Gabriele Germani

Il Sud del mondo ha visto prima un’enorme capacità di attirare investimenti dal Nord, diventando estremamente concorrenziale, e ora deve affrontare la risposta nella forma di guerra per procura esterna.

La sfida del sud del mondo

Negli ultimi trenta anni abbiamo assistito a un’inversione della tendenza storico-economica-demografica globale.

Era dalla metà del Quattrocento che gli equilibri mondiali si erano piegati a favore dell’Europa (e delle sue propaggini storiche, culturali e demografiche): in particolare il Nord America, ma anche Australia, Nuova Zelanda e dopo la II Guerra Mondiale gli alleati orientali come Giappone, Singapore e Corea del Sud.

Il Sud del mondo ha visto prima un’enorme capacità di attirare investimenti (e produrre capitale) dal Nord, diventando estremamente concorrenziale.

L’accumulazione di ricchezza in paesi come la Cina, il Vietnam, il Laos ha coinciso con un lento ma continuo sviluppo tecnologico e sociale, trasformando i paesi comunisti dell’Asia orientale in modelli costruttivi per il resto dei paesi oppressi.

Lentamente i paesi africani e latinoamericani (tra maggiori ostacoli) hanno cominciato ad avviare relazioni e rapporti commerciali, diplomatici ed economici tra loro e con i paesi asiatici, in particolare Cina e India.

Gli investimenti cinesi hanno funzionato da volano per le infrastrutture e la piccola industria locale, innescando quel fatidico processo win win che sta rivoluzionando il mondo e spuntando le armi del FMI e della Banca Mondiale.

L’ultima ondata di colpi di Stato in Africa subsahariana ha coinvolto le ex colonie francesi; in pochi mesi le truppe di Parigi sono state espulse, il francese è stato tolto dal rango di lingua istituzionale e l’uranio (risorsa desiderata) ha visto volare il suo prezzo.

La formazione di enti internazionali alternativi a quelli occidentali, come la Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS ha portato negli ultimi anni l’attacco su un altro livello, minacciando direttamente il dollaro e quindi la supremazia USA sul mondo.

Dal 1971, lo scollamento dollaro-oro invece di portare un crollo degli Stati Uniti li ha semmai aiutati ad affermare la propria moneta come referente internazionale, scalzarla da questa posizione è forse il punto iniziale di un domino.

Oggi il Nord può decidere se optare per una via di collaborazione equa e quindi accettare una riduzione della competizione e dei danni (ma anche una riduzione degli sprechi) o continuare questa sorta di guerra per procura esterna, ai posteri l’ardua sentenza.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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