In Polonia e in Ungheria i governi di estrema destra si sono consolidati attraverso interventi sociali selettivi a favore delle classi medie, il controllo del potere giudiziario e dei mezzi di comunicazione. Solo il conflitto sociale può indebolirli e scongiurare il pericolo autoritario.

 di Stefano Paterna  

Se cercate sfilate in camicia nera, sappiate che al momento ne siamo sprovvisti. Ma questo non significa che il fascismo come forza politica e sociale sia materiale da consegnare agli storici o al massimo al folclore:  tutt’altro. Significa soltanto che un fenomeno che ha radici profonde e persistenti in Europa può assumere le forme contemporanee che possono farlo prosperare, non quelle classiche attraverso le quali lo abbiamo conosciuto sui libri di storia.

Se intendiamo per fascismo un orientamento ben preciso dei ceti medi; o più esattamente, se intendiamo con questo termine un movimento politico che si produce nella piccola borghesia per rispondere al terrore che la coglie dinanzi alla prospettiva sempre più concreta della proletarizzazione; se cogliamo oltre questo aspetto sociale, l’aspetto politico dell’organizzazione di individui che sorgono da queste classi medie impoverite che si propongono sul mercato della politica, offrendo a un numero crescente di declassati, di spostati, di falliti economici e sociali, di disoccupati, la prospettiva del potere politico in diversa misura (locale, regionale, nazionale, europeo) come riscatto individuale e come strumento di stabilizzazione delle difficoltà e delle crisi evidenti del grande capitale, allora cogliamo l’essenza del fascismo possibile dei nostri tempi. Un fascismo possibile che si sta già realizzando in Polonia, in Ungheria e ora anche in Italia e, forse, domani (speriamo di no) in Spagna.

Passeggiando per i viali di Heidelberg

Magari Hegel non avrebbe apprezzato; magari, invece, avrebbero gradito i poeti romantici Clemens Brentano e Achim von Arnim, sta di fatto che conviene aver presente il discorso che il premier polacco ha tenuto nel marzo di quest’anno a Heidelberg; discorso nel quale, ci dicono i giornali, Mateusz Morawiecki ha addirittura esposto la sua dottrina e quella del suo partito (il PIS) sull’Europa.

Ordunque, Morawiecki a Heidelberg si è lanciato in una lunga ricostruzione storica per illuminare, infine, i destini che attendono secondo lui il “Vecchio Continente”. Sorvolando sulla ovvia condanna del “comunismo criminale”, ci tocca innanzitutto registrare che il nostro relatore valuta la sconfitta in Vietnam degli Stati Uniti non una salutare vittoria di un popolo oppresso contro l’ingerenza di una superpotenza (che è invece il giudizio che il primo ministro polacco attribuisce all’invasione russa del’Ucraina), ma una sconfitta dell’Occidente che si ripeterebbe in scala assai più grave in caso di vittoria della Russia di Putin contro l’Ucraina di Zelensky.

Ma soprattutto, Morawiecki individua gli Stati nazionali europei come la forza propulsiva dell’Unione e, pertanto, aborrisce qualsiasi forma di cessione di sovranità nei confronti della burocrazia di Bruxelles.

“In un senso più profondo – si legge in un passo del discorso di Morawiecki – la disputa oggi è tra la sovranità degli Stati e la sovranità delle istituzioni. Tra il potere democratico del popolo l’imposizione dall’alto del potere da parte di una ristretta élite”.

La rivendicazione della sovranità popolare-nazionale si abbina, poi, all’identificazione delle sorti stesse dello sviluppo e del benessere economico con quelle delle classi medie: “Molti dei problemi dell’Europa moderna derivano dalla frustrazione dei giovani, le cui prospettive sono spesso peggiori di quelle dei loro genitori. La classe media si sta erodendo ovunque in Europa. Un mondo in cui l’1% più ricco accumula più ricchezza del restante 99% è scandaloso. Oggi sta accadendo questo”. E ancora: “La forza dell’Europa deriva in primo luogo dalle sue fondamenta più solide, ovvero la sua robusta classe media”.

Non mancano ovviamente in questo discorso di Heidelberg i riferimenti ideologici tipici del conservartorismo tradizionalista: “una comunità democratica di nazioni, basata su un’antica eredità greca, romana e cristiana, che promuove la pace, la libertà e la solidarietà, è il fondamento dei valori europei”. Il tutto contro il “grande reset” tentato dalla burocrazia senza cuore: uno dei termini e dei temi ideologici preferiti dell’estrema destra statunitense. USA ai quali (insieme alla NATO), del resto va l’omaggio più sincero di Morawiecki (altro che europeismo).

Il consolidamento dei regimi in Polonia e Ungheria

Questo dunque l’immaginario ideologico di uno dei principali partiti della destra estrema in Europa, uno dei modelli di riferimento dei nostri Fratelli d’Italia. Ma passando dal cielo delle teorie al terreno delle pratiche, bisogna notare che in Polonia, come nell’Ungheria di Orban, queste forze politiche si consolidano attraverso un interventismo sociale segmentato, ovvero di supporto a un proprio modello ideologico: la famiglia tradizionale espressione della classe media. L’intervento economico viene potenziato dall’alleanza con il tradizionalismo cattolico, l’anticomunismo radicale, la demonizzazione dell’immigrazione, il controllo dei media e della magistratura.

Il fine ultimo da perseguire è la costruzione di una comunità coesa, sebbene molto articolata in diverse stratificazioni sociali. Queste diversità di classe tuttavia vengono mediate dai “valori comuni” (religione, patria e famiglia tradizionale) e da una serie di privilegi sociali rispetto ai non assimilabili (forza lavoro straniera, clandestini, minoranze sessuali, rivendicazioni femministe ecc.).

Soprattutto in Polonia, il governo del PIS grazie all’afflusso dei fondi europei e a una politica di interventismo sociale a favore delle classi medie, ha varato nel corso degli anni il programma “Family 500” che assicura 500 zloty (circa 112 euro) per ogni figlio fino ai 18 anni, la tredicesima per i pensionati ecc.

In particolare, la destra polacca è accusata dai liberali europei (e dalla similare opposizione interna) di aver adottato una sorta di “socialismo conservatore” che insieme al controllo sui media e sulla magistratura ne garantisce la presa sulla società. Si può citare, come esempio di controllo, l’abbassamento dell’età pensionabile per i giudici della Corte suprema che se vogliono proseguire nella loro carriera dipendono dal benestare del presidente.

Ancora più marcato (e feroce) è il tratto autoritario della politica del partito Fidesz di Viktor Orban in Ungheria. Qui l’apparato statale è stato utilizzato per una sorta di “accumulazione primitiva nazionalista”, tentando di ridimensionare il capitale di origine estera e puntando a supportare l’ascesa di una classe media compradora che è il puntello del regime. Anche nel caso ungherese i paletti di classe segmentano chi è dentro il “sistema” e chi non lo è: minoranze sessuali, migranti, donne insubordinate, ma anche lavoratori poveri.

L’accento sul consumismo era favorito, prima della crisi indotta dalla guerra russo-ucraina, dalla leva fiscale con l’adozione di una tassa piatta sui redditi al 15% che dava l’illusione di avere i soldi in tasca e un’IVA al 27% che penalizzava i consumatori a basso reddito.

Peraltro, il capitalismo nazionalista di Orban ha tentato di scaricare le sue contraddizioni ideologiche sui lavoratori nel 2018: il blocco dell’immigrazione avendo causato una carenza di mandopoera (la stessa cosa accade anche in Polonia) avrebbe prodotto inevitabilmente un aumento del suo costo. Ma, dato che il capitalismo nazionalista o meno che sia, è sempre affamato di plusvalore, si è pensato di obbligare i lavoratori ungheresi a ore di straordinario con pagamento peraltro molto dilazionato da parte delle aziende. Il tentativo è fallito dopo un’intensa mobilitazione popolare e una decisione della Corte costituzionale ungherese nel maggio del 2021, ma rimane una forte carenza di manodopera qualificata che è il frutto delle scelte ideologiche di Orban in materia di immigrazione.

L’Opposizione liberale e l’Italia

In entrambi i casi (Polonia e Ungheria), nonostante le difficoltà economiche dovute al conflitto tra Russia e Ucraina (dove i due regimi si sono schierati su sponde opposte), l’ostracismo di Bruxelles e il disprezzo delle cosiddette forze progressiste europee (liberali e socialisti), si assiste a un consolidamento dei governi dell’estrema destra.

Si potrebbe tentare quasi una generalizzazione teorica: laddove l’opposizione ai regimi autoritari di estrema destra è rappresentata da formazioni liberali, liberiste o social-liberali, i primi tengono senza grandi difficoltà. Per i ceti medi di questi paesi è certamente meglio la “carota” di qualche minimo aiuto sociale, condita con una abbondante retorica nazionalista che l’offerta di forze politiche che promettono in economia il ritorno a privatizzazioni e rispetto ossequioso delle leggi di bilancio. Inoltre, l’occhio di riguardo dei liberali per i diritti individuali a scapito di quelli sociali, li fa percepire come formazioni politiche importate dall’estero e non autenticamente radicate nel paese.

La medesima cosa sta accadendo in Italia, soprattutto dove le forze di opposizione si inquadrino dietro la linea politica del Partito democratico, anche quello presunto di sinistra della Schlein: una formazione che continuando pervicacemente ad avere una posizione filoatlantista nel caso della guerra russo-ucraina di fatto puntella la posizione in merito del governo della Meloni e impedisce l’emergere del dissenso non solo tra le classi popolari, ma anche nel mondo della piccola e media impresa in difficoltà per l’aumento dei costi energetici e dell’inflazione.

Il fascismo possibile

Esiste la possibilità che regimi di nuovo fascismo si instaurino in Europa? A mio giudizio, la risposta non può che essere positiva. Il morso sempre più stringente della crisi economica contingente e delle difficoltà strutturali del grande capitale all’estrazione di plusvalore, di per se stesse creano di già la necessità di una maggiore centralizzazione e di una compenetrazione di potere politico ed economico. Basti guardare al fenomeno apparentemente diverso come la risposta delle autorità francesi alle proteste nelle banlieu e ai provvedimenti del governo inglese sull’immigrazione con il “Migration Bill”.

Nello specifico, le forze dell’estrema destra di chiara derivazione fascista come nel caso italiano e spagnolo o più genericamente tradizionaliste nel caso polacco e ungherese sono avvantaggiate da questo contesto generale. Una volta conquistato il governo, anche per la totale mancanza di credibilità delle forze politiche centriste e il fenomeno conseguente dell’astensionismo, sono in grado di sviluppare meccanismi di stabilizzazione autoritaria del quadro politico, mediante selettivi interventi sociali, controllo dei media e del potere giudiziario.

Segnali in questo senso se ne sono visti anche in questi pochi mesi di governo Meloni: dal decreto sui “rave party”, alla riforma fiscale, alla decontribuzione per i dipendenti, alle nomine in Rai. Anche l’opposizione alla fissazione di un salario minimo costituisce una strizzatina d’occhio alle classi di riferimento (piccole imprese del settore commerciale, turistico e dei servizi), ma anche la necessità di evitare un provvedimento che vada nel senso della maggiore omogeneità nel mondo del lavoro.

Come ci ha dimostrato il caso della parziale vittoria dei lavoratori ungheresi contro le leggi sullo straordinario, l’estrema destra può temere soltanto l’intensificarsi del conflitto sociale. Le lotte dei lavoratori, dei giovani, delle donne, quanto mai urgenti, sarebbero favorite dall’emergere di una proposta politica unitaria della sinistra di classe. Il venir meno a questa esigenza non potrà che essere giudicata severamente dalla storia

https://www.lacittafutura.it/editoriali/il-fascismo-possibile

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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