Fabrizio Casari 

Sembrano essersi interrotte ma non cessate le lotte sociali che per qualche settimana hanno scosso l’Europa occidentale. Le dinamiche delle insubordinazioni sono difficili da pronosticare ma appare prevedibile un loro ritorno più che il loro scomparire e probabilmente prima di quanto i media e la politica ufficiale immaginano. Perché le ragioni che le ispirano sono più forti della loro stessa tenuta e questo è quel che conta.

Le lotte che hanno attraversato Germania, Francia e Inghilterra raccontano di un continente non pacificato. Ciò non tanto per quanto riguarda la disponibilità a praticare il conflitto di classe, quanto al rifiuto di considerare le condizioni disperanti in cui versa lo stato sociale dell’intero continente. In primo luogo a causa del primato ultraliberista che peggiora sia la vita delle persone che gli stessi conti pubblici che afferma di voler salvare proprio a prezzo dei sacrifici imposti alle politiche sociali.

In Gran Bretagna, dove i contraccolpi della Brexit in termini commerciali sono stati pesanti e la fine degli investimenti russi hanno lasciato il segno, la lotta è di un mondo del lavoro subordinato che ritrova la sua insubordinazione contro lo sfascio definitivo del sistema pubblico, in particolare il Servizio Sanitario nazionale, un tempo orgoglio dei sudditi di sua maestà ed ora in condizioni pietose. Il che ha contribuito a ridurre l’Inghilterra a paese per miliardari sopra e vassalli sotto.

In Germania la scossa decisiva è venuta da una inflazione che ha eroso di oltre il 10% del potere d’acquisto dei salari. Una contrazione determinatasi per le sanzioni imposte alla Russia, che hanno interrotto la fornitura di idrocarburi che era stata determinante per lo sviluppo dell’industria tedesca e che, oltre al ruolo di fornitore verso terzi, aveva garantito un ruolo importante per tutto il centro Europa, consentendo a Berlino un surplus commerciale straordinario nella rivendita a paesi terzi. In pratica, al netto dell’operazione di acquisto, gestione e rivendita a terzi, la Germania pagava una inezia la sua bolletta energetica: la locomotiva tedesca, insomma, andava veloce ma con il carbone russo.

Il nuovo posizionamento tedesco nel conflitto tra Nato e Russia che si combatte in Ucraina, propone una lettura del ruolo di Berlino ormai succube nei confronti degli Stati Uniti, il che riduce specularmente il peso specifico che la Germania è in grado di esercitare in Europa.

In Francia si gioca la partita più importante, perché la lotta per le pensioni prende di mira il sistema economico che le vuole sempre più tardi, sempre meno remunerative e sempre più private. Mette in discussione uno dei fondamentali del liberismo e del suo modello sociale e esistenziale: l’idea stessa di come dobbiamo spendere la nostra vita, il valore del tempo, il peso del lavoro nel complesso della riproduzione sociale.

C’è un filo comune in queste lotte ed è rappresentato più dalle loro rivendicazioni che non da una organicità organizzativa: è il rifiuto a considerare la progressiva uscita di scena degli investimenti pubblici a favore della speculazione privata nelle aree dei servizi alla persona e l’opposizione all’abbandono delle politiche industriali. Sul piano politico si tratta dell’opposizione alla trasformazione dell’Europa in una dependance degli Stati Uniti, dove la povertà aumenta a dismisura e vengono negati sussidi e flessibilità con l’argomento che i conti pubblici non lo consentono, ma poi si trovano miliardi e miliardi di Euro per sostenere gli interessi USA in Ucraina, sia indirettamente attraverso le sanzioni contro Mosca, sia direttamente con i fondi militari a Kiev.

In generale si assiste ad una perdita di peso degli interessi dei rispettivi paei nel seno della UE e nella parallela sottomissione della UE verso gli USA. Non è tema nuovo ma effettivamente ora si avverte una pericolosa accelerazione e si avvertono in misura maggiore gli effetti, esaltati anche dalle difficoltà intervenute per la pandemia prima e la guerra poi.

In una crisi generale del ruolo dell’Europa, le dottrine di contenimento dei diritti sociali nei singoli paesi trovano ulteriore impulso proprio a fronte di un ridotto sostegno continentale. Di conseguenza si inaspriscono le regole, si riducono drasticamente gli spazi e si accantona definitivamente l’idea di una crescita dell’economia inclusiva. Circa 100 milioni di europei sono disoccupati. Per questo i lavoratori dei singoli paesi scendono in lotta, perché vedono minacciati i margini già così esigui delle tutele e dei diritti universali rimasti in piedi dopo la sbornia ultraliberista.

Nella sfida per la riorganizzazione di un Nuovo Ordine Internazionale, l’Europa viene privata del diritto di parola, viene estromessa dal ruolo che per forza economica, geostrategica e demografica dovrebbe sostenere. Definitivamente persa la scommessa di rappresentare una terza via sotto il profilo del modello economico, permanentemente inginocchiata nel ruolo di suffragetta delle politiche depredatrici statunitensi, che prevedono il contenimento forzato di tutte le economie che minacciano la loro leadership del loro modello fallito. Se ne ravvisa l’evidenza pubblica anche nei suoi organismi, dove superata la fase dei Delors e dei Prodi, propone alla guida della Commissione autentici burattini nelle mani degli Stati Uniti come la Von der Layen e Borrell. La prima apertamente scatenata nella sua candidatura a Segretario generale della NATO, il secondo a passi spediti verso il ruolo ricoperto ora dalla tedesca.

L’Europa, insomma, perde peso specifico e dopo la rottura gravissima con la Russia,  carica di conseguenze negative in ordine a forniture energetiche, commercio e sicurezza, viene ora ingaggiata nella prossima guerra contro la Cina. Ciò comporterà un ulteriore impoverimento del vecchio Continente e il suo affidamento esclusivo sul piano politico, economico, culturale e militare, al dominio statunitense sul mondo. Si procede verso un nuovo assetto bipolare dove l’Occidente è a trazione statunitense e dove a stabilire il suo dominio viene impiegata la NATO.

Così viene radicalmente eliminato il ruolo di mediazione e di inclusione che era alla base della nascita della comunità europea, che di colpo si trova ad essere solo un consorzio di banche che governa una struttura politica sovranazionale di tipo militare che toglie ad ogni singolo paese la possibilità di intervenire nelle scelte del continente. C’è un trasferimento netto di decisionalità politica dei paesi verso la Commissione e di questa verso la Casa Bianca e si configura un continente, con la sua politica economica e le sue relazioni commerciali, le sue politiche sociali il suo peso politico internazionale, modellato a misura sugli esclusivi interessi degli Stati Uniti.

L’euro atlantismo segna la fine dell’autonomia europea per quanto mai essa sia stata concretizzata. La “liberaldemocrazia in lotta contro l’autocrazia” contiene al suo interno le caratteristiche peggiori del neoliberismo applicato, ovvero autoritarismo, centralizzazione del comando, rafforzamento delle gerarchie di classe, razza e genere. Va in onda lo spettacolo di un nuovo totalitarismo che si vorrebbe “democratico” in opposizione alla crescita di organismi internazionali di rappresentanza di diversi blocchi regionali (Brics e OSC in primo luogo) ridotti nella vulgata propagandistica occidentale a “autarchia”.

Il disegno nato a Ventotene è stato strappato. Quello che oggi definiamo Unione Europea è uno scarabocchio che si può leggere come un consorzio di banche a trazione NATO che, in una contrazione generalizzata degli spazi di decisionalità condivisa, strumento fondamentale per la salvaguardia della pluralità di interessi, sancisce invece la fine delle autonomie dei singoli paesi e consegna agli Stranamore di Washinton il teatro ideale per le sue prossime guerre

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/9946-scene-di-lotta-di-classe-in-europa.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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