Umberto Vincenti

Il caso Salis è un ottimo esempio della babele confusionale da cui siamo avviluppati, i dirigenti politici e anche noi. Prima, un passaggio rapido, in punto di diritto, eccolo. È difficile argomentare in favore della scelta ungherese, presentare in aula Salis incatenata mani e piedi perché l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE è inequivoco: «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Ovviamente questo è un problema innanzi tutto per l’UE che, tuttavia, fa finta di nulla. Ma proviamo ad allargare il cono di indagine e scovare una contraddizione insanabile che, poi, emerge da una semplice domanda: che ci fa l’Ungheria nell’UE? Allarghiamo ancora: che ci dovrebbe fare l’Ucraina nell’UE? E ora torniamo indietro con la madre di questi, e altri, enigmi: che cos’è l’Europa?

 Lasciamo stare la mitologia greca nella quale Europa appare una giovanetta rapita da Zeus che se n’era invaghito. Ma già nel V secolo a.C. lo storico greco Erodoto affermava di non conoscere i confini dell’Europa come territorio o continente: l’idea è che siano inconoscibili, tanto è vero che l’oratore Isocrate, contemporaneo di Erodoto, pensava che l’Europa si identificasse con la Grecia. Lasciamo stare anche la storia antica. Ma la vaghezza dei confini dell’Europa è un’eredità che abbiamo ricevuto integra e che conserviamo integra, come dimostra il progressivo allargamento, tuttora in corso, di quella perfetta realtà artificiale che è l’UE.

 Se diamo un’occhiata veloce a una carta geografica, vediamo immediatamente che l’Europa non è nella situazione spaziale in cui si trova, per esempio, l’Australia: quella che chiamiamo Europa è una propaggine peninsulare di un enorme blocco terragno, che si snoda da Oriente verso Occidente, dalla Russia, dalla Cina, dall’Indocina fino alla Spagna e al Portogallo. A rigore, il continente comprende tutto questo e ha un nome: Eurasia. Ma se la geografia non identifica l’Europa, quale coordinata potrebbe riuscirvi? Non resta che la coordinata temporale: vale a dire la storia di un’eventuale unità culturale. Una storia che, però, non può circoscriversi all’antichità, al medioevo, alla modernità, ma deve giungere alla contemporaneità: più di ogni altra, conta la storia al presente. Allora una certa unità culturale si riconosce, ed esiste, tra i paesi europei che, da almeno due secoli, hanno adottato, con le tragiche sospensioni tra le due guerre mondiali, il modello dello stato costituzionale e di diritto. Questa è la storia recente e non è affatto analoga in tutti i ventotto paesi dell’UE: diversa è tra i paesi dell’Europa occidentale, molto diversa quella dei paesi dell’Europa orientale. Una diversità che si conferma se si va indietro nel tempo: è azzardato concludere che ci sono permanenze culturali di lungo corso che la bacchetta magica dell’UE mai potrà annullare? E poi è proprio giusto pensare di superarle?

 Tutto ciò ci aiuta a capire perché l’altro giorno la Corte d’Appello di Milano abbia respinto la richiesta di estradizione presentata dall’Ungheria in confronto di Gabriele Marchesi, accusato di aver aggredito, insieme con Salis, tre neonazisti il 10 febbraio 2023 a Budapest; e Marchesi è stato anche scarcerato. Un capolavoro di comparazione giuridica concreta ha così preso corpo lo stesso giorno in Italia e in Ungheria. Ovviamente ognuno potrà pensarla a modo suo; e pure schierarsi dalla parte del sistema giudiziario ungherese. C’è un’oggettività, però, difficile da negare: l’Italia (e non solo) è in un altro pianeta rispetto all’Ungheria (e non solo). Pensare a un’unione, e a un’unione sempre più stretta, tra tutti è, a dir poco, azzardatissimo. Come lo è l’introdurre la nozione di Stati Uniti riguardo all’Europa: si capisce che il modello qui sono gli USA, ma si percepiscono o no le differenze che corrono? Gli USA hanno un territorio e una storia (seppur recente) unitaria e unificante, anche in grazia dell’essere – loro – la più grande potenza del mondo, per quanto calante. Stati Uniti d’Europa? O è un parlare a vanvera per chissà quali scopi; oppure è una nobile utopia che resta un’utopia.

 L’Ucraina, per parte sua, non ha alcuna storia in comune con i paesi dell’Europa occidentale: né culturalmente né istituzionalmente. La sua storia dimostra che essa è sempre stata, se non tutta, quasi, strettamente legata alla Russia. Il che non significa affatto che la Russia se la debba annettere: l’Ucraina era, ed è, uno stato sovrano. Ma significa che, includerla nell’UE, sarebbe l’ennesimo azzardo, probabilmente il più grave. Se la politica di corto respiro di questa UE di opportunisti deciderà di farlo, amen. Ma le differenze emergeranno presto; com’è accaduto per l’Ungheria di Orban.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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