Ogni volta che da bambini, quando ci dicevano di disegnare il presepio, abbiamo fatto la lunga coda gialla della stella o abbiamo attaccato sulla capanna la cometa tagliata nel cartone e ricoperta di carta argentata, non sapevamo cosa nascondesse quel nostro gesto innocente.E’ Matteo che racconta della stella apparsa per annunciare la nascita di Gesù; e usa il termine greco ἀστὴρ – astèr – che indica proprio una stella, e non κομήτης – kométes. Nei primi secoli della cristianità i padri della chiesa pensavano – sulla scorta di Platone – che le stelle potessero avere un’anima e quindi, come diceva Giovanni Crisostomo, che fossero angeli. E un angelo avrebbe potuto prendersi la briga di guidare i magi fino a Betlemme. Non tutti erano d’accordo con questa tesi, ad esempio Origene di Alessandria diceva che le stelle non erano angeli e che quindi quella di Betlemme era stata un fenomeno naturale, per quanto miracoloso. Non era una di quelle questioni per cui gli antichi erano disposti a scannarsi, ma ci volle un concilio, il secondo di Costantinopoli del 553, per risolvere la diatriba: in quella sede infatti si stabilì che le stelle erano cose e quindi non avevamo un’anima. Il problema di cosa fosse quella stella rimaneva – anzi diventava più difficile da risolvere – perché Matteo dice che la stella “precedeva” i magi e che a un certo punto “si fermò”. C’era decisamente qualcosa di strano in quella stella.Se oggi noi disegniamo una coda a quella stella è per colpa di un usuraio. Agli inizi del Trecento Enrico Scrovegni, erede di una ricchissima famiglia di Padova, decise che era il momento che la sua famiglia fosse ricordata non solo per il modo in cui erano diventati così ricchi. Acquistò da un nobile decaduto l’area dell’antica arena romana della città, ci fece costruire un bellissimo palazzo con annessa una cappella privata e la fece affrescare al pittore più famoso e quotato del suo tempo, il fiorentino Giotto, che fortunatamente per Scrovegni in quei mesi era già a Padova per eseguire dei lavori nella basilica del Santo. Bisogna dire che questa operazione di marketing familiare riuscì solo in parte a Enrico, visto che pochi anni dopo un altro fiorentino avrebbe messo suo padre Rinaldo all’Inferno, proprio tra gli usurai. Comunque sia Giotto si gettò nell’impresa e realizzò uno dei capolavori assoluti dell’arte europea. Il pittore fiorentino decise di raccontare tutta la vita di Gesù. A noi interessa un affresco del secondo registro della parete a sud, l’Adorazione dei magi. Ci sono tutti quelli che ci devono essere – e quelli che ci sono ancora nei nostri presepi – Maria, Giuseppe e il bambinello, i magi, i cammelli e i servi che li conducono, gli angeli – anzi di uno di loro non si vede il viso perché è coperto dalla trave che sorregge il tetto della capanna, un tocco di geniale realismo. La vera novità di questo affresco è la cometa, con la sua coda luminosa. Giotto aveva “inventato” la cometa. Dipinge gli affreschi della Cappella degli Scrovegni tra il 1303 e il 1305 e nell’ottobre 1301 aveva certamente visto la cometa di Halley, visibile sulla terra circa ogni settantasei anni. E’ per questa ragione che noi ancora oggi mettiamo la cometa sul nostro presepio: potere dell’arte. Ogni passaggio di questa cometa ha di volta in volta terrorizzato e affascinato gli uomini. Nel 989 molti di quelli che la videro pensarono che annunciasse l’imminente fine del mondo. Nel 1456, visto che la sua coda sembrava una scimitarra, si pensò che annunciasse un nuovo attacco dei turchi che solo tre anni prima avevano conquistato Costantinopoli. Giovanni Pascoli nel 1910 scrisse una poesia dedicata al passaggio della cometa. Sono versi cupi, carichi di presagi funesti: sa per scoppiare la guerra, Pascoli lo sente, e sa che non è colpa della cometa. Pensa probabilmente alle storie raccontate su questa cometa, Giacomo Leopardi quando scrive: “Ma le comete che cosa hanno di spaventevole per sé, più ch’altro corpo celeste, o che la via lattea? E volendole pigliare per segni e presagi, perché non di bene?”Perché siamo uomini, perché sappiamo bene quello che facciamo e quello che stiamo per fare. 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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