6. L’antieuropeismo di Ventotene

(leggi precedente 5.)

Non è un’iperbole affermare che nel decidere le linee di politica economica, chi oggi abbia meno voce in capitolo sia proprio il soggetto deputato, ossia il governo nazionale. A dettare i parametri sono infatti le ferree regole dell’Unione Europea, nelle quali l’economia italiana si è ritrovata ingabbiata. Molti economisti sostengono in proposito che siamo stati fortunati e che se l’Italia non fosse entrata nella moneta unica sarebbe finita in bancarotta; altri, non ultimo il governatore della Banca d’Italia dell’epoca, negano questa tesi o comunque avanzano dei dubbi, se non sull’adesione all’euro, almeno sulle tempistiche.

Difficile dirimere tale questione, mancando se non altro la controprova. Forse, parlando di quegli anni, non hanno giovato alla salute della nostra economia le privatizzazioni generalizzate,[1] nonostante molti di quegli attori siano poi assurti al rango di salvatori della patria,[2] e certamente non hanno portato beneficio le spericolate operazioni sui derivati del Tesoro, che hanno gravato le finanze statali per decine di miliardi di euro, e i cui termini rimangono a tutt’oggi ignoti al grande pubblico, poiché il Tesoro si è ben guardato dal rivelarli, a dispetto della « sezione chiamata “Trasparenza”, ben visibile in alto nel menu principale»[3] del sito web. Ma questo è un altro discorso.

Tornando alla moneta unica, prendiamo per buona la tesi, nella quale l’intera sinistra istituzionale tuttora si riconosce, secondo la quale se non fossimo entrati nell’euro saremmo finiti tutti in mutande. In effetti, possono pure darsi delle congiunture economiche che impoveriscono l’intera popolazione.

Tuttavia, qualche dubbio è lecito. Un interessante rapporto di OXFAM del 2019,[4] dall’eloquente titolo di “DISUGUITALIA”, ci dice che nell’ultimo ventennio la quota di ricchezza detenuta dal 10% più ricco è aumentata del 7,6%, mentre quella detenuta dalla metà della popolazione più povera è scesa del 36,6%. In sostanza, in questi anni di moneta comune i benefici sono stati appannaggio solo di una piccola parte della popolazione; la maggioranza ci ha rimesso. La congiuntura non è stata negativa per tutti. Allora il dubbio che non sia colpa imputabile alla crisi, bensì al sistema che non funziona, diventa più che lecito.

Secondo i dati OCSE del 2022, tra il 1990 e il 2020 l’Italia è l’unico paese europeo ad avere assistito a una contrazione dei salari, mentre nello stesso periodo in Germania e in Francia l’aumento è stato rispettivamente del 33 e del 31 per cento. In Svezia addirittura del 63 e in Irlanda dell’85.[5]

Negli ultimi venti anni, invece, i prezzi sono aumentati, secondo l’Istat, di circa il 33 per cento. Ne è derivato un progressivo impoverimento di operai e lavoratori dipendenti. Si parla di scomparsa del ceto medio e di working poor.[6] Secondo il rapporto OCSE del 2019, il 73 per cento delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese, contro una media europea del 43.

L’ultimo aggiornamento di quelle che sono le tendenze in atto viene dal report dell’ISTAT, diminuisce il potere di acquisto delle famiglie, crescono profitti e investimenti delle imprese.[7]

Non c’è quindi da stupirsi se l’entusiasmo che accompagnò l’adozione della moneta unica, a distanza di un ventennio sia, per usare un eufemismo, un po’ scemato tra gli strati meno abbienti. La stragrande maggioranza di questi ultimi potrà pure ignorare le statistiche, ma si sarà fatta un’idea abbastanza chiara di come siano andate le sue entrate negli ultimi anni, cosa può permettersi oggi e cosa poteva permettersi allora.

Molti ricorderanno l’ottimismo debordante di diversi esponenti del governo di centro-sinistra nel 1999 circa i vantaggi che l’adozione all’euro ci avrebbe portato. Logico attendersi, trattandosi, per l’appunto, dei rappresentanti dei ceti meno abbienti, che questi ultimi ne sarebbero stati i maggiori beneficiari. Ma così non è stato. Non tutti siamo diventati più ricchi. Più ricchi lo sono diventati quelli che già lo erano; a pagare invece il prezzo di questa adesione sono stati i lavoratori dipendenti e le fasce meno abbienti in generale. Non risulta che quelle grandi aziende, che poi hanno fatto a gara nello spostare le loro sedi e il loro domicilio fiscale in Lussemburgo, in Olanda o in Gran Bretagna, siano state particolarmente penalizzate.

Nell’agosto del 2023 il governo ha varato la cosiddetta tassa sugli extraprofitti delle banche. Nel primo semestre dell’anno le banche italiane hanno registrato profitti per oltre tredici miliardi di euro, 40 per cento in più dell’anno precedente, che aveva già fatto registrare un più 18,8 per cento[8] rispetto all’anno prima. Utili derivanti non da geniali trovate imprenditoriali, ma da un mero fattore tecnico: l’aumento dei tassi deciso dalla BCE. Quanto mai tempestivo è stato l’intervento della stessa BCE, che ha censurato il provvedimento del governo come rischioso e inopportuno. Facile indovinare come sia andata a finire.[9] Eppure, altri paesi europei, a cominciare dalla Spagna, hanno introdotto una tassa analoga. La Svezia[10], invece, ha adottato una tassa per le banche più esposte finalizzata a costituire un fondo da utilizzare in caso di crisi del sistema bancario, che in via di principio dovrebbe essere una norma adottabile ovunque, ma che viene generalmente reputata un’eresia. Perché il sistema bancario funziona così: gli utili sono sacrosanti; i default, al contrario, si coprono coi soldi pubblici.[11]

Analoga sollecitudine non si è mai vista per questioni attinenti al lavoro. Per quanto riguarda il salario minimo, lo ricordiamo per inciso, dall’Unione Europea non è arrivato alcun regolamento, solo una direttiva. Ognuno poi fa quando e come vuole. Né a Bruxelles sembrano particolarmente preoccupati per le crescenti diseguaglianze sociali in ambito europeo. Il buon Prodi, presidente della Commissione Europea per cinque anni e per quattro e mezzo presidente del Consiglio, se ne accorge nel 2023 che è “una vergogna” la mancanza di un salario minimo.[12]

Ma non solo le questioni concernenti il lavoro e lo stato sociale in generale a rivelare le fragilità dell’Unione Europea, anche per quanto riguarda le relazioni degli Stati siamo ben lontani da quelle che erano le premesse.

All’art. 3 del Trattato di Lisbona è scritto che l’Unione Europea «promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri». [13]

Ma quanto è reale questa solidarietà? È solidale il dumping fiscale, che sottrae ogni anno decine di miliardi di entrate ad alcuni paesi a beneficio di altri?[14] È solidale l’approccio dei paesi dell’Est sul tema dell’immigrazione?

«Prendete il caso dell’Italia. Fra gli otto Paesi più ricchi del mondo è quello che ha la quota più alta di patrimoni privati in proporzione al reddito del Paese, intorno al 700%. Ma è anche quello che ha la quota più bassa di patrimonio pubblico, al punto che non potrebbe ripagare il suo debito se vendesse i suoi ospedali o le sue scuole. […] anche Germania e Francia avevano debiti fuori proporzione nel 1945, ma nel 1955 se ne erano liberati con il perdono dei creditori e con l’inflazione. Solo così sono potute tornare a investire nel futuro. Ora questi stessi Paesi esigono che l’Italia paghi tutti i suoi debiti per un tempo indefinito».[15]

Tutti ricorderemo l’inflessibilità dell’Unione Europea nei confronti del popolo greco, con tutti i costi sociali che ne sono derivati.[16] Immaginiamo (perché la memoria storica non sempre ci soccorre) – giusto per avere un’idea di quanto essa sia stata dura, sproporzionata e contraria a ogni più elementare forma di solidarietà – che fosse avvenuta in concomitanza con l’invasione russa dell’Ucraina. Avremmo magari visto di mattina la Commissione Europea spingere la Grecia a dare in concessione i suoi aeroporti per racimolare un miliardo di euro, e di pomeriggio proporre un aumento del budget di 100 miliardi, metà dei quali da destinare a Kiev.[17]

Gli esempi potrebbero essere tanti, ma quanto detto è sufficiente per mettere a fuoco la realtà odierna: le questioni riguardanti il lavoro e le diseguaglianze sociali, nonché la solidarietà tra gli Stati, hanno un ruolo assolutamente marginale all’interno dell’UE, che appare fondata solo sul precario equilibrio di una somma di egoismi. Né, d’altronde, ci sarebbe questa ostilità diffusa nei suoi confronti tra le classi sociali più basse se così non fosse. Si parla spesso di crisi di fiducia nelle istituzioni europee. All’occasione ci si potrebbe pure chiedere se per caso essa non sia determinata dagli scarsi benefici ricevuti. «L’europeismo oltranzistico», scrive Canfora, è «divenuto la bandiera dei ceti benestanti: in un momento in cui, dopo decenni di esperienza, la percezione che una siffatta costruzione sovranazionale leda i ceti economicamente e socialmente più deboli ha un suo immediato riscontro nella realtà e nelle difficoltà quotidiane».[18]

Ora, il primo dovere di un partito di sinistra sarebbe quello di prendere atto di questa realtà e del «modo errato in cui si è venuta formando la costruzione europea palesemente incardinata sul predominio del capitale finanziario e sull’esautoramento degli organi elettivi (Parlamento europeo incluso) ».[19]

Quando, invece, sentiamo i difensori dell’Unione Europea (e tra questi difensori, il PD è ovviamente il più convinto) richiamarsi ai suoi ideali fondanti, primo fra tutti al Manifesto di Ventotene, viene da domandarsi quanti tra loro tale Manifesto abbiano letto, o perlomeno quanti l’abbiano letto in tempi recenti, o comunque quanti l’abbiano letto e capito. Perché se c’è una cosa con la quale l’europeismo di Spinelli è agli antipodi, se c’è una cosa che è l’esatto contrario di quanto preconizzava, questa è l’Unione Europea attuale.

Il Manifesto metteva a fondamento dell’unità europea la lotta «contro la diseguaglianza e i privilegi sociali». «Non si possono lasciare ai privati», scriveva Spinelli tra l’altro, «le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello Stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti)».[20]

Sono due europeismi che vanno dunque tenuti ben distinti, e non mischiati a convenienza. Né si può dire che essere europeisti significa impegnarsi per migliorare quelle storture oggi esistenti nell’Unione Europea, perché le storture sono ormai diventate strutturali. Oggi le priorità di Bruxelles non riguardano le politiche sociali e del lavoro, bensì un ulteriore allargamento dell’Unione, e non si capisce quale idea di “coesione economica, sociale e territoriale” possa esserci alla base dell’inclusione di paesi come Ucraina, Turchia e Georgia. Sempre che un’idea vi sia e che non si tratti solo di fungere da ruota di scorta della NATO.

Ecco perché essere di sinistra significa essere europeisti secondo il Manifesto di Ventotene, e, di conseguenza, essere europeisti secondo il Manifesto di Ventotene significa essere antieuropeisti rispetto all’europeismo di von der Layen.

(leggi successivo 7.)


[1] http://www.proteo.rdbcub.it/stampa.php3?id_article=136 (consultato l’ultima volta il 5/10/2023)

[2] In questo articolo sintesi e nomi: https://www.articolo21.org/2018/08/jaccuse-con-genova-e-crollato-lo-stato-privatizzatore/ (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[3] Luca Piana, La voragine.

[4] https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2020/01/Disuguitalia_2020_final.pdf (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[5] https://www.orizzontipolitici.it/una-crisi-lunga-30-anni-i-salari-in-italia/ (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[6] «Negli Stati Uniti un americano su sette rientra nella categoria dei poveri che hanno un lavoro e a volte anche due, mentre aumentano i ricchi che non lavorano. Quasi l’80% degli americani ora vive di stipendio in stipendio… Il 40% ha affermato che non sarebbe in grado di pagare le bollette se dovesse affrontare un’emergenza di 400 dollari». (R. Reich, op. cit.)

[7] https://www.istat.it/it/files//2023/10/Conti-economici-istituzionali-2022.pdf (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[8] https://www.ilpost.it/2023/08/09/profitti-banche-tassa-extraprofitti/ (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[9] https://www.ilpost.it/2023/10/05/dl-asset-extraprofitti-banche/#:~:text=La%20tassa%20%C3%A8%20sempre%20pari,importo%20massimo%20della%20tassa%20scender%C3%A0. (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[10] https://finanza.lastampa.it/News/2023/08/10/tassa-su-extraprofitti-bancari-lo-scenario-europeo/MzFfMjAyMy0wOC0xMF9UTEI (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[11] https://lespresso.it/c/attualita/2017/1/4/banche-in-paradiso-contribuenti-allinferno-salvate-dallo-stato-eludono-il-fisco/9690 (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[12] Nel Regno Unito esiste dal 1909 e in Francia dal 1950. https://en.wikipedia.org/wiki/Minimum_wage (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[13] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12016ME/TXT&from=IT (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[14] Chi costituirebbe una società con qualcuno che ti ruba soldi? Eppure, «quando il Lussemburgo offre accordi fiscali su misura alle società multinazionali […] quando la Svizzera tiene nascosta la ricchezza delle élite corrotte nelle sue casse, tutti rubano le entrate delle nazioni straniere. E vincono […] mentre il resto di noi perde.» Gabriel Zucman, La ricchezza nascosta delle nazioni. Indagine sui paradisi fiscali.

[15] Thomas Piketty, citato in: “Economisti contro il mondo diseguale” di Federico Fubini, Repubblica del 4/09/2015.

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/04/09/economisti-contro-il-mondo-diseguale35.html (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[16] https://www.agi.it/economia/soldi_salvataggio_grecia_banche-4064035/news/2018-06-23/ (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[17] https://fr.euronews.com/my-europe/2023/09/04/debut-de-la-bataille-politique-pour-une-rallonge-du-budget-de-lue (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

[18] Luciano Canfora, Sovranità limitata.

[19] Ibidem.

[20] https://www.istitutospinelli.it/il-manifesto-di-ventotene-in-tutte-le-lingue-dellue/ (consultato l’ultima volta il 3/10/2023).

Di Giovanni

"Trascorsi nell'antico Pci, ho lavorato in diverse regioni italiane e all'estero (Francia, Cina, Corea), scrittore per hobby e per hobby, da qualche tempo, ho aperto anche un blog ( quartopensiero ) nel quale mi occupo, in maniera più o meno ironica, dei temi che mi stanno a cuore: laicità, istruzione, giustizia sociale e cose di questo tipo."

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