Non conosco Selene Ticchi, non so perché sia diventata fascista, anzi così volgarmente fascista da partecipare lo scorso 28 ottobre a una manifestazione davanti alla tomba di Mussolini a Predappio con quella maglietta oscena.
Però conosco la sua città, Budrio, che dista poco meno di nove chilometri da Granarolo, il paese in cui sono cresciuto e in cui ho cominciato a fare politica.
Chissà quante volte Selene Ticchi è stata in piazza a Budrio e ha visto la lapide che ricorda i caduti della Resistenza. Il 21 ottobre 1944, a Vigorso ci fu un combattimento in cui furono uccisi otto partigiani – e altri otto furono fatti prigionieri e uccisi il giorno successivo – a cui seguì la rappresaglia contro la famiglia di contadini che aveva ospitato quel distaccamento partigiano, durante la quale i tedeschi uccisero altre sette persone. Budrio è una città che ha sempre ricordato quell’episodio così significativo della propria storia e di tutta la Resistenza bolognese.
Anche perché Budrio ha sempre coltivato la memoria del proprio essere socialista. Tante volte Selene Ticchi avrà passeggiato sotto i portici della strada centrale di Budrio, dedicata a Leonida Bissolati e, siccome i simboli contano, la toponomastica del centro di quella città è come un breviario degli eroi del socialismo: non ne manca davvero nessuno. La piazza centrale in cui tante volte Selene Ticchi si è fermata con le sue amiche è dedicata al figlio più illustre di Budrio, lo scienziato e matematico Quirico Filopanti, l’inventore dei fusi orari, politico garibaldino e socialista, che da deputato, alla seduta di insediamento della Camera del 1876, si rifiutò di giurare fedeltà al re, venendo espulso. Ho letto che Selene Ticchi vive a Mezzolara, la frazione più importante di quel comune, la cui storia, come quella di tutta la bassa bolognese, è stata scandita dalle lotte dei contadini e dei braccianti, dalle loro organizzazioni politiche, sindacali, cooperative.
Ho visto che Selene Ticchi è più o meno una mia coetanea. Quando io andavo a scuola, tra la metà degli anni Settanta e la fine degli Ottanta, non ho avuto degli insegnanti fascisti, ma neppure smaccatamente progressisti: diciamo che la media era il tipo del democristiano non troppo bigotto. In tempi e con intenzioni didattiche diverse, quegli insegnanti mi hanno fatto leggere, tra gli altri, i romanzi di Primo Levi e di Mario Rigoni Stern e mi hanno spiegato che i campi di concentramento erano una cosa “cattiva”. Immagino che l’esperienza scolastica di Selene Ticchi sia stata simile alla mia: i libri da leggere erano gli stessi, i film da guardare gli stessi, le gite da fare le stesse. Anche lei ha avuto sicuramente tra le mani l’edizione Einaudi di Se questo è uomo, con il titolo tra le due righe rosse orizzontali che ho avuto io. Anche lei ha letto almeno una volta i versi che aprono quel libro.
Poi Budrio è una città grande – più grande di Granarolo – e anche orgogliosa del proprio livello culturale: c’era anche il liceo classico. A Budrio c’era – e c’è ancora per fortuna – un bel teatro dove sono stati rappresentati tanti spettacoli che poi andavano a Bologna; quando ero ragazzo io, c’era una bella libreria, come quelle della città; c’era – e suppongo ci sia ancora – una realtà associativa vitale.
Nonostante tutto questo – questa storia, questi simboli, questa scuola, questa cultura diffusa – Selene Ticchi è diventata fascista. E’ diventata così fascista da indossare con orgoglio una maglietta con una scritta che ridicolizza il nome di Auschwitz. Come è successo? Possiamo anche pensare che un deficiente sia potuto nascere e crescere in qualunque città, anzi che potrà nascere e crescere in qualunque città e in qualunque contesto. Possiamo anche pensare che se uno è deficiente, orgogliosamente deficiente, non ci puoi fare nulla. E uno può diventare fascista anche nella socialista Budrio, uno può diventare fascista anche se a scuola gli hanno fatto leggere Se questo è un uomo.
Capisco, ma non riesco ad accontentarmi del tutto di questa risposta. Ho fatto per un po’ di anni il politico e credo che se a Budrio, come a Granarolo, come in tutte le nostre città, ci sono i fascisti – e ve ne sono sempre di più – sia anche per nostra responsabilità, perché mentre dicevamo di essere socialisti non ci siamo comportati sempre come tali e abbiamo in qualche modo tradito la storia di cui eravamo gli eredi. E per esempio abbiamo organizzato in maniera fredda e burocratica le manifestazioni per ricordare la storia della Resistenza, come fossero impegni gravosi, di cui avremmo fatto volentieri a meno. Anche noi, come Selene Ticchi, passavamo per le vie delle nostre città, senza guardare ai nomi degli uomini a cui sono intitolate.
Non voglio trovare giustificazioni per quella maglietta, perché non ce ne possono essere. Però vorrei chiedere agli insegnanti che oggi fanno leggere a scuola quei libri, quei libri che continuano a essere “giusti” e che devono continuare a essere letti, di pensare a come lo stanno facendo, se il modo in cui lo stanno facendo è efficace. Perché non stanno solo spiegando un romanzo, ma stanno raccontando a quei ragazzi un pezzo della loro storia e insieme costruendo un po’ del loro futuro.

 

 

 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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