Il lavoro forzato in agricoltura genera profitti pari a 5 miliardi di dollari l’anno © Todd Sanchez/iStockPhoto
Secondo il nuovo report dell’ILO, ogni anno il lavoro forzato genera 236 miliardi di dollari: 10mila dollari per ogni vittima
I profitti del lavoro forzato sono arrivati a 236 miliardi di dollari all’anno: è il 37% in più di dieci anni fa. Il nuovo report dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) mostra un aumento sia del numero di persone costrette al lavoro, sia dei guadagni derivanti dal loro sfruttamento. Per ogni vittima, sfruttatori e trafficanti realizzano circa 10mila dollari l’anno. Anche questa cifra è in aumento: nel 2014, al netto dell’inflazione, ammontava a 8.269 dollari.
I profitti realizzati con il lavoro forzato nel mondo
Dal 2016 il numero di persone sottoposte a lavoro forzato è aumentato di 2,7 milioni di unità, arrivando a un totale di 27,6 milioni di persone al giorno nel 2021. In altre parole, ogni mille persone nel mondo, 3,5 sono intrappolate in questa condizione. La forma di coercizione più comune è quella in cui il datore di lavoro trattiene i salari (36%), ma è frequente anche la minaccia di licenziamento (21%).
Gli ultimi dieci anni hanno visto anche un aumento dei profitti generati attraverso lo sfruttamento: 64 miliardi di più rispetto al 2014. Per un totale di 236 miliardi all’anno. Si tratta di cifre stimate, visto che derivano da attività illecite e quindi nascoste. Primeggiano nella classifica Europa e Asia centrale con 84 miliardi di dollari. Seguono la regione Asia-Pacifico con 62 miliardi di dollari, le Americhe con 52 miliardi, e infine l’Africa e gli Stati arabi in cui i profitti realizzati dal lavoro forzato ammontano rispettivamente a 20 e 18 miliardi di dollari. Se guardiamo a quanto genera lo sfruttamento di ogni singola vittima, Europa e Asia centrale restano al primo posto; subito dopo ci sono Stati arabi, Americhe, Africa, Asia e Pacifico.
Il 73% dei profitti deriva dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali, nonostante le sue vittime siano il 27% del totale. Ognuna di loro ogni anno consente un arricchimento di 27.252 dollari, a fronte dei 3.687 generati dalle persone sottoposte ad altre forme di sfruttamento. Al secondo posto c’è l’industria con 35 miliardi di profitti annui. Seguono i servizi, con 20,8 miliardi; l’agricoltura, con 5 miliardi; il lavoro domestico con 2,6 miliardi.
Il lavoro forzato intrappola in una spirale di subalternità
Oltre alle cifre riportate, ci sono quelle derivanti delle spese di reclutamento illegale. Cioè quei soldi che le vittime sono costrette a versare a datori di lavoro, intermediari che si occupano dell’assunzione o dei viaggi, funzionari corrotti. Per i lavoratori migranti, l’unico segmento per cui esistono dei dati, queste spese di reclutamento si aggirano attorno ai 5,6 miliardi di dollari. Che si aggiungono ad altri 31,4 miliardi guadagnati sottopagando i lavoratori
I profitti generati dal lavoro forzato arricchiscono gli sfruttatori e costringono le vittime a restare in condizioni di subalternità. Lo denuncia il direttore generale dell’ILO Gilbert F. Houngbo, che commenta così lo studio: «Il lavoro forzato perpetua cicli di povertà e sfruttamento e colpisce il cuore della dignità umana. Ora sappiamo che la situazione è solo peggiorata. La comunità internazionale deve urgentemente unirsi e agire per porre fine a questa ingiustizia».
Sfruttatori, trafficanti e criminali derubano ogni giorno chi lavora in condizioni di coercizione. Sono soldi sottratti alle rimesse dei lavoratori migranti; soldi che, attraverso il prelievo fiscale, potrebbero migliorare le condizioni di vita dei Paesi in cui si perpetua lo sfruttamento. E che, invece, finiscono per rafforzare l’economia criminale, sostengono il dilagare della corruzione e minano lo stato di diritto.
Per rispondere al lavoro forzato non bastano le leggi, serve un approccio globale
Il rapporto sottolinea che le istituzioni dovrebbero affrontare questa situazione attraverso misure che richiamino gli sfruttatori alle proprie responsabilità. Gli interventi più urgenti? Modificare il quadro giuridico, formare i funzionari deputati al controllo, estendere le ispezioni dei settori ad alto rischio.
Per trovare una soluzione, però, non basta applicare le norme. Serve un approccio globale che tenga conto delle cause e guardi alla tutela delle vittime. Punti di partenza possono essere il protocollo del 2014 alla Convenzione sul lavoro forzato del 1930 e la raccomandazione del 2014 sul lavoro forzato, che delineano un quadro strategico per un’azione globale.