(leggi precedente 4.)

5. Destra radicale, destra moderata e destra pazza.

Le idee di sinistra non sono morte e non moriranno fin quando esisteranno disparità e ingiustizie. A essere morta (e sepolta) è la rappresentanza delle idee di sinistra. Da qui l’equivoco. Siccome non si sono più viste idee di sinistra rappresentate in parlamento, se ne è tratta la conclusione che non esistessero più. Quelle di destra invece, come adesso vediamo, sono ampiamente rappresentate in tutte le loro varie sfumature.

“Harvey dimostra come, in un’epoca comunemente descritta come post-politica, la lotta di classe non si sia interrotta; piuttosto, è stata combattuta da un lato soltanto: quello dei ricchi”[1].

La sintesi è quanto mai efficace. Possiamo solo aggiungere che essa viene combattuta con grande dispendio di mezzi e senza esclusione di colpi.[2]

«Nel 1970 gli americani più ricchi versavano al fisco, tenendo conto di tutte le tasse, oltre il 50% del proprio reddito, cioè il doppio di quanto versavano i lavoratori. Nel 2018, dopo la riforma fiscale di Trump, per la prima volta negli ultimi cento anni, i miliardari hanno pagato meno tasse di metalmeccanici, insegnanti e pensionati».[3] «La storia dell’America è semplicemente questa: i ricchi stanno diventando più ricchi, i più ricchi tra i ricchi stanno diventando ancora più ricchi, i poveri stanno diventando più poveri e più numerosi, e la classe media si sta svuotando».[4]

La cosiddetta fine delle ideologie si rivela allora per quello che realmente è: un escamotage per camuffare la realtà. Destra e sinistra non sono anacronistiche, ma più attuali che mai. Sostenere il contrario è solo il modo più sbrigativo per delegittimare le idee di sinistra. La guerra di classe delle grandi oligarchie può così essere combattuta, come osserva Paul Krugman, in maniera silenziosa. Si fa passare la tesi che le uniche idee accettabili debbano svilupparsi entro il perimetro del neoliberismo. Quando udite qualcuno affermare che destra e sinistra non esistono più, dunque, se non è detto che abbiate di fronte qualcuno di destra, di sicuro state sentendo un’affermazione di destra.

Veniamo all’Italia, dove si sta realizzando lo stesso identico fenomeno: è solo una parte quella che trae beneficio da un paio di decenni delle politiche economiche adottate. Siccome in tale periodo si sono alternati al potere tutti i partiti presenti in parlamento, non pare azzardato dedurre che tutti i partiti abbiano seguito politiche di destra.

Innanzi tutto, i partiti della destra radicale, oggi tornata prepotentemente al governo e probabilmente destinata a rimanerci a lungo, salvo imprevedibili regolamenti di conti interni. Diciamo imprevedibili dal momento che la destra presenta una differenza che potremmo definire ontologica rispetto alla sinistra: per il potere si compatta, mettendo in secondo piano divergenze e contrasti, laddove la sinistra per il potere si divide, o per meglio dire, si frantuma.

In secondo luogo, una destra più moderata, cioè il Partito Democratico (e il cosiddetto centro). «Un PD forte è nell’interesse dell’America perché isola gli elementi di estrema sinistra che hanno creato problemi ai governi di centrosinistra» è scritto in un cablo confidenziale dell’ambasciata USA in Italia.[5] Siamo nel 2008, meno di un anno dopo la nascita del nuovo partito. Gli USA vedono con favore il profilarsi in Italia di un bipolarismo molto simile al loro: da una parte, un partito che lascia ai meno abbienti solo le briciole; dall’altro, un partito che ai meno abbienti non lascia nemmeno quelle.

Che abbiano brigato o meno per ottenere questo risultato, non ci interessa e poco cambia la sostanza del ragionamento. Muoviamo dall’ipotesi meno complottista, che cioè gli auspici americani si siano realizzati senza bisogno che da oltreoceano fosse necessario muovere un dito. Abbiamo fatto tutto da soli (d’altronde, il leader dell’epoca è uomo dalle riconosciute capacità, non solo politiche, ma anche cinematografiche, letterarie, giornalistiche, ecc.). Quel che conta è il risultato finale. Ci siamo allontanati dal modello delle democrazie nordiche fondate sul welfare state e su una maggiore redistribuzione del reddito, che per una sinistra moderna avrebbe dovuto costituire una sorta di faro, a beneficio di quello americano, che il welfare e la redistribuzione del reddito mantiene, sì, ma a parti invertite.[6]

A complicare il quadro è intervenuta poi la nascita di una terza forza. Sulla carta partito antisistema, nei fatti una sorta di Democrazia Cristiana 2.0, disponibile a governare con tutti. Una volta tornata all’opposizione, dopo le elezioni del 2022, ha provato a occupare lo spazio vuoto a sinistra, segnatamente sulla guerra in Ucraina e su varie tematiche sociali. Ma i banchi dell’opposizione, si sa, sono notoriamente affollati di Che Guevara e Winston Churchill; è una volta al governo che i Che Guevara e i Winston Churchill evaporano senza lasciare nemmeno l’ombra.[7] Capace, nell’arco di un decennio, di sostenere tutto e il contrario di tutto, di accusare entrambi gli schieramenti sopra citati dei peggiori misfatti e di governarci insieme in perfetta armonia e in perfetta continuità in politica estera, economia, istruzione, ecc., il M5S si è venuto a configurare come una terza destra. Una destra pazza, verrebbe da dire.

Quanto ai temi della legalità e dell’onestà, suoi leitmotiv, solo l’anomalia italiana, nella quale una banda di pregiudicati aveva occupato il potere, li ha resi presentabili come alternativa. In via di principio, onestà e legalità dovrebbero essere semplici prerequisiti della politica, questi, sì, né di destra né di sinistra.

Discorso a parte, invece, merita l’unico provvedimento, che è anche diventato la sua bandiera, cioè il reddito di cittadinanza. Non vera e propria giustizia sociale,[8] a voler essere pignoli, ma collocabile piuttosto in quella più ampia strategia dei bonus, che tra gli ultimi governi va riscuotendo un crescente successo, naturale corollario di politiche di destra.

Tra i primi a proporre un reddito minimo, o reddito di cittadinanza che dir si voglia, non a caso, troviamo esponenti di spicco del neoliberismo, come Milton Friedman e Friedrich Hayek. Il fatto è solo apparentemente sorprendente. In una società nella quale la ricchezza si va sempre più concentrando in pochissime mani, infatti, ci vogliono degli interventi che in qualche modo permettano di sopravvivere a chi non ha nulla. Di recente Elon Musk ha formulato il concetto in maniera più esplicita. L’intelligenza artificiale e l’automazione determineranno una costante diminuzione della manodopera, ha dichiarato, per cui si renderà necessario assicurare un reddito a coloro che rimarranno fuori dal mondo del lavoro.[9]

Queste iniziative si conciliano perfettamente con le posizioni liberiste, configurandosi come equivalenti moderni della filantropia ottocentesca. Hanno infatti la funzione di depotenziare quelle tensioni sociali che il diffondersi della povertà rende sempre più esplosive, sostenere lo sviluppo economico favorendo la domanda e, perché no?, contribuire alla buona coscienza di quelli che la fanno. Dunque, mance di 50, 70, 100 euro, bonus per elettrodomestici, bonus per weekend in hotel per chi vuole partire e bonus psicologo per chi non si sente di partire, fino ad arrivare ultimamente, al bonus spesa e al bonus benzina. Manca solo l’ultimo atto: il bonus funerale.

Le iniziative di sinistra sono qualcosa di diverso, implicano misure strutturali. Sono quelle che mirano a sostenere il lavoro, migliorandone le condizioni e assicurando retribuzioni atte a garantire una vita dignitosa, a rafforzare il welfare e ad adottare una legislazione che favorisca la redistribuzione del reddito. 

Ma per quale motivo, a prescindere da chiunque si succeda al governo, le politiche attuate non possono non essere di destra?[10]

La risposta va probabilmente cercata in un insieme di fattori. Innanzi tutto, l’onda lunga del reaganismo e dell’idea che non ci sia altra strada oltre quella del liberismo selvaggio, con annesso ricettario di privatizzazioni, deregolamentazioni a oltranza e abbassamento della pressione fiscale[11]. In secondo luogo, le ferree regole dell’Unione Europea che premono per una politica restrittiva della spesa pubblica. In ultimo, i meccanismi innescati dalla globalizzazione e dal capitalismo finanziario, con lo strapotere delle multinazionali e dei mercati.

Del primo punto si è già accennato, degli altri due si parlerà nei prossimi capitoli. Intanto, possiamo constatare come in questa cornice appaia evidente che adottare qualsiasi iniziativa di sinistra significhi andare controcorrente, e molto spesso la corrente è tanto forte che andare contro è quasi impossibile.

Eppure, l’urgenza di misure che attenuino le diseguaglianze creatasi negli ultimi decenni è richiesta da diverse fonti. Un appello al segretario dell’ONU è stato fatto dalla Commissione Indipendente per la riforma internazionale delle tasse (ICRICT)[12]. Iniziative analoghe sono venute con la petizione di OXFAM e di altri soggetti pubblici,[13] che hanno chiesto nuovi sistemi di tassazione per le grandi ricchezze, e con la lettera aperta di 14 personalità,[14] tra le quali economisti come il premio Nobel Stiglitz, Zucman e Piketty, che hanno chiesto ai rappresentanti del G20 un registro globale della ricchezza nascosta, riferendosi non solo ai paradisi fiscali sparsi per il mondo, ma anche al dumping fiscale interno all’Europa in paesi come Olanda, Lussemburgo, Irlanda, ecc.

L’accrescersi della forbice sociale è il tratto distintivo di questi primi decenni del terzo millennio. È un fenomeno che non conosce pause. Secondo uno studio di Oxfam, nei due anni di pandemia il patrimonio dei dieci individui più ricchi del mondo è aumentato di 15000 dollari al secondo, mentre 160 milioni di persone cadevano in povertà.[15] Tuttavia, l’idea di un sistema di tassazione un po’ più equa è ben lontana dall’attecchire. Neanche di fronte al paradosso che a richiederlo siano gli stessi ricchi. Centodue milionari hanno infatti chiesto ai governi di adottare un sistema di tassazione più alto per i grandi patrimoni.[16] A favore di una tassazione più equa si sono levate voci anche dall’interno della Banca Mondiale, notoriamente di non stretta osservanza marxista.[17]

In un articolo di Le Monde[18] viene riportato tra gli altri il paradossale esempio della Francia, dove “le 370 famiglie più ricche sono di fatto tassate solo tra il 2 a e il 3%”.[19] Un po’, per rimanere nello stesso paese, come alla vigilia della rivoluzione del 1789. All’epoca i privilegiati si rifiutarono ostinatamente di contribuire al risanamento delle finanze statali. Erano meno del 2% della popolazione, ma poterono farlo perché erano coloro che decidevano. Oggi, invece, i superprivilegiati sono meno dell’1%, mentre a decidere sono governi espressione dell’intera popolazione. Allora viene spontaneo chiedersi: questi governi perseguono gli interessi della collettività o gli interessi dei ricchi?[20]

Per quel che ci concerne, nel dibattito politico italiano ogni proposta che muove un passo in direzione di una maggiore e più concreta equità fiscale solleva un coro di disapprovazione come se fosse il preludio dell’assalto al Palazzo d’Inverno.

Quando, di tanto in tanto, viene timidamente ventilata l’ipotesi di una patrimoniale, con tutti i paletti e la prudenza del caso, dalle reazioni che si leggono il giorno dopo, viene da pensare che sia stato sferrato un attacco indiscriminato alla nazione, come se metà di essa fosse composta da proprietari di castelli e tenute, e come se una buona parte di tali proprietari votasse PD, essendoci sempre al suo interno una folta rappresentanza fermamente contraria.

Ora, se, da una parte, si capisce l’immediato intervento degli editorialisti dei grandi giornali, che per contratto difendono precisi interessi, si capisce meno, dall’altra, l’eterna esitazione del PD, in teoria erede di quello che è stato per quasi mezzo secolo il partito di sinistra più forte d’Europa. Il problema allora non è solo non provarci nemmeno, ad andare controcorrente, quanto piuttosto sostenere che la corrente vada nella giusta direzione.

(leggi successivo 6.)


[1] Mark Fisher, op. cit.

[2] «Il capitalismo moderno è diventato un gioco complesso, dove per vincere non basta un po’ di cervello. Chi vince spesso possiede anche caratteristiche meno degne di ammirazione: l’abilità di aggirare la legge o di plasmarla a proprio beneficio, il desiderio di sfruttare gli altri, anche i poveri, e la disponibilità a giocare scorrettamente quando necessario». Joseph Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza

[3] Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, Il trionfo dell’ingiustizia.

[4] Joseph Stiglitz, op.cit.

[5] https://wikileaks.org/plusd/cables/08ROME1192_a.html (consultato l’ultima volta il 2/12/2023)

[6] Il paradosso del neoliberismo è questo: non è contrario all’intervento statale in via di principio, come qualcuno potrebbe superficialmente pensare, è contrario all’intervento statale a favore dei più poveri. Il welfare infatti, scrive Stiglitz, c’è sempre, solo che è destinato ai più ricchi, lo Stato, «invece di aiutare chi ne avrebbe bisogno, spende troppo spesso il suo prezioso denaro per aiutare le grandi compagnie attraverso il cosiddetto corporate welfare. […] abbiamo un sistema politico che concede un potere esorbitante a chi sta in cima alla scala sociale, il quale l’ha usato non soltanto per contenere la portata della redistribuzione, ma anche per plasmare le regole del gioco a proprio favore spillando alla comunità quelli che si possono chiamare soltanto enormi “regali”» (Il prezzo della diseguaglianza).

Stesse identiche conclusione alle quali arriva Robert Reich: «Chi è in alto ha visto crescere anche l’influenza sulle regole fondamentali del gioco, il che a sua volta ne ha incrementato ancora di più il potere economico. […] La principale ridistribuzione è avvenuta nella direzione opposta: dai consumatori, i lavoratori, le piccole imprese e i piccoli investitori verso i top manager delle società di capitali e della finanza, i trader di Wall Street, i gestori di portafogli e i maggiori detentori di capitale fisso. Ma questa operazione verso l’alto è invisibile. I principali canali si nascondono all’interno di regole del mercato – proprietà, monopolizzazione, contratto, fallimento, enforcement – che sono state plasmate da chi ha grandi ricchezze e un enorme peso politico» (Salvare il capitalismo).

Le centinaia di milioni date alle banche per salvarle dal default, per esempio, sono soldi sottratti ai più deboli per darli ai più forti. Si dice che col salvataggio delle banche si protegge il sistema e quindi tutta la comunità, ma non si dice che con una legislazione adeguata i default non produrrebbero contagio, essendo questo figlio della deregulation (come peraltro previsto da personalità di vario orientamento, come lo stesso Stiglitz, Warren Buffet, Bernie Sanders e Paul Krugman).

[7] Il M5S è stato al governo dal 2018 alla fine del 2022, mentre il PD per otto anni negli ultimi dieci. Eppure, per accorgersi della necessità di un salario minimo fissato per legge hanno dovuto attendere di trovarsi all’opposizione.

[8] Ovviamente, ciò non toglie che, in mancanza di adeguate politiche sociali, abbia costituito e avrebbe continuato a costituire uno strumento utile per arginare il crescente disagio di una fetta significativa di popolazione. Non si può certo prendere sul serio l’alternativa proposta dal nuovo governo, essendo le offerte di lavoro del tutto incongrue rispetto alla domanda, né tanto meno la giustificazione delle numerose truffe addotta per la sua abolizione. Se si dovesse utilizzare tale argomento, si potrebbe abolire tutto o quasi.

[9] https://www.bin-italia.org/elon-musk-con-i-robot-ci-vuole-un-reddito-di-base-universale/ (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[10] Bisognerebbe ovviamente aggiungere l’anomalia italiana dei cosiddetti governi tecnici. Premessa la contraddizione in termini dell’espressione, poiché, accontentando inevitabilmente alcuni e scontentando altrettanto inevitabilmente altri, ogni decisione di ogni governo è politica, i governi tecnici italiani sono stati in realtà i più politici di tutti. Dietro l’opaco scudo dell’interesse nazionale, sono stati quelli che più di tutti hanno messo in atto le strategie decise altrove. I vari Monti e Draghi sono stati presentati come degli asettici Winston Wolf, chiamati a mettere ordine nei conti pubblici senza spostare di un centimetro gli equilibri politici, un po’ come si chiama un idraulico, che dopo aver aggiustato il lavandino se ne va senza intromettersi nei vostri affari domestici. Solo che il mestiere di PdC è un po’ diverso da quello dell’idraulico. Tanto per dire, puoi far quadrare i conti azzerando l’evasione fiscale e tassando i grandi patrimoni oppure puoi far quadrare i conti tagliando sulla sanità o sulle pensioni.

[11] Per un quadro dettagliato delle deregolamentazioni iniziate da Reagan e proseguite con le amministrazioni successive e degli effetti da esse avute sulle crescenti diseguaglianze sociali, si veda il libro di Joseph Stiglitz, La grande frattura, la diseguaglianza e i modi per sconfiggerla.

[12] https://www.icrict.com/press-release/2023/3/20/icrict-letter-to-united-nations-secretary-general-antnio-guterres (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[13] https://www.tax-the-rich.eu/ (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[14] https://www.theguardian.com/world/2022/apr/19/g20-ministers-urged-to-use-oligarch-crackdown-to-tackle-tax-havens (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[15] https://www.oxfamitalia.org/la-pandemia-della-disuguaglianza/ (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[16] https://www.ilsole24ore.com/art/fateci-pagare-piu-tasse-lettera-102-super-ricchi-world-economic-forum-AE5CU68?refresh_ce=1 (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[17] https://blogs.worldbank.org/governance/wealth-tax-address-five-global-disruptions (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[18] « Taxation mondiale sur les ultrariches : Ce que nous avons réussi pour les multinationales, nous devons le faire pour les grandes fortunes » del 14/3/2023

https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/03/14/taxation-mondiale-sur-les-ultrariches-ce-que-nous-avons-reussi-pour-les-multinationales-nous-devons-le-faire-pour-les-grandes-fortunes_6165354_3232.html (consultato l’ultima volta il 30/11/2023).

[19] Ancora più clamorosi i dati americani: “I quattrocento americani più ricchi hanno più ricchezza del 50 per cento più povero messo assieme”, R. Reich, op.cit.

[20] A proposito della teoria dell’effetto a cascata della ricchezza, sostenuta in questi casi, si veda la nota 19.

Di Giovanni

"Trascorsi nell'antico Pci, ho lavorato in diverse regioni italiane e all'estero (Francia, Cina, Corea), scrittore per hobby e per hobby, da qualche tempo, ho aperto anche un blog ( quartopensiero ) nel quale mi occupo, in maniera più o meno ironica, dei temi che mi stanno a cuore: laicità, istruzione, giustizia sociale e cose di questo tipo."

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