tutela dei diritti umani e dei processi di democratizzazione. Si è infatti assistito a una crescente militarizzazione dello spazio pubblico, dalle forze di sicurezza alle istituzioni civili. Inoltre la crescita economica è stata per lo più indifferente alle istanze delle popolazioni indigene, che hanno visto i propri terreni invasi da megaprogetti logistico-industriali guidati da cordate di capitale, spesso messicano: dal corridoio transismico nello stato di Oaxaca al Tren Maya nella penisola dello Yucatán. Infine il Messico è stato ulteriormente pervaso da nuove strutture del crimine organizzato spesso strettamente legate a politici locali e nazionali. In quasi tutti gli stati della Federazione sono presenti vari cartelli – da Jalisco Nuova Generazione, a Sinaloa, a La Famiglia Michoacana – che si guerreggiano tra di loro per il controllo di mercati illegali come produzione e traffico di sostanze stupefacenti, o sequestro ed estorsione a danno dei migranti in rotta verso gli USA. Altrettanto frequentemente competono per il controllo di mercati legali come quello dell’estrazione mineraria, del legname o delle coltivazioni agricole intensive destinate all’esportazione, in primis gli avocado.

Questi tre fattori – militarizzazione, espansione estrattivista in terreni rurali indigeni e criminalità organizzata – si traducono in violenza generalizzata in molti stati del paese che implica un numero sempre crescente di desaparecidos, comunità sradicate dalle proprie terre, scontri a fuoco.

In questo scenario, l’impressione è che la memoria di quanto accaduto in Chiapas 30 anni fa sia debole, nonostante articoli su alcuni media e persino una mostra fotografica ufficiale in un viale di Città del Messico.

All’interno della situazione complessa che vive il paese, lo stato sudoccidentale vive una situazione ancora più delicata. Il Chiapas infatti ha visto crescere esponenzialmente nell’ultimo anno la presenza del crimine organizzato, come mai era accaduto in precedenza, con sparatorie, scontri e violenza che si ripercuotono ovviamente nei confronti delle comunità indigene e nei confronti dei percorsi di resistenza.

Malgrado tutto questo, l’EZLN è tornato a farsi sentire con una serie di comunicati pubblicati a partire dai primi di novembre. Nei testi, corredati da contributi video, immagini, testi di vario genere, viene fatto un bilancio degli anni trascorsi, approfondendo in particolare il sistema di governo consolidatosi dal 2003, cioè quello basato su caracoles, giunte di buon governo e municipi autonomi.

In questo sistema, che ha permesso l’autogoverno, spiega il decimo comunicato trasmesso a novembre, si è però formata una piramide involontaria tra Giunte, Municipi e singole comunità. Si scrive infatti che, «a causa della piramide, venivano tagliate molte informazioni, linee guida, suggerimenti, supporto delle idee che i colleghi del CCRI (Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigena) spiegavano. La Giunta di Buon Governo (JBG) non trasmetteva integralmente e la stessa cosa succedeva con le Autorità dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, e di nuovo si ripeteva quando i MAREZ informavano le assemblee di autorità delle comunità e per ultimo così succedeva con le autorità delle comunità quando riferivano a ogni villaggio. Avvenivano molti tagli di informazione o interpretazioni, o entrambi che non corrispondevano all’originale […] Si stava cadendo nel voler decidere da parte delle autorità le faccende e le prese di decisioni, come MAREZ e JBG. Volevano mettere da parte i sette principi del comandare obbedendo.»

Viene quindi messo a critica il modo di funzionamento interno, ma pure il ruolo di attori esterni che si sono avvicinati in questi anni, in particolar modo in un passaggio si menziona il sistema delle ONG: «Ci sono state anche delle ONG che volevano che fossero accettati dei loro progetti nella JBG e nel MAREZ che non erano ciò di cui la comunità aveva bisogno. O persone in visita che facevano amicizia con qualche famiglia o comunità e solo a queste inviavano aiuti. E alcuni visitatori volevano addirittura comandarci e trattarci come loro servi. Così, con grande gentilezza abbiamo dovuto ricordare loro che siamo zapatisti. […] Se lo zapatismo fosse solo l’EZLN, sarebbe facile dare ordini. Ma il governo deve essere civile, non militare. Poi le persone devono trovare la loro strada, il loro modo e il loro tempo. Dove e quando e cosa. L’esercito dovrebbe essere solo per la difesa. La piramide può essere utile per scopi militari, ma non per scopi civili». Nel comunicato precedente, il nono, veniva spiegata la nuova organizzazione che verrà radicata in GAL, ossia Governo Autonomo Locale, una forma di autogestione di una comunità di base, che a sua volta di articolerà in Collettivi di Governo Autonomo Zapatista, (CGAZ) per poi aggregarsi in Assemblee dei Collettivi di Governo Autonomo Zapatista (ACGAZ). Viene ribadito che Collettivi e Assemblee non avranno autorità se non quella che deriva dai GAL, cioè si vuole dare massima centralità alla capacità decisionale delle comunità.

Non si sa ancora, ovviamente, cosa questo implichi e come verrà declinato in pratica. Quello che però stupisce del rinnovamento è la capacità del movimento zapatista di mettersi a critica e trovare sempre nuove forme di autogestione che possano al meglio esprimere la volontà politica delle comunità in cui è radicato. Un esercizio di resistenza, democrazia dal basso e autocritica che anche dopo 30 anni continua a ispirare e insegnare al mondo.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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