di Gary Olson

Nel 2017 la docente di sociologia Rachel Sherman ha scritto ‘Uneasy Street: The Anxiety of Affluence’ , un libro che attingeva a cinquanta interviste a fondo di newyorchesi super-ricchi al fine di ricavare un quadro di come percepivano il loro status.

La Sherman ha scoperto che i suoi intervistati, tutti al vertice dell’1-2 per cento del reddito o di entrambi, avevano assimilato interamente la narrazione della meritocrazia per razionalizzare la loro ricchezza e i loro immensi privilegi. Cioè ritenevano di meritare tutto il loro denaro grazie a duro lavoro e sforzo individuale. La maggior parte si identificava come socialmente e politicamente liberale e si sforzava di distinguersi ai ricchi “cattivi” che esibiscono la loro ricchezza. Anche se uno ha riconosciuto senza imbarazzo che “ero solito dire che sarei diventato un rivoluzionario, ma poi ho avuto il mio primo massaggio”.

Una caratteristica notevole era che queste persone non parlavano mai di denaro ed erano ossessionato dallo “stigma del privilegio”. Un tipico intervistato, la cui ricchezza superava i 50 milioni di dollari, ha detto alla Sherman: “Non c’è nessuno che sappia quanto denaro spendiamo. Lei è la sola cui io abbia mai detto le cifre ad alta voce”. Un’altra coppia, che aveva ereditato 50 milioni di dollari e viveva in una villa, si era fatta cambiare l’indirizzo dall’ufficio postale perché quello originale suonava “d’élite e snob”. Un altro tratto comune era il togliere le etichette dei prezzi dagli acquisti, entrando in casa, in modo che la governante e il personale non li vedessero. Come se la tata non li conoscesse…

I suoi soggetti (che sono rimasti anonimi) hanno prontamente riconosciuto di essere estremamente avvantaggiati ma rimanevano “persone buone, normali”, che lavorano duro, fanno attenzione a non ostentare i consumi e, soprattutto, “restituiscono”. Dedicano parecchio tempo a cercare di legittimare la disuguaglianza e la Sherman conclude che sono in larga misura riusciti a sentirli “moralmente meritevoli”.

Come seguito a questo studio, la professoressa Sherman ha condotto simili interviste approfondite a giovani i cui genitori o avi hanno accumulato considerevoli fortune, una ricchezza che ora è loro o che presto erediteranno. Il recente articolo della Sherman “La rivoluzione dei ragazzi ricchi” (The New York Times, 28/4/2019) rivela un forte contrasto nella percezione di sé rispetto ai suoi risultati precedenti.

Innanzitutto i suoi intervistati “colgono” la menzogna della meritocrazia trafiggendo mestamente i miti famigliari riguardo allo sforzo individuale, alla frugalità e al risparmio come origini della ricchezza. Una giovane che sta per ereditare una considerevole fortuna ha dichiarato alla Sherman: “Mio padre è sempre stato un amministratore delegato e mi è stato chiaro che passava molto tempo al lavoro, ma non mi è mai stato chiaro che lavorasse più duramente di una collaboratrice domestica, ad esempio. Non l’ho mai creduto”.

La Sherman ha scoperto che indipendentemente dal fatto che le immense fortune derivassero da “espropriazioni dirette di popoli indigeni, schiavismo di afroamericani, produzione di combustibili fossili, o evidente sfruttamento di lavoratori, manifestano spesso un acuto senso di colpa”. Una reazione è stata che alcuni ricchi di età inferiori ai 35 anni ha fondato organizzazioni per finanziare iniziative di giustizia sociale.

Secondo: molti dei suoi intervistati hanno letto del capitalismo razziale e non coltivano alcuna illusione riguardo al proprio successo. Dall’accesso alle scuole “giuste” e dall’acquisizione di capitale culturale alla rete sociale e a buoni lavori, ben pagati, hanno prontamente riconosciuto che è tutto derivato dal loro privilegio di classe (e di razza). Terzo: sono convinti che il sistema economico è “immorale”, che la parità di opportunità non esiste e che la loro ricchezza e i loro privilegi sono assolutamente “immeritati”. Infine, comprendono, spesso dall’osservazione personale, che la filantropia tradizionale serve principalmente a tenere al loro posto quelli al vertice, ottenendo generosi tagli fiscali e trattando i sintomi mentre sono ignorate le cause radicate nelle stesse strutture sociali di cui beneficiano.

A parte il titolo iperbolico dell’articolo e una certa vaghezza riguardo a dove possa condurre questa nuova coscienza, il pezzo – intenzionalmente o no – non solleva temi che richiedono una discussione pubblica molto più vasta.

Innanzitutto una nota riguardo al capitalismo filantropico o, come lo definisce Peter Buffet (figlio di Warren Buffet), il “lavaggio della coscienza”. Nella stringata espressione di Chris Rock, “dietro ogni fortuna c’è un grande crimine”, e considerato che quello che sappiamo circa le origini della grande ricchezza – la collettività – quei soldi dovrebbero sostenere bisogni pubblici determinati democraticamente, non i progetti selezionati cari ai miliardari. E questo rivela un altro motivo dietro la beneficienza privata: il desiderio di soffocare qualsiasi entusiasmo nei confronti di un governo attivista responsabile del volere del pubblico.

Aggiungerei che ogni volta che sento un filantropo proclamare piamente “ho solo voluto dare qualcosa indietro”, il mio primo impulso è di gridare “perché non dare indietro tutto?” Cioè, sono sempre stato parziale riguardo al dettato morale “A chi molto è dato, da lui molto sarà richiesto” (Luca, 12:48). E anche se non tenterò di migliorare la Scrittura, suggerirei: “A chi è stato tolto molto, molto è dovuto”.

Secondo: uno potrebbe chiedere del caso in cui una persona di mezzi modesti ha successo in qualcosa e accumula una fortuna. Abbiamo tutti ascoltato o letto ad infinitum qualcuno esclamare: “Dannazione! Nessuno mi ha mai dato nulla. Ho fatto tutto da solo. Mi sono fatto interamente da me”. Non è questa una prova di merito individuale? No. Per chi non lo sa, ha detto una volta Chuck Collins, erede della fortuna di Oscar Mayer: “Dove sarebbero i ricchi imprenditori senza investimenti dei contribuenti in Internet, trasporti, istruzione pubblica, sistema legale, il progetto del genoma umano e via di seguito?” Herbert Simon, un Premio Nobel per l’economia, ha calcolato il contributo della società pari al novanta per cento di quanto le persone guadagnano nell’Europa nord-occidentale e negli Stati Uniti.

Oltre alle fonti citate, posso sui due piedi elencare molti altri fattori che smentiscono questa narrazione potentemente seduttiva ma interamente fantasiosa, una narrazione che è anche ammannita a molti membri della classe lavoratrice e sposata da essi: lavoro minorile, lavoro immigrato cinese e irlandese (ferrovie), espropri per pubblica utilità, massacri di lavoratori in sciopero, repressione statale dei sindacati, legge sull’immigrazione del 1864, accaparramento di terre pubbliche, welfare per l’industria, insediamento di dittatori stranieri per assicurare manodopera e risorse a basso costo, leggi sulle successioni, scuole e università pubbliche, sistemi postali finanziati dallo stato, leggi sui contratti e sulla proprietà, incentivi fiscali governativi alle imprese, Commissione Titoli e Scambi  [circa la nostra Consob] per garantire fiducia nel mercato azionario, l’esercito statunitense, e uno stato di polizia per impedire alla plebe di impugnare i forconi. Un altro fattore che merita quasi un paragrafo a sé stante è la pura fortuna. In base a ogni criterio oggettivo possiamo concludere che in assenza di questo sistema non ci sarebbe alcuna accumulazione di ricchezza privata.

Per finire, la meritocrazia è il classico mito fondante degli Stati Uniti e offre la base per un’intera serie di altre favole. Innanzitutto l’illusione serve a giustificare politiche che promuovono la disuguaglianza economica e ostacolano lo sviluppo di movimenti sociali. Dopo tanti decenni di ideologia neoliberista, questa menzogna è oggi fermamente fissata nella coscienza collettiva del pubblico, ma sono convinto che mediante sforzi e affidandosi alle prove, possa essere espunta.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://zcomm.org/znetarticle/meritocracy-is-a-lie/

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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