Uno schizzo geopolitico precedente al “primo governo operaio della storia” ci mostra che esso non fu solo il prodotto della prima guerra-crisi mondiale, provocata dalla guerra franco-prussiana che scosse tutta l’Europa come un acceleratore sociale, ma l’eredità delle grandi lotte politiche dell’epoca, nonostante la lastra di piombo controrivoluzionaria che si abbatté su tutta l’Europa insurrezionale (1848-1851).
I proletari seppero mantenere viva in tutti quegli anni una solida memoria di classe, sia orale che scritta. Non si può spiegare la forza dei movimenti proletari della fine degli anni Sessanta del XIX secolo, di cui lo sviluppo insurrezionale del 1870-1871 in Francia segna l’apogeo, senza questa capacità della nostra classe di arricchirsi delle lotte del passato, di fare un bilancio dei suoi punti di forza e di debolezza per alimentare le lotte future. Nonostante le sconfitte, i vinti hanno trasmesso le esperienze di lotta, le lezioni apprese. Le diverse generazioni non si ignorarono a vicenda. I “vecchi” del 1848 si strinsero sulle barricate del 1871 con i giovanissimi rivoluzionari. Incontri informali, come quelli che avvenivano nei caffè, sul posto di lavoro, nei centri nevralgici di alcuni quartieri, incontri più strutturati (associazioni di mutuo sostegno, associazioni di resistenza, società segrete, circoli di lettura, ecc.) Il bisogno di organizzazione, di solidarietà, è rimasto vivo, a volte invisibile, nascosto agli occhi dello Stato, altre volte è riemerso inaspettatamente agli angoli delle strade sotto la pressione lenta ma inesorabile della vicinanza del confronto diretto.
Questo filo rosso attraversa tutto il XIX secolo, i conflitti polacchi del 1830 e del 1848, le lotte di liberazione italiane del 1848 e del 1860, il fenianismo dei nazionalisti irlandesi degli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, la guerra civile americana del 1861-1865, la gloriosa “Rivoluzione” spagnola del 1868 che ha dato origine alla Prima Repubblica, movimenti che culminano nella proclamazione della Comune nel marzo 1871. La causa francese divenne una causa repubblicana, in particolare quella della “Repubblica Universale”. Migliaia di volontari internazionali accorsero rapidamente per combattere in Francia in nome della libertà del popolo. La maggior parte di loro erano italiani, ma c’erano anche polacchi, spagnoli, belgi, irlandesi, greci, americani e uruguayani.
La guerra degli imperi
La seconda rivoluzione industriale stava trasformando l’Europa. Engels, nell’introduzione a “La lotta di classe in Francia”, la descrive così: “è proprio questa rivoluzione che ha portato ovunque chiarezza nei rapporti di classe… ha creato una vera borghesia e un vero proletariato di grande industria, la lotta tra queste due grandi classi, che nel 1848 al di fuori dell’Inghilterra esisteva solo a Parigi, si è estesa a tutta l’Europa”.
La Germania non si era ancora costituita come Stato nazionale borghese. La Prussia promosse l’unione doganale, lo “Zollverein”, creato nel 1834, che consentiva la libera circolazione di uomini, merci e capitali con una trentina di piccoli Stati federali, e sponsorizzò la riorganizzazione e la concentrazione di mercati sparsi o paralizzati dopo i duri effetti economici delle guerre napoleoniche. Questa unità economica, che procedeva con l’unità politica, fu il fattore principale del processo di industrializzazione della Germania. La Prussia divenne una nuova potenza industriale con capitale a Berlino, il cui obiettivo era difendere il mercato per la sua produzione. L’unico ostacolo che rimaneva era l’Impero francese, interessato ad ostacolare questa unità che minacciava l’egemonia francese in Europa.
L’imperialismo francese
Napoleone III salì al potere con un colpo di Stato dopo la sconfitta della Rivoluzione del 1848 e governò per i due decenni successivi, che furono un eccezionale boom economico per il capitalismo in Europa e in America. Le recessioni economiche furono poche (1859 e 1864) e la redditività raggiunse un picco negli anni Cinquanta del XIX secolo (fino all’11%), per poi diminuire del 4% negli anni Sessanta.
La Francia si trasformò da un’economia agricola arretrata in un’economia industriale in rapida crescita. Vengono avviati una serie di lavori pubblici e progetti infrastrutturali volti a modernizzare le città francesi. A metà del XIX secolo Parigi divenne un centro finanziario internazionale, secondo solo a Londra. Aveva una forte banca nazionale e numerose e aggressive banche private che finanziavano progetti in tutta Europa e nell’impero francese in espansione. La Banque de France, fondata nel 1796, emerse come una potente banca centrale, il governo francese coordinò diverse istituzioni finanziarie per finanziare grandi progetti, come il Crédit Mobilier, che divenne un’agenzia di finanziamento potente e dinamica per i principali progetti in Francia, tra cui una linea transatlantica a vapore, l’illuminazione a gas delle strade, un giornale e la metropolitana di Parigi. La Francia incrementò di otto volte le sue linee ferroviarie e raddoppiò la produzione di minerale di ferro. La popolazione aumentò del 10% e molto di più nelle città che divennero centri urbani della nuova classe industriale: il proletariato.
La classe operaia francese
La classe operaia francese nel 1870 era concentrata nelle grandi fabbriche e in alcune regioni, ma la piccola industria e l’artigianato prevalevano numericamente e socialmente; sebbene la Francia rimanesse un Paese prevalentemente rurale, tuttavia esistevano già grandi imperi industriali: la concentrazione era forte nelle grandi imprese metallurgiche, siderurgiche, tessili e chimiche. La fabbrica Schneider impiegava 10.000 lavoratori nell’industria metallurgica di Creusot; Wendel ne impiegava circa 10.000 nelle sue acciaierie in Lorena. Le miniere di Anzin impiegavano più di 10.000 minatori. Gli stabilimenti navali di Parigi impiegavano più di 70.000 lavoratori, la maggior parte dei quali provenienti dalla provincia, in un flusso migratorio di enormi proporzioni, frutto del processo di concentrazione fondiaria degli anni precedenti. Nel 1866, ufficialmente c’erano 4.715.084 persone impiegate in fabbriche e industrie, ma solo 1,5 milioni di lavoratori erano impiegati in aziende con più di dieci persone. La concentrazione industriale era stata rapida durante il regime bonapartista, ma limitata a pochi rami industriali e regioni geografiche (Parigi, Nord, Lorena, Basse-Seine e Lione).
L’esito della guerra franco-prussiana fu la causa scatenante della Comune.
Napoleone III dichiara guerra al Regno di Prussia il 15 giugno 1870, un’avventura che metterà fine alla monarchia; il 2 settembre viene sconfitto e fatto prigioniero con 100.000 soldati a Sedan, viene rovesciato e il 4 settembre viene proclamata la Repubblica francese con un governo reazionario di Difesa nazionale guidato da THiers, mentre Parigi viene assediata per 4 mesi dalle truppe prussiane; nel frattempo il cancelliere Bismarck ne approfitta e il 18 gennaio 1871 proclama la creazione dell’Impero tedesco con a capo Guglielmo I. Il 28 gennaio Thiers decide di consegnare Parigi, i prussiani concedono una tregua per indire le elezioni di un’Assemblea Nazionale francese che ratifichi le onerose condizioni dei tedeschi e il governo eletto da Thiers, dominato da monarchici e repubblicani moderati, si ritira a Versailles, Nelle prime ore del 18 marzo, la classe operaia scende in piazza contro il provvedimento, Thiers fugge a Versailles e il 28 marzo 1871 viene ufficialmente proclamata la Comune.
Internazionalismo e guerra imperialista.
Parigi diventa la capitale del mondo: Gustave Coubert scrive ai suoi genitori che “Parigi ha rinunciato a essere la capitale della Francia”. La metropoli cosmopolita di quasi due milioni di abitanti, dove vivevano emigranti da tutto il mondo. La Comune concesse immediatamente la cittadinanza a tutti gli stranieri, incorporandoli nel governo della città. La loro integrazione fu giustificata pubblicamente: “considerando che la bandiera della Comune è quella della Repubblica Universale, ogni città ha il diritto di dare il titolo di cittadino agli stranieri che la servono (…)” secondo il Journal officiel del 31 marzo 1871. Come proclamò Elisée Reclus: “Il nostro grido di battaglia non è più “Viva la Repubblica”, ma “Viva la Repubblica Universale””. Si trattava di una rottura totale con la narrativa nazionalista e sciovinista francese e si rifletteva nella sostituzione della bandiera tricolore con la bandiera rossa. La stessa Gazzetta ufficiale del movimento rivoluzionario pubblicò il titolo migliore: “La bandiera della Comune è la Repubblica Universale”.
La lotta contro la guerra mostrò l’avanzamento del discorso internazionalista del proletariato europeo, di fronte alla politica sciovinista-imperialista di “unione nazionale” del regime bonapartista.
In aprile, nel pieno della Comune, 7.000 operai londinesi organizzarono una manifestazione in solidarietà con i comunardi parigini che arrivò fino ad Hyde Park, anche se i partecipanti marciavano con striscioni che recitavano: “Viva la Comune”, “Viva la Repubblica Universale”. Il 23 aprile fu pubblicato sul settimanale Reynold un comunicato che i manifestanti inviarono ai comunardi: “Salutiamo la vostra proclamazione della Comune come autogoverno locale […]. Approviamo pienamente il vostro progetto di liquidare la pesante indennità di guerra vendendo i palazzi e appropriandosi delle terre della Corona per scopi nazionali; possiamo solo deplorare che i nostri concittadini non siano ancora sufficientemente istruiti per imitare il vostro nobile esempio […]. Noi, il popolo di Londra, crediamo che voi stiate combattendo per la libertà del mondo e per la rigenerazione dell’umanità, e vi esprimiamo la nostra profonda ammirazione […] e vi porgiamo la mano onesta e intransigente dell’amicizia e del cameratismo”.
Già il Primo Manifesto del 23 luglio del Consiglio Generale dell’Internazionale, indirizzato “ai membri dell’Associazione Internazionale degli Operai in Europa e negli Stati Uniti”, accoglieva con favore i pronunciamenti degli operai francesi e sottolineava in particolare che “la voce degli operai trovava eco in Germania”. Un’immensa assemblea operaia tenutasi a Berwick ha respinto con indignazione l’idea dell’antagonismo nazionale contro la Francia, e a Chemnitz i delegati di 50.000 lavoratori sassoni hanno adottato la stessa risoluzione…”.
La classe operaia francese aveva votato contro il referendum di maggio che aveva dato all’”imperatore” la maggioranza per iniziare la sua avventura bellica. Essendo stata dichiarata la guerra, la Federazione operaia parigina lanciò un appello all’inizio di agosto: “Aux ouvriers du monde”, dichiarando che siamo “in presenza di una ‘guerra fratricida’” per “soddisfare l’ambizione del nostro nemico comune”.
La sera del 4 settembre, i delegati della Camera federale delle società operaie e i delegati delle sezioni dell’Internazionale si riunirono alla Corderie du Temple per redigere un “Appello al popolo tedesco”, pubblicato il giorno successivo.
appello al popolo tedesco, pubblicato il giorno successivo in tedesco e francese:
“La Francia repubblicana vi invita, in nome della giustizia, a ritirare i vostri eserciti; altrimenti sarà necessario per noi combattere fino all’ultimo uomo e versare fiumi di sangue vostro e nostro. Vi ripetiamo ciò che abbiamo dichiarato all’Europa alleata nel 1793: il popolo francese non farà pace con un nemico che occupa il suo territorio. Riattraversare il Reno. Dalle due sponde del fiume conteso, Germania e Francia, tendiamoci la mano. Dimentichiamo i crimini militari che i despoti ci hanno fatto commettere l’uno contro l’altro… Con la nostra alleanza, fondiamo gli Stati Uniti d’Europa.
Il 5 settembre il Comitato Centrale del Partito della Democrazia Socialista, noto con il nome di Comitato di Brunswick, pubblica un manifesto contenente frasi come queste:
“È dovere del popolo tedesco assicurare una pace onorevole con la Repubblica francese… Spetta agli operai tedeschi dichiarare che, nell’interesse della Francia e della Germania, sono decisi a non tollerare un’offesa fatta al popolo francese…. Giurano che non tollereranno un’offesa fatta al popolo francese….
Giuriamo di lottare lealmente e di lavorare con i nostri fratelli lavoratori di tutti i paesi per la causa comune del proletariato”.
Complicità imperiale nella repressione
Il pagamento di 5 miliardi di franchi era la condizione imposta da Bismarck per firmare la pace e ritirare le forze di occupazione sul territorio francese e l’interesse del 5% da aggiungere a questa somma in caso di ritardo nel pagamento. Bismarck era convinto che per avere una Francia docile e disposta a rispettare le condizioni imposte dalla Prussia vittoriosa, fosse necessario schiacciare il popolo, a partire da quello di Parigi, ma non voleva utilizzare l’esausto esercito prussiano per farlo. Voleva che Thiers facesse il lavoro sporco.
Una delegazione del governo di Thiers si recò a Francoforte all’inizio del maggio 1871 per ottenere da Bismarck i mezzi per schiacciare la Comune. Bismarck rispose che era necessario effettuare al più presto il pagamento delle prime rate del debito e che, per creare le condizioni per la vittoria, acconsentiva a permettere a Thiers di utilizzare la parte dell’esercito francese fino ad allora tenuta prigioniera dai prussiani per attaccare Parigi. Bismarck accettò anche di permettere ad alcune truppe prussiane di intervenire a sostegno senza entrare a Parigi. Infine, al termine dei negoziati, Bismarck accettò di attendere la fine della Comune di Parigi per ricevere il primo pagamento del debito. Fu questo piano, concepito congiuntamente dall’impero francese e da quello tedesco, a sconfiggere definitivamente la Comune di Parigi.
A proposito di questo patto tra Thiers e Bismarck per lo smaltimento di 170.000 soldati francesi imprigionati in Germania, Marx scrive ne La guerra civile in Francia: “Il fatto inaudito che nella più tremenda guerra dei tempi moderni l’esercito vincitore e quello sconfitto si confraterniscono nel comune massacro del proletariato (…). La dominazione di classe non può più mascherarsi sotto un’uniforme nazionale; tutti i governi nazionali sono uno contro il proletariato.
Risonanza globale
I primi anni Settanta dell’Ottocento furono segnati da profonde trasformazioni nei mezzi di comunicazione: il flusso di informazioni fu facilitato dallo sviluppo dei piroscafi e ancor più dalla creazione, nel 1866, del cavo atlantico, che permise di passare da un continente all’altro in poche ore anziché in diversi giorni. Le principali agenzie di stampa, come Reuters, Wolff e Havas, raccoglievano, scambiavano e diffondevano notizie. Un esame dei telegrammi della Reuters mostra che di tutte le informazioni che circolano sulla rete durante la settimana del 18 marzo 1871, la stragrande maggioranza si riferisce all’insurrezione parigina come a un “evento” di portata globale. La Comune fu oggetto di un flusso incessante di parole e fu seguita dai giornali in Europa, in tutta l’area di influenza britannica (Canada, India, Australia) e in tutta l’area atlantica (Brasile, Messico, Stati Uniti). L’attenzione fu molto sostenuta in Messico, ad esempio, dove le sorti parigine furono seguite quotidianamente dalla stampa, o negli Stati Uniti, dove, secondo lo storico Samuel Bernstein, “nessun tema economico o politico […] ad eccezione della corruzione del governo, ricevette più titoli sulla stampa americana negli anni Settanta del XIX secolo della Comune di Parigi”.
Engels, tre anni dopo, in una lettera a Sorge del 12 settembre 1874, annotò: “Grazie alla Comune, l’Internazionale è diventata una potenza morale in Europa.
La borghesia ha capito che il comunismo non era il prodotto febbrile di oscuri cospiratori o l’elucubrazione razionalista di costruttori di utopie, ma un pericolo reale che poteva improvvisamente abbattersi sulla città simbolo di uno degli imperi mondiali. La Comune ospitava lo spettro del comunismo, la presenza dell’Internazionale era per i suoi detrattori la prova evidente della sua strategia finale, la presa del potere. La parola “comune” condivide la stessa radice di “communisme”, il che favorisce lo slittamento del significato. Il termine “comunismo”, pur facendo parte del vocabolario politico delle avanguardie fin dagli anni Trenta del XIX secolo, non si diffuse su scala internazionale fino agli eventi della Comune.
Già nell’aprile del 1871 Marx considerava la Comune come un “importante punto di partenza nella storia mondiale”. Questo orizzonte appare ancora più evidente da una lettura marxista della Comune come momento di transizione tra le rivoluzioni “romantiche” del XIX secolo e le rivoluzioni “moderne” che sarebbero sorte nel mondo dopo la Rivoluzione russa del 1917.