Una cialtroneria puttaniera e ruffiana. Un meretricio accondiscendente nei confronti della consuetudine che segue soltanto gli interessi di una economia che bada – come le è congeniale e naturale – al profitto privato e all’accumulazione di grandi capitali e che non fa ripartire se non la grande macchina dello sfruttamento dei miliardi di salariati che sopravvivono ogni giorno nel mondo.

E’ la cialtroneria della comunicazione odierna: televisioni, giornali, fiumane di pubblicità che oltrepassano il patetico, che diventano fenomeni di così evidente piaggeria nei confronti dei lavoratori che divengono consumatori e poi nuovamente forza-lavoro da utilizzare senza alcuna riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Non esiste canale televisivo, testata giornalistica o consiglio per gli acquisti che non giochi la carta dell’ispirazione di un ottimismo continuo, incessante, che rimbalza da spot a spot, da idea ad idea e che, naturalmente, sottintende la gara tra le agenzie che promuovono il tutto per ottenere l’aggancio migliore da desiderio e desiderante, tra prodotto e consumatore, tra notizia che fa breccia per la sua storia strappa-sentimenti-buoni e la cruda realtà dei fatti.

I fatti dovrebbero informarci su loro stessi, parlarci senza bisogno dell’intermediazione giornalistica o l’ipocrisia della pubblicità. I fatti dovrebbero dirci che nel mondo ogni tipo di attività si è fermata – o quasi – per due mesi in gran parte dei continenti per frenare la galoppante avanzata del Covid-19; che si stanno solamente vedendo ora gli effetti di un marzo ed un aprile (più due settimane di maggio) sui numeri riguardanti i contagi, gli indici di trasmissione del virus da persona a persone; su quelli concernenti le terapie intensive e i decessi.

Inizia a farsi largo il tempo passato associato a tutta una serie di frasi preimpostate per essere tamtammeggiate, ripetute da paese a paese, da regione a regione, da nazione a nazione. Ieri sera una nota rete di sole notizie, ogni mezz’ora nei telegiornali trasmessi ripeteva nel servizio sulle manifestazioni mondiali del movimento spontaneo “Black lives matter“: “Ora, superata la pandemia…“. Superata? Siamo già nel “dopo-Coronavirus“?

Evidentemente no. Assolutamente no. Per questo diventa insopportabile la retorica della “ripartenza” con tutte le belle parole a tono impostato, attoriale, per dirci che con la macchina tale sfrecceremo verso un luminoso futuro; che con l’energia elettrica, con il gas, con l’acqua, con la fibra ultraveloce che arriva nelle case tutto sarà più facile. Sono tante ruffianissime carezze che ci ammansiscono, che provano a cullarci nell’idea che c’è un mercato, padre e madre (come il “Mapà” di uno straordinario cartone animato nato dalla fantasia di Enzo D’Alò) amorevole, pronto a tenerci per la manina e a portarci a spasso in soleggiate giornate estive in cui tutto sarà possibile.

Soprattutto acquistare, comperare, consumare tanto, magari pure di più di prima per sostenere l’ec0nomia della nazione. Ma sarebbe meglio dire: sostenere i profitti dei padroni.

Sottigliezze, quisquilie, argomenti così leggeri che sono surclassati in un istante dalla potente macchina con-vincitrice (meravigliosa la lingua italiana che ci regala neologismi dal doppio senso…) della stimolazione di un consenso universale per riprendere quella che continueremo a reputare una “vita normale” soprattutto quando la bufera virologica sarà alle nostre spalle, ce la scrolleremo d’addosso e faremo spallucce facendoci ancora convincere (voi, non certo io; ma più che avvisarvi del pericolo in cui incorrete, non posso fare…) della assoluta bontà delle privatizzazioni in campo sanitario e per ogni altro comparto che dovrebbe essere sostenuto e sostenere a sua volta la tutela sociale, l’economia pubblica e non l’interesse imprenditoriale.

Nonostante i pericoli che si corrono nell’organizzazione stessa delle enormi manifestazioni mondiali contro il razzismo, in memoria dei tanti George Floyd ammazzati dagli Stati razzisti di tutto il mondo, da poteri che devono lasciare in pasto alla voracità dei consumatori anche tanto odio verso un nemico da continuare a creare giorno per giorno, per distrarre i moderni proletari dalle loro vere condizioni di classe; nonostante la concreta possibilità che tutto questo porti ad una recrudescenza del Covid-19, sono proprio queste manifestazioni, che, a dire il vero, in Italia si sono svolte con grande compostezza, distanziamento personale (“distanziamento sociale” come terminologia mi provoca l’orticaria!) corretto, a regalarmi una speranza.

La speranza che le coscienze critiche non siano poi del tutto addomesticate, letargiche o ammansite così tanto da diventare le meretrici moderne delle tempeste crudeliste ed odiatrici alimentate dal perfido meccanismo riproduttore dell’egocentrismo tipico dei “social“.

Esiste una parte grande di umanità consapevole dei rischi che corre se continua a ritenere di “doversi affidare” ad un potere per poter cambiare la propria vita. Il voto, la delega rappresentativa sono un diritto, un modo di espressione – diciamo – piena della democrazia propriamente detta. Ma non risolvono la contraddizione sociale massima: lo sfruttamento di miliardi di esseri umani e animali (di esseri viventi in generale) da parte di una minuscola pletora di capitalisti e miliardari, di faccendieri e affaristi che svolgono il loro ruolo di classe in un sistema che distrugge il pianeta, massifica la povertà, crea le condizioni per lo sviluppo di pandemie con consumi spinti all’eccesso.

La spinta civile delle rivendicazioni di questo popolo ribelle che sta infiammando gli Stati Uniti d’America e che può diventare un nuovo movimento mondiale ha due strade: può terminare come è cominciato, come tanti altri fuochi avvampanti dopo un gesto eclatante di ingiustizia manifesta; oppure può essere, anche se non proprio un movimento politico che si radica e si diffonde capillarmente e strutturalmente, almeno una ulteriore pietra messa sulla via da costruire per la comprensione sempre più nitida di una rinascita della critica sociale, della critica al capitalismo. Per un nuovo comunismo proprio inteso come “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente“.

La libertà è solo la lotta. La lotta è partecipazione. La partecipazione è unità di tante prese di coscienza che, da semplici idee singole, prendono la forma di una specifica volontà, di un programma di cambiamento, di una forza che può essere ancora chiamata col suo unico nome: “rivoluzione“.

Se ne sente l’eco lontano nel tempo. Se ne potrà sentire il rumore di fondo. Un giorno…

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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