Nel dibattito in corso sulla possibilità (che pare remota) di presentazione di una sola lista di sinistra nelle prossime elezioni Europee appare labile una riflessione compiuta sul tema della rappresentanza politica e sul “come” questa rappresentanza possa essere esercitata in un quadro di forte difficoltà della cosiddetta “democrazia liberale”.

Non si riscontra, infatti, alcun accenno al ruolo e alle funzioni del Parlamento: all’evoluzione determinatisi in questo senso nel corso degli anni fino al trattato di Lisbona, al tipo di quadro politico che all’interno del Parlamento si è determinato nel corso dell’ultima legislatura, a un eventuale progetto di riforma dell’istituzione.

Non si accenna a un’ipotesi di abbandono contrapposta magari a un’altra ipotesi di tentativo di valorizzazione.

Pare non esistere la possibilità di aprire, all’interno del Parlamento, una fase di dialettica politica.

Nulla di tutto questo. Perché?

Sembra mancare la convinzione di poter superare un dato di “astrattezza tecnocratica” che le istituzioni europee si portano appresso dall’inizio: “astrattezza tecnocratica” ben insita nella logica dei trattati di Maastricht.

Sarebbe invece il caso di riflettere meglio sul come i due punti prioritariamente evocati nello sviluppo del dibattito del pericolo di destra e della proposta di pace si intreccino sulla possibilità di rappresentanza politica degli sfruttati, del mondo del lavoro, della contraddizione di genere.

Le grandi transizioni in atto, quella ecologica e quella della nuova frontiera digitale, si intrecciano con la necessità di un ritorno ai nostri storici “fondamentali” principiando da quelli marxiani.

Così si potrebbero anche fronteggiare quei fenomeni di accostamento a destra pericolosamente insiti in quelle visioni “sovraniste”: per esempio in “Aufstehen” spezzone della Linke e in soggetti presenti anche nel sistema politico italiano sul versante rosso-bruno.

La presenza nel Parlamento Europeo di una forza espressione sul piano politico di quanti soffrono delle grandi e complesse contraddizioni della modernità,contribuirebbe a rivalutare in una qualche misura l’istituzione sollevando anche questioni di fondo che riguardano natura e prospettiva dell’Unione che qui sarebbe troppo lungo da analizzare.

Una presenza collocata sul versante del “progetto” e non semplicemente di esigenze di tipo politicista.

Realizzare questo progetto attraverso la costruzione di una lista collocata “oltre” specifiche (e pur fondamentali) “issue” come quella pacifista costituirebbe sicuramente un passo avanti nell’affrontare quel dato della frammentazione del rapporto tra progetto politico e azione sociale.

La divaricazione tra progetto politico e azione sociale costituisce l’ elemento decisivo nel determinare la fragilità di qualsiasi azione politica da cui consegue l’isolamento della capacità stessa di quella reazione sociale che pure in certi casi si dimostra come nei casi d’attualità delle dimostrazioni anti- destra in Germania e in favore del popolo palestinese in molte capitali d’Europa.

Eppure questi elementi ci indicano come l’Europa possa essere considerato lo spazio prioritario dell’agire politico.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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