Se le norme violate dalla comandante della Sea-Watch 3 risultassero incostituzionali l’atto di disubbidienza civile potrebbe alla fine non essere sanzionato. È evidente che in questa fase l’illegalità è stata commessa e la responsabile della nave si è dichiarata consapevole di dover essere sottoposta a giudizio e dover rispondere delle proprie azioni contra legem. Ma è appunto nel corso del giudizio che la vedrà protagonista che si potrà sollevare una questione di legittimità costituzionale chiedendo il sindacato della Consulta. Ed è lì – io credo – che si giocherà la partita decisiva. Se, come molti sostengono, il decreto Salvini che ha dettato le nuove regole sull’entrata nelle acque territoriali delle imbarcazioni non governative che operano i salvataggi nel Mediterraneo si dovessero rivelare in contrasto con i principi dettati dalla nostra Costituzione, oltre che non conformi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, la Corte costituzionale dovrà dichiarare la «cessazione dell’efficacia». Si dovrà allora riconoscere che il comportamento illegale del capitano della Sea-Watch è stato però conforme alla «superiore» legalità costituzionale. A quel punto a nulla serviranno le urla o le reazioni boriose di chi è stato definito «il ministro della propaganda», poiché – si ricorda – è la Costituzione a porre limiti insuperabili e indisponibili alla politica. E quando il Parlamento o il Governo pongono in essere leggi o atti aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione quest’ultimi vengono espunti dal nostro ordinamento e ripristinati i principi di civiltà violati. Così è sempre stato in epoca repubblicana, e così ancora sarà anche in questo caso. Sin dalla prima sentenza della Corte costituzionale promossa da altri disubbidienti civili (in quel caso si trattava della libertà di manifestazione del pensiero assoggettata ad autorizzazioni della pubblica sicurezza che ne limitavano la diffusione) abbiamo avuto persone che – a loro rischio – hanno violato le leggi per far valere la Costituzione. Come ha scritto Gustavo Zagrebelsky: «Il violatore apparirà, ma solo ex post, o come un “fuorilegge”, oppure come un benemerito della Costituzione». Si tratta pertanto ora di far valere le ragioni della Costituzione in una contesa che non ha nulla di predeterminato. Quel che può dirsi sin d’ora che sono chiari i principi e le domande da porsi. Da un lato il «paradigma sicuritario», in base al quale l’ordine pubblico e il controllo dei confini sono una specifica manifestazione della sovranità degli Stati; dall’altra il «paradigma umanitario», che ritiene non potere in nessun caso violare la dignità delle persone. Questo secondo paradigma non nega il primo, lo limita. Non rinuncia cioè a governare i flussi ovvero a garantire l’ordine necessario per l’esistenza stessa di ogni ordinamento giuridico. Stabilisce però che in nessun caso si possono porre in essere atti contrari al senso di umanità. Dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale è questo il principio che si rinviene in tutte la Carte sovranazionali (a partire da quella dell’Onu, passando per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sino alla Carta di Nizza) e le costituzioni nazionali (con particolare enfasi quella Italiana, ma anche quella tedesca). Sono queste le norme cui si dovrebbero attenere tutti gli Stati. Potrei a questo punto ricordare le numerose disposizioni che la nostra costituzione contiene, a partire dall’articolo 2 sulla necessità di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, ovvero la giurisprudenza della Consulta, che risale ai lontani anni ’60, sull’estensione delle garanzie dei diritti fondamentali agli stranieri; potrei richiamare le norme internazionali relative alla protezione umanitaria cui l’Italia ha l’obbligo di conformarsi. Lo abbiamo fatto tante volte su questo giornale. Ora però mi sembra ancor più importante comprendere qual è la sfida che l’atto di ribellione di una cittadina straniera su una nave battente bandiera olandese pone al nostro paese. Forse potremmo usare le parole di Antigone per intenderne la portata: «Non potevo consentire a un mortale di calpestare le leggi non scritte degli dèi. Io non potevo cadere nella loro condanna per paura di un uomo e della sua arroganza». Antigone pensava che fosse inaccettabile trasgredire la legge di natura, noi possiamo interrogarci se sia oggi possibile che l’arroganza del potere possa giungere a violare la costituzione. Nel rispetto della legalità e nelle forme che il nostro ordinamento prevede, dovremmo proporci di chiederlo al giudice delle leggi cui spetta l’ultima parola.