Pezzetto a pezzetto, la libertà in Italia viene ridotta, compressa, ristretta da ambito ad ambito, da condizione personale ad altra condizione personale. Lo si fa in nome della garanzia di una sicurezza dei cittadini che è sempre la base su cui storicamente poggiano le giustificazioni che determinano la crescita di leggi speciali, fuori quindi dall’ordinario contesto costituzionale e della normale gestione del diritto sociale e civile.
Il decreto-Salvini è l’orgoglio del ministro dell’Interno, più di un giro di vite sul tentativo dello Stato italiano, peraltro fino ad ora maldestro, di creare una rete di sicurezza attorno al fenomeno storico delle migrazioni di questi ultimi anni con una forma di gestione dell’accoglienza e dell’integrazione che, via via che passavano i governi, veniva affinata ora meglio, ora peggio.
Per questo, senza un piano studiato tramite i valori costituzionali, di uguaglianza, di solidarietà sociale e di giustizia sociale, mantenendo sempre l’emergenzialità come elemento su cui far crescere la legislazione in tal senso, non si è mai arrivati a formulare una chiara distinzione tra sicurezza della popolazione italiana e sicurezza per i migranti.
S’è arrivati al punto di inevitabile scontro e di confusione voluta per cui il problema securitario che attanagliava l’Italia erano proprio coloro che cercavano sicurezza: i migranti, l’ultimo, debolissimo anello della catena disumana di sfruttamento, sevizie, violenze inenarrabili patite in Africa o Medio Oriente attraverso guerre e mercanti di uomini e donne, internamenti in lager degni del Terzo Reich e poi l’approdo su gommoni di (s)fortuna in paesi ostili, dove le forze sovraniste salivano gli scalini dei palazzi governativi, portate lì da campagne di disinformazione ben congegniate, dritte alla cosiddetta “pancia” della gente.
Il decreto-Salvini ha come scopo proprio questo: aumentare il consenso politico attorno alla Lega, farlo attraverso la campagna di adesioni che parte dalla foto in cui il presidente del Consiglio Conte e il ministro Salvini mostrano il foglio con l’”hashtag” del decreto stesso: un invito alla moltiplicazione dei “sì”, alla diffusione delle tematiche affrontate dal governo a tal proposito. Per poi ritrovarsi per le strade i manifesti sei metri per tre col volto di Salvini e l’annuncio che si tira diritto, si va avanti, perché prima di tutto vengono gli italiani.
Dove c’è l’incertezza generalizzata, lo spaesamento del Paese, è semplice attivare il meccanismo della crudeltà che viene in soccorso alla paura e che toglie diritti mentre mostra di essere inflessibile nella lotta contro l’illegalità: diventa fuorilegge l’umanità, il rispetto delle persone, solo perché non sono italiane.
Diventa illegale una protezione che non era un privilegio dei migranti, ma una semplice tutela di uno status ancora da chiarire, di una posizione da inquadrare e di un percorso da far fare a chi si ritrova in Italia e vuole provare a costruirsi una vita degna d’essere vissuta.
Diventa legale invece l’aumento della detenzione nei centri di “accoglienza” (parola che sembra una ironia…) e diventa legale accogliere solo i migranti che ricevono risposte positive dalle commissioni preposte a tali compiti. Per gli altri qualche pasto e un letto e l’attesa del rimpatrio.
Vengono inasprite le pene per chi occupa case, terreni, stabili per necessità. E, pur non rientrando nel decreto, Salvini annuncia comunque che obiettivo del governo è, nel corso dei cinque anni, smantellare tutti i campi rom presenti in Italia.
A prescindere da presunti atti delinquenziali. Vanno chiusi perché sono campi rom e i rom, si sa, storicamente sono ladri di bambini, ladri di rame, ladri di tutto. Non sono quelle genti libere che molti canti e poesie ci descrivono.
I sentimentalismi appartengono ai tempi in cui la Costituzione e le leggi venivano ispirate dal liberalismo e da un pizzico di socialismo che rendeva umano il principio generale che doveva essere applicato.
Messo in archivio l’umano del sentimento e il sentimento dell’umano, si lasci pure posto alla crudeltà, alla cattiveria, all’odio, al pregiudizio, alla paura, al timore, allo stereotipo del diverso che è un pericolo a priori.
Del resto, se qualcosa oggi dovesse risultare a posteriori definita, scritta ed emanata, vorrebbe dire che sono spariti i calcoli elettoralistici sulla pelle delle gente più misera e debole, una vera e propria megalomania che porta all’acquisizione del potere per il potere stesso, la ricerca del consenso generale del popolo attraverso l’inseguimento di paure generate dal 2001 con lo svilupparsi del fenomeno terroristico alimentato dalle grandi centrali mondiali della segretezza dei servizi (al servizio dei governi a loro volta al servizio dei grandi capitali).
Gran parte del popolo italiano applaude il governo che ha un consenso che supera il 60% nei sondaggi di quasi tutti gli istituti di rilevazione statistica.
Un governo per essere e rimanere democratico dovrebbe avere un consenso sempre inferiore al 50%, per poter essere controllato non solo dagli strumenti di bilanciamento dei poteri previsti dalla Costituzione della Repubblica, ma prima di tutto dal sentimento popolare, dalla percezione che i cittadini dovrebbero avere attraverso una informazione sufficientemente obiettiva riguardo i fatti di palazzo, quelli economici (prima di tutto) e quelli politici e sociali.
Invece, in un progressivo avanzamento della miseria sociale, del lavoro che sempre più scarseggia e della disoccupazione giovanile che aumenta, la rivendicazione dei diritti tutti viene meno: le proteste non emergono e la resistenza viene affidata a un gruppo di poche centinaia di migliaia di antifascisti, antirazzisti, comunisti e anarchici che sembrano oggi trovarsi in uno stato ben più disperato dell’opposizione tedesca al regime hitleriano: senza coordinazione, senza unità di intenti.
Presìdi, sit-in, manifestazioni qua e là, ma nessuno sciopero generale nel Paese per provare a fermare questa Italia che deve essere scossa, tramortita per farle riprendere i sensi e permetterle di riaversi e di capire che così facendo si arriverà alla negazione dei più elementari diritti di parola, di espressione, di vita per chi sarà contrario alle politiche del governo oggi sull’immigrazione e domani sull’opposizione.
I sindacati e le grandi associazioni laiche di massa, i partiti rimasti della sinistra vera di questo Paese devono proclamare uno sciopero generale per la giustizia di classe, per quella sociale, per ritrovare una umanità che, nemmeno troppo lentamente, stiamo tutti abituandoci a perdere.
Capisco che le condizioni per poter fare ciò non sono le stesse del 1994, quando in piazza scesero 1.500.000 persone divise in tre cortei a Roma. Lo ricordo bene, al Circo Massimo, dove mi trovavo e dove si percepiva che c’erano due parti: o contro Berlusconi o con Berlusconi.
Oggi questa dicotomia non è pensabile, perché il governo è una composizione di due forze che sono sostenute da sentimenti e interessi così differenti da rendere impossibile una verticalizzazione della divisione per concentrare una opposizione compatta contro un esecutivo ben peggiore dei precedenti di destra.
La trasversalità e l’interclassismo del movimento 5 Stelle sono un potente muro di gomma che respinge le voci più critiche e, al contempo, assorbe e attutisce i colpi.
Difficile dire quanto possa attenuare anche le contraddizioni evidenti in campo economico che emergono dai ministri che sono espressione meno vigorosa del rinnovamento generazionale in atto nella struttura governativa e nella compagine della classe dirigente del Paese.
Ma il fatto rimane: solo uno sciopero generale può riattivare la speranza di riunire le lotte, di ricompattare un popolo della sinistra e del progressismo che, seppur litigiosamente diviso, frazionato e anche in contrasto aperto tra sé e sé, ha il dovere di mostrarsi al Paese come parte esistente e operante per la difesa della democrazia e dei diritti di tutte e tutti.
L’inerzia non ci aiuta e non aiuta l’Italia del lavoro, della disoccupazione, della precarietà e dell’indigenza generale.
Bisogna agire senza preoccuparsi del consenso che oggi il governo ottiene: perché è proprio a quel consenso che bisogna guardare per sgretolarlo non con vuoti slogan ma con proposte concrete che mettano a nudo una ipocrisia oggi vincente e così tanto intrisa di disprezzo, odio e pregiudizio.

MARCO SFERINI

http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/contro-il-governo-dei-decreti-sicurezza-serve-uno-sciopero-generale/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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