Pensieri sparsi sulla morte di Navalny.
Se c’è una persona alla quale la sua morte ORA non conviene è proprio Putin. Sottolineo, ORA: a un mese dalle elezioni, a una settimana di distanza dall’intervista di Carlson, ad Avdiivka sostanzialmente conquistata, nel momento in cui cerca di accreditarsi a occidente come un leader con cui si può discutere e col quale trovare una soluzione diplomatica, in una campagna elettorale blindata nella quale non ricava alcun vantaggio dal dimostrarsi un emulo dell’NKVD, e con la Conferenza sulla sicurezza a Monaco appena iniziata e alla quale, guarda la casualità, partecipa la moglie.
Invece la morte di Navalny ha compattato immediatamente l’opinione pubblica e i media occidentali messi in po’ in crisi dagli ultimi eventi, che hanno subito riproposto l’idea di un despota sanguinario che decide, senza una sola ragione plausibile, di eliminare fisicamente un oppositore già neutralizzato politicamente e che comunque in Russia non ha mai raccolto troppi consensi, sicuramente meno di quanti ne raccolga dalle nostre parti. Un despota, quindi, col quale assolutamente non si può discutere, men che meno negoziare.
Penso (ma è ovviamente solo la mia opinione) che si tratti di una “normale” morte in carcere, per quanto si possano considerare “normali” le morti in carcere. Un uomo detenuto da tempo in condizioni molto dure, sottoposto a un regime di carcerazione pesante in una struttura che, come tutte le strutture carcerarie, non mette al primo posto il benessere del detenuto né è dotata (soprattutto quelle al circolo polare artico) di un valido presidio medico. Ed è grave, gravissimo, che un detenuto muoia e che le sue condizioni di detenzione siano dure, indipendentemente dal reato commesso (ove mai ne abbia commesso uno); ma che qualcuno abbia telefonato da Mosca per farlo ammazzare mi pare molto improbabile. Non perché a Mosca siano buoni, perché non lo sono affatto: ma perché non sono stupidi.

Francesco Dall’Aglio

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