Si parla sempre d’immigrazione e spesso di immigrazione irregolare. L’immagine che ne abbiamo è quella di un mare di persone straniere che arrivano senza documenti in Italia.
di Angela Tognolini
Eppure è difficile spiegare chi siano questi migranti e perché siano qui. Già le parole con la quale li chiamiamo, immigrati irregolari, clandestini, richiedenti asilo e rifugiati, sono confuse. Dato che capire è difficile, finiamo per tirare le somme e in questo la politica ci aiuta, la direzione è chiara: basta accoglienza. E allora si parla di bloccare di sbarchi, di impedire gli ingressi, di attuare i rimpatri. Si alza il dibattito, c’è chi parla di violazioni dei diritti umani nelle carceri libiche, chi di costi esorbitanti che non possiamo sostenere, chi di obblighi che ci pone la legge internazionale, oppure quella europea.
E in mezzo a questa sequela di proposte per fermare l’immigrazione verso l’Italia, ce n’è una che parla di diminuire i permessi di soggiorno rilasciati ai migranti. Il ministro dell’interno Matteo Salvini già a luglio aveva dato indicazione alle autorità preposte di limitare il rilascio di un permesso in particolare, il permesso per motivi umanitari. Ad oggi, prima metà di Settembre, Salvini fa di più e annuncia un decreto legge sull’immigrazione nel quale, tra le altre cose, cancellerà la protezione umanitaria. Lo schema di questo decreto è trapelato nei giorni passati, anche se il testo non è ancora uscito in via ufficiale e gli effetti saranno comunque provvisori fino alla trasformazione in legge da parte del Parlamento. Ma cos’è la protezione umanitaria? Chi la ottiene, adesso? E quali saranno le conseguenze, nell’abrogarla?
Ad oggi i migranti che non hanno documenti possono fare domanda di protezione internazionale. Le autorità preposte a vagliare le domande possono rilasciare lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, se ritengono che il migrante rischi di soffrire persecuzioni oppure danni gravi a causa della guerra e di pratiche inumane e degradanti. Coloro che non hanno i requisiti per ottenere queste protezioni, ma che tuttavia non possono essere rimpatriati a causa di “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano” possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Questo permesso disciplinato dall’articolo 5 comma 6 del testo unico 286/98 ha una durata di due anni, può essere rinnovato alla scadenza e convertito in un permesso per motivi di lavoro, se il migrante è impiegato con un regolare contratto. I migranti che non rischiano persecuzioni, né hanno gravi ragioni umanitarie per non essere rimpatriati, ricevono invece una risposta negativa.
Ma quali sono i seri motivi per cui la protezione umanitaria viene rilasciata? I casi sono molteplici. A volte, si tratta di gravi questioni di salute. Rimandare in alcuni paesi persone affette da invalidità, malattie per cui le cure non siano accessibili oppure patologie croniche come infezione da HIV, epilessia e diabete, equivarrebbe a mandarle a morte certa. Lo stesso vale per alcuni disagi mentali. In altri casi, i motivi umanitari sono la minore età, l’insorgenza di un cataclisma naturale nel paese d’origine, o una terribile epidemia come quella dell’ebola. L’umanitaria può essere data anche se la persona ha sofferto esperienze tanto traumatiche da renderla vulnerabile. In questo caso, i motivi umanitari proteggono le vittime di gravi violenze fisiche, psicologiche o sessuali, soprattutto se si tratta di genitori singoli con bambini o di persone che hanno da poco compiuto i diciott’anni. In certi casi, l’umanitaria viene data quando non è possibile rimpatriare la persona in sicurezza perché nel suo paese d’origine, pur non essendoci un conflitto aperto, le condizioni di sicurezza sono molto fragili, e la guerriglia urbana o la violenza politica causano molte vittime civili. A volte, i tribunali concedono questa protezione se il richiedente asilo ha un lavoro stabile e dimostra di essere profondamente integrato, soprattutto se si tratta di una persona molto giovane, che può attivamente contribuire allo sviluppo del paese, e che al contrario non ha legami famigliari o una comunità alla quale tornare nel paese d’origine.
La proposta di decreto di Salvini trapelata negli ultimi giorni abroga questo permesso, sostituendolo a un altro, chiamato “per motivi speciali”, che riduce di molto la casistica. Potranno ottenere un permesso di un anno le vittime di sfruttamento lavorativo e violenza domestica, come già previsto da altre normative. Ci sarà un permesso per “calamità naturale”, ma di soli sei mesi e non rinnovabile. Esisterà un permesso anche per cure mediche, nel caso in cui il migrante soffra di “condizioni di salute di eccezionale gravità”, anch’esso però di solo un anno. Scompare la protezione a minori, casi psichiatrici e persone rese vulnerabili da un vissuto particolarmente violento o a chi dimostra di essere profondamente integrato in Italia.
Il “Decreto Salvini” include anche altre questioni importanti quanto l’abrogazione della protezione umanitaria. Tuttavia, quella dell’umanitaria è una problematica tanto drammatica da richiedere una riflessione tutta per sé. Come primo punto, bisogna sottolineare che questa norma non si indirizza a tutti i migranti, non riguarda il fenomeno dell’immigrazione in sé e per sé. Al contrario, colpisce le categorie più fragili, quelle che hanno più bisogno d’aiuto. Invece di combattere l’afflusso in Italia di quelli che ama definire cosiddetti “criminali” e “potenziali terroristi,” il ministro Salvini scrive una legge contro le persone vulnerabili, quelle con malattie gravi, i giovanissimi e le donne sole con bambini. Questo è confermato dai dati, che mostrano come la protezione umanitaria sia accordata prevalentemente alle donne (il 30 per cento delle richiedenti donne riceve la protezione umanitaria) e ai minori (il 59 per cento di richiedenti minori riceve la protezione umanitaria).
Se anche non si vuole mettere in campo la costituzionalità di questo decreto, o la profonda questione morale che ci pone, dovremmo per lo meno chiederci quale saranno gli effetti se queste frange così fragili della popolazione migrante non avranno più la possibilità di regolarizzarsi. La norma infatti non parla di modalità in cui fermare l’ingresso di questi migranti. Non parla neanche di un modo per rimpatriarli nei loro paesi. Questo decreto si indirizza a persone che sono attualmente sul territorio e che, se prima potevano avere un permesso di soggiorno, ora resteranno senza documenti. In un panorama nel quale i rimpatri sono sempre meno credibili, queste persone tanto vulnerabili finiranno in una situazione di clandestinità, con tutto ciò che questa situazione comporta: difficoltà a ricevere le cure e mandare i loro bambini a scuola, impossibilità di trovare un alloggio lecito e un lavoro regolare. Se prima un’integrazione era resa possibile dai documenti, ora l’unica prospettiva per loro è la marginalità sociale, l’aggravarsi di situazioni di disagio fisico e psicologico, il rischio di cadere in situazioni di sfruttamento al fine di accattonaggio forzato o altre attività illecite. Ben lontana da essere una norma che “combatte l’immigrazione” o “favorisce l’ordine e la sicurezza pubblica”, questo decreto non fa che affliggere persone già in difficoltà senza offrire un’alternativa concreta, aumentando l’insicurezza sociale per tutta la popolazione, migrante e italiana.
Questo è tanto più grave, poiché la norma non si rivolge soltanto ai richiedenti asilo che potrebbero ricevere la protezione umanitaria in futuro e che, se il decreto dovesse passare, non potrebbero più riceverla. Ma anche a tutti coloro che hanno ricevuto la protezione in passato e, allo scadere dei due anni, non potrebbero più rinnovarla. Si tratta di persone per le quale ricorrono motivi umanitari ostativi al rimpatrio, quindi persone vulnerabili, che hanno vissuto almeno due anni in Italia. Molti di loro avranno cominciato a curarsi, creato legami affettivi e di fiducia, trovato un lavoro. I loro figli saranno andati a scuola, avranno imparato l’italiano. Tutto questo processo di integrazione verrebbe interrotto dall’impossibilità di rinnovare i propri documenti e queste persone si troverebbero all’improvviso irregolari, con la scelta di tornare in un paese che hanno ormai abbandonato da tempo, oppure di entrare in clandestinità. Gli stessi datori di lavoro dovrebbero rinunciare, senza nessuna buona ragione, a risorse che hanno formato e sulle quali hanno investito.
La ragione per la quale il ministro Salvini porta avanti la sua battaglia contro l’umanitaria è che, a suo dire, negli ultimi anni sarebbe stata concessa troppo spesso. Nel 2016, su 91,102 richieste d’asilo, 18.979 richiedenti hanno ottenuto l’umanitaria. Ora, questo non è certo un numero certo troppo alto di persone vulnerabili da accogliere, per una nazione che conta 60 milioni di abitanti come l’Italia. Quello che questo numero ci dice è che eliminare il permesso per motivi umanitari, non risolverebbe certo il problema dell’immigrazione. Se anche quelle 18,000 persone scomparissero nel nulla, invece che rimanere in strada senza documenti, la popolazione italiana neanche se ne accorgerebbe.
Eliminare la possibilità dell’umanitaria, quindi, punta a uno scopo diverso. A far passare l’idea che non esistano migranti da proteggere, neanche i malati, neanche i ragazzini, neanche le vittime di abusi. A far passare l’idea che, qui da noi, chi non è italiano non ha più diritti. Neanche alle cure, neanche all’istruzione. Neanche alla vita.