Il conflitto in Siria sta volgendo al termine, con i leader di Russia, Turchia ed Iran, i veri mediatori del potere in Siria, vicini a trovare i termini per una soluzione pacifica. Questi paesi, non la coalizione guidata dagli Stati Uniti, hanno la chiave per la risoluzione del conflitto. Con l’attenzione mondiale focalizzata sulla Siria, la situazione in Libia è radicalmente cambiata.

Con una superficie di quasi 1,8 milioni di chilometri quadrati, la Libia è il quarto paese più grande dell’Africa e il 16° paese più grande del mondo, al 10° posto per le più grandi e comprovate riserve di petrolio. Per quanto strano, la situazione in cui si trova non riceve quasi nessuna copertura nei media mainstream. Ma il paese è troppo importante per essere ignorato.

La posizione ufficiale del Feldmaresciallo Khalifa Haftar è quella di Comandante dell’Esercito Nazionale Libico (LNA). È stato nominato dalla Camera dei Rappresentanti (HoR) all’inizio del 2015. L’HoR è il Parlamento riconosciuto a livello internazionale. In estate, le milizie dell’uomo forte ottennero un grande successo militare, ottenendo il controllo di vaste aree del territorio libico, compresi i principali giacimenti petroliferi. Sembrava che nulla potesse impedire al signore della guerra di stabilire il controllo sull’intero paese. Ora la sua fortuna si è rovesciata.

Mentre Ghassan Salamé del Libano, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite e Capo della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), sta facendo sforzi disperati per attivare il processo di pace, molti attori all’interno del paese stanno cercando di proteggere i loro interessi con l’uso della forza.

Questo mese, sono scoppiati combattimenti  nel distretto di Wershiffana, nella Libia occidentale, tra gruppi armati locali e le forze guidate dal comandante della zona militare occidentale, il Maggior Generale Usama Juwaili, nominato da Fayez Mustafa al-Sarraj, Presidente del Consiglio Presidenziale della Libia e Primo Ministro del Governo di Accordo Nazionale (GNA). La Brigata Rivoluzionaria di Tripoli (TRB), un tempo elemento di forze fedeli al governo ad interim libico di Tobruk insieme all’Esercito Nazionale Libico, ha preso parte ad una operazione militare a fianco delle truppe della zona militare occidentale e quelle del Consiglio Militare di Zintan, per aiutarle a “ripulire” i distretti Jafara e Aziziya in Wershiffana, a sud ovest di Tripoli, da “fuorilegge e bande”.

Le Brigate di Zintan, comandate da Haithem Tajouri, anch’esse precedentemente alleate, ma indipendenti, dall’Esercito Nazionale Libico, hanno preso parte all’operazione. La partecipazione delle Brigate ha fatto credere erroneamente che fosse il Feldmaresciallo Haftar a comandare le forze. Ma no, il gruppo ha cambiato alleanza. Ha persino aperto il fuoco contro la 4° brigata dell’LNA. La lotta contro i criminali si è trasformata in una battaglia tra le forze principali, con l’equilibrio militare spostato a favore di coloro che si oppongono al Feldmaresciallo Haftar.

Forse, reprimere i criminali non era il vero, o l’unico, obiettivo dell’offensiva. L’operazione mirava anche alle forze fedeli a Khalifa Haftar e all’Esercito Nazionale Libico. Il 7 novembre, la 4° brigata dell’LNA era dispersa e il suo comandante costretto a nascondersi. L’LNA abbandonò la posizione, il che gli permise di avanzare e stabilire il controllo su Tripoli, la capitale della Libia. Il Feldmaresciallo ha perso influenza in Tripolitania.

Pertanto, il panorama politico-militare nel paese è cambiato, e c’è una nuova alleanza emergente. Le suddette formazioni possono essere rinforzate dalle milizie Janzur e Zawiya, che si sono opposte l’una all’altra fino a poco tempo fa. Questa alleanza ha una base solida? Cambiare alleanza non è qualcosa di straordinario in Libia. Ora non si può escludere che, con il Consiglio Militare di Zintan dalla sua parte, Usama Juwaili possa voler diventare un attore indipendente.

C’è un’altra ripercussione. Gli eventi si sono svolti sullo sfondo delle intensificate attività dei gruppi terroristici a Bengasi, la seconda città della Libia. Con lo Stato Islamico travolto in Iraq e in Siria, i combattenti stanno tornando a casa o stanno cercando nuovi rifugi sicuri. Questo è un duro colpo per il Feldmaresciallo Haftar. Il leader militare è noto come leader anti-islamista per la sua dura resistenza contro i fondamentalisti musulmani. Quest’estate, dopo una campagna di tre anni, ha dichiarato[in inglese] solennemente la liberazione di Bengasi dai gruppi armati rivali. È opinione diffusa[in inglese] che chiunque controlli Bengasi, controlla la Libia.

La posizione dell’uomo forte è anche minata dal fatto che lui e le sue forze devono respingere le accuse[in inglese] di aver commesso crimini contro l’umanità durante la guerra civile in corso nel paese. Pur senza prove concrete, la campagna sta guadagnando forza. Non è un segreto che l’esercito di Haftar sia composto da vari gruppi. Ad alcuni di loro non importa molto dei diritti umani. Ciò che importa è che, se alcuni elementi dell’LNA agiscono in questo modo, Haftar può non averne il pieno controllo.

Fino a poco tempo fa, si riteneva che il Feldmaresciallo Haftar avrebbe unito il paese. Ora, non è chiaro cosa gli riserverà il futuro. La Libia è diventata ancora più divisa. Le speranze sul raggiungimento di un accordo fra le fazioni rivali sembrano infrante.

La Russia ha indirizzato[in inglese] tutti i suoi sforzi nell’agire da intermediario fra i contrapposti governi libici. Uno sforzo internazionale è indispensabile per impedire alla Libia di diventare una seconda Siria. La NATO è responsabile per le turbolenze nel paese fin dal 2011 quando, oltrepassando la risoluzione iniziale delle Nazioni Unite, ha sprofondato il paese nel caos. Sarebbe logico che l’alleanza contribuisca alla ricerca di una soluzione negoziata del conflitto. La Libia non è una questione di divisione fra la Russia e l’Occidente. Entrambi sono interessati ad impedire che il paese, grande e ricco di petrolio, diventi un rifugio sicuro per i terroristi che approfittano dell’instabilità senza fine. La questione è tenuta ingiustamente al riparo dai riflettori, invece di essere messa in primo piano nell’agenda della sicurezza internazionale.