Si alzano le voci a favore della legge sul ripristino della natura, per spingere l’Unione Europea ad approvare il testo senza mezzi termini: nei giorni scorsi, 11 Ministri dell’Ambiente comunitari hanno infatti firmato e inviato una lettera ai propri colleghi dei 27 per esercitare pressione e chiamare i propri omologhi a rispondere in merito a una legge che definiscono «essenziale per adattarsi agli impatti del cambiamento climatico e alla salvaguardia della sicurezza alimentare europea». In attesa dell’incontro del Consiglio Ambiente dell’Unione Europea, previsto per il prossimo 17 giugno, gli accordi sulla legge sul ripristino della natura risultano infatti ancora in stallo. Il motivo dietro il sostanziale blocco nelle trattative risiede nella rituale opposizione di quei Paesi che ritengono che la legge porterebbe a una serie di perdite economiche eccessive, tra questi, come prevedibile, c’è anche l’Italia, con il governo Meloni che sta votando sistematicamente contro ogni normativa di protezione ambientale. In passato si erano invece mosse a favore le associazioni ambientaliste, a cui con la lettera a guida irlandese si sono ora aggiunti con forza anche parte degli esecutivi comunitari.

La lettera indirizzata ai Ministri dell’Ambiente dell’Unione Europea è stata firmata dai politici che ricoprono tale carica (o cariche analoghe) in Irlanda, Germania, Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Lussemburgo, Estonia, Lituania, Danimarca, Slovenia, e Cipro. Secondo i firmatari la ratifica della legge «rispetterebbe l’impegno di diventare leader globali nel ripristino della natura» assunto dall’Unione, e darebbe conto del «coinvolgimento senza precedenti dei cittadini europei, dei portatori d’interesse, e della comunità scientifica nelle negoziazioni delle istituzioni europee». Queste stesse negoziazioni, dopo tutto, sono durate mesi, e sono arrivate a un accordo provvisorio, e secondo molti al ribasso, a novembre 2023, che è poi stato adottato dal Parlamento lo scorso febbraio.  In questo senso «la continua assenza di una maggioranza qualificata per un accordo provvisorio sulla legge sul ripristino della natura tanto minuziosamente negoziato risulta parecchio preoccupante», e tale «dietrofront su compromessi precedentemente stipulati danneggia il risultato di lunghi mesi di negoziazione, mettendo a repentaglio le nostre istituzioni democratiche».

La denuncia da parte degli 11 Ministri firmatari sarebbe non troppo velatamente rivolta a tutti i Paesi che, nonostante le concessioni in fase di negoziazione, hanno continuato a opporsi alla legge, ritenendola pericolosa per agricoltori e pescatori, e possibile fautrice di un indebolimento delle catene di approvvigionamento europee, di un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e del lancio delle energie rinnovabili. Tra questi Paesi, l’Italia risulta decisamente una dei capifila. L’esecutivo Meloni si sarebbe infatti a più riprese dimostrato il più strenuo difensore degli interessi delle grandi industrie ai danni dell’ambiente: è il caso della direttiva sulle emissioni industriali – che per la prima volta include anche gli allevamenti intensivi di medio-grandi dimensioni all’interno delle aziende che devono intervenire sui livelli di emissioni industriali inquinanti, o ancora della legge sugli imballaggi, entrambi casi in cui quello dell’Italia risultò l’unico no in Consiglio.

La legge UE sul ripristino della natura è la prima al mondo a stabilire obiettivi vincolanti per invertire il disboscamento e i danni ambientali causati dalle attività industriali. La norma prevede inoltre che, entro il 2030, vengano attuate misure di ripristino della natura su almeno il 20% delle aree degradate dell’Unione Europea, e stabilisce anche misure di ‘riabilitazione’ in sette diversi settori chiave.

[di Dario Lucisano]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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