Di Jonathan Cook

 

I Palestinesi di Gaza avrebbero dovuto tirare un sospiro di sollievo la settimana scorsa, mentre i precari colloqui per il cessate il fuoco sono sopravvissuti a un lungo scambio di scioperi di due giorni che ha minacciato di scatenare un altro attacco militare su vasta scala da parte di Israele.

Alla fine di martedì, dopo il più dopo il più intenso attacco di violenza in quattro anni,

il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Hamas, il movimento islamico che governa Gaza, hanno approvato una tregua a lungo termine mediata  dall’Egitto.

Entrambi sono desiderosi di innescare un’esplosione di rabbia popolare a Gaza, le cui conseguenze sarebbero difficili da prevedere o da contenere.

La minuscola enclave è “tenuta in vita artificialmente” avendo patito, nei dieci giorni passati, tre attacchi devastanti e prolungati da parte di Israele e anche un blocco soffocante. Migliaia di abitazioni sono in rovina, l’acqua che viene fornita è quasi imbevibile, l’elettricità scarseggia e la disoccupazione è altissima.

Come, però spesso succede, il destino immediato dell’enclave sta nelle mani dei politici israeliani che vogliono disperatamente per loro la parte di principali guerrafondai e di raccogliere perciò un dividendo elettorale.

Le elezioni ora hanno incombono, dopo che Avigdor Lieberman, l’aggressivo ministro della difesa di Israele, si è dimesso mercoledì, subito dopo le proteste. Ha accusato Netanyahu di “arrendersi al terrore” se accettava il cessate il fuoco.

Lieberman porta con sé un gruppo di legislatori, lasciando la coalizione di governo con una maggioranza piccolissima di un solo seggio parlamentare. Durante il fine settimana si erano diffuse le voci che un altro partito, l’ultra nazionalista  Jewish Home, era sul punto di abbandonare la coalizione.

Netanyahu ha, di fatto, innescato temerariamente questi eventi. Aveva già prima spianato la strada per fare una  tregua, riducendo il blocco. Era stato permesso di portare del combustibile nell’enclave, come anche i 15 milioni di dollari in contanti dal Qatar per coprire i salari dovuti ai lavoratori di Gaza del settore pubblico.

In questo momento critico, Netanyahu ha acconsentito a una incursione segreta da parte dell’esercito israeliano, proprio dentro Gaza. Quando i soldati si sono fatti vedere, nello scontro a fuoco che ne è seguito sono morti sette palestinesi e un comandante israeliano.

Le due parti hanno poi incrementato le azioni:  Hamas ha lanciato centinaia di razzi verso Israele, mentre le forze armate israeliane hanno bombardato l’enclave. Gli attacchi aerei hanno ucciso più di dodici Palestinesi.

A quanto si dice, Lieberman ha espresso il proprio sdegno per il trasferimento del denaro del Qatar a Gaza, sostenendo che sarebbe impossibile risalire a come veniva speso. Il cessate il fuoco si è dimostrato la goccia che fa traboccare il vaso.

I leader di Hamas si sono vantati di avere creato un “terremoto politico” con le dimissioni di Lieberman, ma forse le onde d’urto potrebbero non essere così facilmente limitate a Israele.

Stranamente, Netanyahu ora sembra essere la voce più moderata nel suo gabinetto. I politici suoi colleghi chiedono che “Israele ripristini la sua dissuasione”- un eufemismo per dire di devastare Gaza.

Naftali Bennett, il capo del partito dei coloni, Jewish Home, ha denunciato come “inaccettabile” il cessate il fuoco e ha chiesto la carica vacante della Difesa.

Ci sono state critiche anche dalla cosiddetta sinistra. Il leader del partito laburista di opposizione Avi Gabbay ha definito Netanyahu un “debole”, mentre l’ex-primo ministro Ehud Barak ha detto che “si era arreso ad Hamas che era sotto il fuoco”.

Sentimenti simili sono condivisi dal pubblico. I sondaggi indicano che il 74% degli israeliani preferisce un approccio più duro.

La città di Sderot, vicino a Gaza e presa di mira da razzi, è esplosa in proteste rabbiose. Cartelli recanti lo slogan “Bibi Go Home” (Bibi tornatene  a casa) – Bibi è il soprannome di Netanyahu – sono stati visibili  per la prima volta nella patria del suo partito.

Con questo tipo di pungolo, un’elezione in vista e accuse di corruzione che incombono sulla sua testa, Netanyahu forese trova  difficoltà a resistere ancora una volta all’aumento della temperatura a Gaza.

Ha, però,  anche forti incentivi per calmare le cose e rafforzare il governo di Hamas.

Il suggerimento espresso da alcuni commentatori che Netanyahu aveva voltato pagina come “uomo di pace”, non potrebbe essere più sbagliata.

Ciò che distingue Netanyahu dal suo gabinetto non è la sua moderazione, ma che ha i nervi più saldi rispetto ai suoi rivali di estrema destra.

Crede che ci siano modi migliori di attaccare per raggiungere il suo principale obiettivo politico: l’indebolimento del progetto nazionale palestinese. Questo era ciò che intendeva mercoledì quando ha attaccato i critici per non avere capito “il quadro generale della sicurezza di Israele”.

A livello pratico, Netanyahu ha ascoltato i suoi generali, che lo avvertono che, se Israele provocasse la guerra con Hamas, potrebbe trovarsi impreparato a far fronte alle ricadute su altri due fronti, in Libano e in Siria.

Netanyahu, però, ha preoccupazioni ancora  più profonde. Come ha osservato l’esperto analista militare israeliano Ben Caspit: “L’unica cosa più pericolosa per Netanyahu di rimanere invischiato  in una  guerra è di rimanere invischiato nella   pace”.

L’esercito israeliano ha risposto a mesi di proteste di massa in gran parte non violente presso la recinzione lungo il perimetro di Gaza, uccidendo più di 170 dimostranti palestinesi e mutilandone altre migliaia.

Le proteste potrebbero trasformarsi in una rivolta. I Palestinesi che prendono d’assalto la recinzione che li imprigiona è un’eventualità alla quale l’esercito israeliano è completamente impreparato. La sua unica risposta sarebbe quella di uccidere i palestinesi in massa o di rioccupare direttamente Gaza.

Netanyahu preferirebbe sostenere Hamas, in modo che possa passare sotto silenzio le proteste piuttosto che affrontare una reazione internazionale e richieste di negoziare con i Palestinesi.

Inoltre, un cessate il fuoco che mantiene Hamas al potere a Gaza assicura anche che Mahmoud Abbas e la sua Autorità palestinese, con sede in Cisgiordania, possano essere tenuti fuori.

Questo è stato in parte il motivo per cui Netanyahu, andando contro i suoi istinti normali, ha permesso il trasferimento del denaro Qatariota al quale si era opposta l’Autorità Palestinese. Non è soltanto un incentivo per Hamas, è uno schiaffo in faccia ad Abbas.

Una Palestina spaccata, divisa dal punto di vista territoriale ed ideologico, non è nella posizione di esercitare pressione su Netanyahu – sia attraverso l’Europa o gli Stati Uniti – per iniziare i colloqui di pace o concedere la  condizione di stato  palestinese.

Questo è ancora più urgente, dato che la Casa Bianca insiste affinché il piano di pace del Presidente Trump, a lungo rimandato, sarà svelato nei prossimi due mesi.

Delle fughe di notizie indicano che gli Stati Uniti potrebbero proporre una “entità” separata, a Gaza, sotto la supervisione egiziana e con il finanziamento del Qatar. Il cessate il fuoco dovrebbe essere considerato come un primo passo verso la creazione di uno stato pseudo-Palestinese a Gaza che segua queste linee.

I Palestinesi stanno ora tra l’incudine e il martello. Stanno tra teste calde vendicative, come Lieberman che vogliono ulteriori carneficine a Gaza, e Netanyahu che preferisce tenere i Palestinesi tranquilli e largamente dimenticati nella loro piccola prigione.

Nella foto: un campo giochi per bambini a Sderot usato come rifugio.

Una versione di questo articolo è apparsa  per la prima volta  su  The National, Abu Dhabi.

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo.  I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [ Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books). Il suo sito web è: www.jonathan-cook.net.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/netanyahus-ceasefire-is-meant-to-keep-gaza-imprisoned/

Originale: The National, Abu Dhabi

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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