“Il Manifesto” (29 dicembre) dedica 12 pagine speciali alle parole :”Che hanno accompagnato i percorsi di emancipazione e le lotte di liberazione e che – a giudizio dei curatori – sono ormai parole inservibili. Se non peggio possono avere l’effetto di un ostacolo. Per riprendere il cammino, cominciamo a metterle in discussione”.Questo l’occhiello che presiede all’introduzione delle dodici pagine.

Le parole sottoposte ad esame sono: rifondazione, liberalismo, pace, contratto sociale, sinistra, popolo, differenza, riformismo, patriarcato, sovranismo.

Nell’occasione ci limiteremo a proporre una riflessione sui termini “sinistra” e “riformismo” che ci appaiono come i più urgenti da mettere a fuoco in un’attualità che preme di fronte a scadenze immediate e molto complesse da affrontare.

Per introdurre il discorso mi limito a riportare la sinossi delle due pagine in questione.

Andando per ordine:

Sinistra (pagina elaborata da Paolo Virno): “Lo schieramento politico, ma anche e soprattutto sentimentale chiamato sinistra si è battuto sempre per lo sviluppo delle forze produttive, ignorando con animo sereno la guerra civile latente che cova all’interno di tale sviluppo. Ha invocato l’unità nazionale e il rispetto dello stato sovrano”.

Riformismo (pagina elaborata da Mario Ricciardi): “ Oggi il tema di fondo per le sinistre in Europa e negli Stati Uniti non è più quello sintetizzato un secolo fa dall’alternativa tra riforme e rivoluzione. La lotta contro le disuguaglianze, risultato di un trentennio di egemonia neoliberale e per la difesa di una democrazia e di un Welfare a rischio di estinzione anima tanto i socialisti più avanzati quanto i liberali egualitari”.

Una prima lettura di queste frasi apre prospettive di grande interesse, rilevandone la contraddittorietà da un lato tra il giusto richiamo all’uscita dal dogma dello sviluppo infinito delle forze produttive e alla distinzione rispetto al concetto di unità nazionale e dall’altro canto l’accento posto sulla necessità di un riformismo capace di riprendere i temi del welfare per superare – appunto – i i termini “storici” di divisione a sinistra.

Sorge così un interrogativo rivolto ad una tredicesima parola non compresa nelle pagine dell’inserto: quella dell’organizzazione politica. Dove si risolve, infatti, la contraddizione indicata dall’esame dei due termini?

Senza alcuna pretesa di sufficiente capacità intellettuale a giudizio di chi ha scritto la presente nota occorre un luogo di sintesi tra la necessità di fuoriuscita dal concetto di inesauribilità dello sviluppo e l’ineluttabilità di un recupero del concetto di welfare quale terreno essenziale per affrontare le diseguaglianze. Un luogo di sintesi non racchiuso nelle quattro mura del cosiddetto Occidente contrapposto al fenomeno emergente di forze trasversalmente alleate (l’allargamento del BRICS) in nome di un diverso senso nell’utilizzo delle risorse planetarie (anche qui con enormi contraddizioni) e nelle prospettiva di un ritorno alla logica dei blocchi in dimensione inedita rispetto alla storia del ‘900.

Serve una riunificazione di senso nella sintesi politica che può trovare il punto di raccordo soltanto in organizzazioni transnazionali che si pongano per intero il tema del rapporto tra le forze richiamate da Ricciardi: socialisti più avanzati e liberali egualitari. A patto però che l’espressione di questo incontro avvenga nel quadro di un mutare di qualità nell’analisi del rapporto tra le contraddizioni riuscendo ad esprimere gramscianamente una egemonia culturale.

Potrebbe essere possibile tentare in questo senso un esperimento italiano a patto però di esprimere subito la necessaria tensione rivolta alla sovranazionalità individuando le priorità strategiche.

Un esperimento italiano urgente da mettere in piedi nel difficile contesto che stiamo vivendo, proprio perché all’incrocio richiamato da Ricciardi va aggiunto il tema dell’antifascismo.

Tema dell’antifascismo da porre in risalto proprio in relazione alla questione dell’egemonia.

In Italia occorre un “riformismo dell’alternativa” radicale nei contenuti e organizzato in una forma tale da porre all’ordine del giorno il punto sull’antifascismo prima di tutto come fatto culturale, di vero e proprio senso comune nella quotidianità dell’agire sociale.

Non è tempo di alternanza o di “bipolarismo temperato”. Stanno cercando di affondare i valori e i principi della Repubblica nata dalla Resistenza.

1) La senatrice Mennuni (FdI): “Ricordare alle nostre figlie che la loro massima aspirazione deve essere quella di diventare mamme

2) Fratelli d’Italia cambia la legge sulla caccia: fucili in mano a 16 anni, apertura della stagione in settembre e chiusura in febbraio

Due titoli tratti dai giornali online di ieri che si presentano come emblematici di un pensiero che, alla fine, vuole i maschi in giro per i boschi con il fucile a tracolla in cerca di prede e le femmine a casa accanto al focolare a badare i pargoli. Fucili magari da usare se Cenerentola trasgredisce ai suoi obblighi atavici.

Ricompare un’ ideologia che si nutre di miti tratti direttamente da potenti richiami di un passato oscurantista che non pensavamo davvero potessero riproporsi in queste dimensioni.

E’ la destra bellezza! Quella vera del superuomo, mica il populismo raffazzonato del Cavaliere.

Così siamo chiamati a cercare nuove formule anche di organizzazione avendo chiaro come le strade nuove da percorrere si intersecano con quella antica della cultura intesa quale fattore fondamentale dell’agire politico che richiede, però, organizzazione non rinchiusa in recinti limitati.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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